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"Una moderna cittadella": negli anni settanta l'immagine esterna del campo profughi di Marienfelde a Berlino Ovest non potrebbe essere più rassicurante. Il suo interno è tuttavia ben lontano dal rappresentare un luogo di accoglienza come era nelle intenzioni dei fondatori. Il campo è piuttosto un focolaio di tensione e sospetto, uno spazio ristretto dove l'unica cosa che accomuna gli immigrati dall'Est europeo è l'incertezza del futuro. In questo spazio sospeso nel tempo e al di là delle regole del vivere civile, si snodano i destini dei quattro narratori.
Nata nel 1970 a Berlino Est e trasferitasi nel 1978 all'Ovest, Julia Franck attinge alla propria biografia per presentarci, nella tensione di un ieri che non è più e di un domani che non è ancora, le speranze e le delusioni di chi è costretto ad abbandonare il luogo d'origine. Ciò che i profughi trovano, al di là del muro che divide Berlino, sono altre, infinite barriere. Così per Nelly Senff, la giovane madre che si accinge con i bambini a oltrepassare la Bornholmer Brücke, storico snodo di frontiera tra Est e Ovest. Fin dalle prime pagine l'autrice si pone in aperta opposizione con quel filone della letteratura tedesca che guarda con occhi nostalgici al passato della Ddr. Infatti, sebbene Nelly abbia il permesso d'espatrio, viene sottoposta a un vero e proprio rito di passaggio fatto di umiliazioni e interrogatori. Qui, come più tardi nel campo profughi, le risposte di Nelly non possono che essere dettate dall'orgoglio di chi sa che "c'erano solo risposte sbagliate" e che "anche le verità sono solo invenzioni, fatte per raccogliere consensi". L'intera esistenza di Nelly la perdita dell'uomo amato, il peso dei ricordi, la scelta dell'espatrio diventa allora luogo di rappresentazione del baratro tra percezione individuale e verità consolidate, a dimostrazione del fatto che all'essere umano è precluso qualsiasi approccio diretto con la realtà, o per meglio dire, ogni individuo ha una propria, personale verità. D'altra parte è possibile credere che dei bambini possano picchiare un compagno di scuola fino a farlo finire all'ospedale solo perché profugo? Non sarà la madre responsabile di queste violenze? In un luogo governato dal sospetto, dove non esiste un noi di gruppo, ma "è un noi fatto di singoli", ogni persona diventa bersaglio del pregiudizio altrui.
Se Nelly è considerata dagli altri abitanti del campo una prostituta per il semplice fatto di essere giovane, su Hans Pischke pesa il sospetto di essere una spia della Stasi. La sua biografia segnata prima dalla prigione e poi dal riscatto da parte dei servizi segreti della Germania occidentale, oppure il fatto che vive al campo da due anni, quasi in una sorta di autoreclusione, sembrerebbero confermare questo dubbio. Eppure il lettore rimane anche in questo caso sospeso tra le mille possibili verità. La tensione, tra verità e menzogna, ci accompagna anche in quelle pagine dedicate agli altri due protagonisti del romanzo. Krystyna Jablonowska, una donna polacca di mezza età emigrata all'Ovest nella speranza di salvare il fratello malato, si muove tra il campo e l'ospedale in una sorta di attesa atemporale, schiacciata dalla presenza di un padre padrone e dalla rinuncia a una carriera come musicista. John Bird, l'agente della Cia che interroga a più riprese Nelly e si lascia affascinare dalla sua fiera remissione, vive un matrimonio di silenzi dovuti all'impossibilità di raccontare alla compagna del suo lavoro, forte tuttavia della certezza di rappresentare una giustizia quasi superiore.
Nelly Senff è il trait d'union tra i quattro protagonisti che raccontano, in una polifonia narrativa tipica della letteratura tedesca orientale, frammenti della loro biografia muovendosi alla vana ricerca di una felicità che non può che essere "un'utopia". Il fuoco che alla fine brucia l'albero di Natale ha ben poco del calore e dell'immagine romantica del bivacco, ma richiama piuttosto alla mente l'idea di una fiamma distruttrice. Lo stesso gioco semantico del titolo originale, Lagerfeuer, tra fuoco di bivacco e fuoco del Lager, fa esplicito riferimento all'oscuro passato tedesco, ponendo il romanzo all'interno di quella letteratura che a partire dalla riunificazione ha inteso rielaborare il passato evidenziando non solo le colpe, ma anche i dolori del popolo sconfitto. Julia Franck ci offre in questo romanzo, ben tradottto da Roberta Bergamaschi, uno spaccato di storia tedesca, ma soprattutto un caleidoscopio di destini segnati da una profonda tristezza, senza per questo cadere in una facile compassione.
Viviana Chilese
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