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Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita - Giorgio Fabre - copertina

Descrizione


Storico e giornalista culturale di "Panorama", Giorgio Fabre analizza i testi mussoliniani dimostrando la falsità del luogo comune che vede il "bonario" Mussolini trascinato nella deriva razzista dal "malvagio" e antisemita Hitler. In realtà il Duce - sostiene l'autore - strutturò ben presto una ideologia razzista, articolata e coerente. Preferì non renderla pubblica per opportunità politica, ma il Partito Nazionale Fascista e il regime epurarono subito tutti gli ebrei, fin dal 1922.
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Dettagli

2005
16 giugno 2005
508 p., ill. , Rilegato
9788811693284

Voce della critica

Con questo libro, che si presenta per certi versi come una tappa successiva a L'elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei pubblicato da Fabre presso l'editore Zamorani nel 1998, l'autore, attraverso una minuziosa ricerca in archivi italiani e stranieri, ma anche attraverso un'analisi attenta dell' Opera omnia di Benito Mussolini, mette in crisi, e alla fine ampiamente ritocca l'interpretazione che del dittatore romagnolo, e del fascismo, aveva trasmesso Renzo De Felice nella sua ponderosa biografia di Mussolini, interpretazione che era stata accolta, senza molte discussioni, dalla maggioranza degli storici italiani. Secondo una lettura che era divenuta vulgata, la legislazione antisemita del 1938, e persino la complicità massiccia della Repubblica sociale italiana nella persecuzione prima e nella deportazione poi degli ebrei, oltre che degli oppositori politici e degli zingari, nell'universo concentrazionario nazista, erano frutto non di una effettiva fede antisemita e razzista del dittatore, ma dell'opportunismo politico e della volontà di compiacere all'alleato nazionalsocialista. Proprio De Felice aveva scritto una volta che "il fascismo italiano era rimasto fuori del cono d'ombra della Shoah", e questo giudizio è stato ripetuto un'infinità di volte sui grandi mezzi di comunicazione, a cominciare da quelli televisivi, fino a diventare un consolidato luogo comune in merito alla nostra storia recente.
Tutto ciò produceva l'innegabile vantaggio di assolvere non soltanto Mussolini, ma anche i fascisti, e, in definitiva, gli italiani stessi, dal razzismo, e di fare del regime fascista non qualcosa di strettamente apparentato alla dittatura tedesca, bensì una variante soft all'interno del fascismo europeo, o anche una sorta di regime autoritario moderato che soltanto con la guerra e l'alleanza con Berlino sarebbe sfociato in una disastrosa sconfitta e quindi nel crollo definitivo del regime. Peccato che una tale lettura, accolta con entusiasmo dalla destra italiana, dai grandi mezzi di comunicazione, dalle pattuglie di giornalisti e storici cosiddetti "revisionisti", non possa reggere di fronte alle nuove ricerche che rinviano ad archivi e biblioteche e non si fanno fuorviare dai luoghi comuni.
Già in L'elenco , Fabre aveva dimostrato che l'opera di "bonifica libraria" contro gli autori ebrei era incominciata nei primi anni trenta, e non alla fine di essi, e che un punto di svolta importante era stato determinato dal varo legislativo di misure razziste contro i neri e il "meticciato", avvenuto ancora prima della guerra di Etiopia. Qui l'autore procede ancora oltre quei risultati e rintraccia negli scritti, come nelle azioni concrete di Mussolini, idee razziste e antisemite, presenti già nel periodo della sua formazione e poi nei primi anni di potere.
Già negli anni di guerra Fabre ha rintracciato interventi che avevano chiari accenti antisemiti, come l'attacco del 3 dicembre 1917 alle origini "razziali" del commissario bolscevico alla guerra Nicolai Vassilievich Krylenko. Ha altresì individuato nel "Popolo d'Italia", il giornale fondato da Mussolini, un atteggiamento complessivamente assai ostile agli ebrei. E molti altri esempi potrebbero farsi su questo periodo, sul periodo precedente (con Mussolini ancora socialista) e sul periodo successivo (con Mussolini già fascista). È tuttavia dalla fine degli anni venti, secondo la ricostruzione di Fabre, che si possono registrare azioni precise del dittatore contro ebrei che occupano posti di responsabilità in istituzioni pubbliche e private, come Ugo Del Vecchio, alto funzionario della Banca d'Italia, il matematico Federigo Enriques, il provveditore agli studi della Campania Aldo Finzi. Altri episodi significativi hanno luogo negli anni successivi, ma è a partire dal 1932 che l'offensiva di Mussolini diventa assidua e sistematica. Nel marzo 1932 il dittatore cancella l'archeologo Alessandro Della Seta dai candidati all'Accademia d'Italia, qualche mese dopo, ossia in dicembre, allontana Margherita Sarfatti dal "Popolo d'Italia" e dalla rivista "Gerarchia". L'8 marzo 1933 costringe alle dimissioni Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Banca commerciale italiana. Il 1° gennaio 1934 Gino Jacopo Olivetti è costretto a dare le dimissioni da segretario della Federazione fascista dell'industria e viene sostituito da Alberto Pirelli. Si potrebbe continuare, ma un simile elenco mostra, pur tra innegabili oscillazioni e parziali passi indietro, come la questione ebraica sia presente all'attenzione del dittatore prima dell'alleanza con la Germania nazista, prima della guerra di Etiopia e anche notevolmente prima della legislazione razzista e antisemita del 1938.
La ricerca di Fabre, che è, anche per questa parte, assai ricca e penetrante, offre un quadro esauriente della lunga marcia di Mussolini verso la persecuzione degli ebrei, prima come capo del governo fascista, e poi affiancandosi, in maniera subalterna, all'alleato nazista. Ma la gran parte della ricerca si concentra sulla parte meno conosciuta della formazione politica e culturale di Mussolini. Fabre rintraccia infatti, negli anni della milizia socialrivoluzionaria del futuro duce, le tracce di un atteggiamento di diffidenza e di ostilità verso la minoranza ebraica che si lega a un certo influsso di Nietzsche e della sua teoria del "superuomo", la quale affascina, com'è noto, il giovane agitatore socialista.
Seguendo gli scritti di Mussolini, come le sue disordinate letture, è del resto possibile cogliere un riferimento frequente a idee che esaltano le èlite di fronte alle masse e sfociano poi, durante la prima guerra mondiale, nella santificazione del conflitto armato e delle virtù dei combattenti. I suoi interventi sul "Popolo d'Italia" chiariscono e stabilizzano, sin dagli inizi, l'ostilità antisemita. Alla luce di una simile, e precisa, lettura dell'itinerario mussoliniano, si può dire che il convincimento relativo a un Mussolini che dà inizio alla discriminazione, e poi alla persecuzione, degli ebrei per mere e contingenti ragioni di alleanza con Hitler appare del tutto destituita di fondamento. Tutta l'opera di governo del duce conduce invece, con gradualità costante, verso la maturazione di una politica razzista contro i neri africani e contro gli ebrei italiani e stranieri.
Certo gli anni trenta sono decisivi, e il passaggio a una politica decisamente ostile non soltanto contro i singoli ebrei che coprono posti di responsabilità o di prestigio nel regime, ma anche contro la comunità ebraica nel suo complesso, deve collocarsi nella prima metà del decennio, quando il fascismo, con gli accordi del 1929, gode di uno stabile appoggio della chiesa cattolica e si prepara all'impresa coloniale in Africa. A quel punto la politica razzista contro i neri africani emerge con evidenza e si coniuga naturalmente con quella antisemita che trova una chiara accelerazione nel biennio 1937-1938.
Certo, non si può negare che il deciso avvicinamento alla Germania hitleriana favorisca a sua volta il processo totalitario. Non ne è però la causa scatenante La ricerca di Fabre consente tuttavia di interpretare in maniera più persuasiva lo stesso itinerario di Mussolini e del regime. E di considerare secondarie le incertezze che ogni tanto si intravedono nella politica mussoliniana degli anni trenta.

Nicola Tranfaglia

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Conosci l'autore

Giorgio Fabre

Storico tra i maggiori esperti italiani in ricerche d’archivio, è stato giornalista culturale per «Rinascita», «L’Unità» e «Panorama». È autore di numerosi volumi sull’antisemitismo fascista e nazista, sull’antigiudaismo cattolico e sulla censura durante il regime mussoliniano, tra cui L’elenco. Censura fascista, editoria, autori ebrei (Zamorani, 1998), Il contratto. Mussolini editore di Hitler (Dedalo, 2004), Mussolini razzista (Garzanti, 2005). Inoltre ha scritto, sulla storia del comunismo, Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato (Sellerio, 2015). Ricordiamo anche (per il Mulino) il volume, scritto a quattro mani con Annalisa Capristo, Il registro. La cacciata degli ebrei dallo Stato italiano nei protocolli...

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