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Il moto delle cose - Giancarlo Pontiggia - copertina
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moto delle cose

Descrizione


Finalista del Premio Viareggio Rèpaci 2018, sezione Poesia

È una poesia di pensiero, quella di Giancarlo Pontiggia, alimentata peraltro, sempre, da un'immaginazione fervida eppure controllata, frutto di una sapienza felicemente in equilibrio con un estro inquieto, nel corpo di una scrittura che è testimonianza di un esercizio della mente, di un percorso che passo dopo passo viene a tessere i momenti di un'avventura dell'esistere. E dunque di una vicenda, quanto mai articolata e insistita tra lo «stridìo rigoglioso delle cose» e «l'unghia del tempo». Un tempo «che non consola», nella sua «linea infinita», quella che ci precede e seguirà, quando il nostro ansioso esserci cadrà, come è suo destino, nel vuoto. Pontiggia osserva dunque «il moto delle cose», «la teoria semplice delle cose» che si producono e avvengono sotto un «firmamento algido», nel misterioso ordine della totalità che si versa nell'uno. Ma c'è una vivissima emozione nel suo sentire e osservare il mondo, un'emozione che si trasmette al lettore e che increspa l'attenta tessitura di una poesia che sa muoversi anche in azzurri paesaggi, tra il nulla e la luce calda e breve del vivere, magari in cerca di un misterioso senso dell'origine. Pontiggia passa dalla breve strofa concisa e quasi epigrammatica, al frammento scolpito, fino al respiro più ampio del poemetto, a sua volta condotto su misure essenziali, sobrie, asciutte. La sua è una pronuncia impeccabile e limpida, classica, che talvolta si apre in lievi volute sonore, in giochi fonici o in eleganti armonie sottili, come sottile e profonda è la sua perlustrazione poetica dell'esserci e del mondo.
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Dettagli

2017
5 settembre 2017
160 p., Brossura
9788804681434

Valutazioni e recensioni

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alida airaghi
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La “poesia di pensiero” di Giancarlo Pontiggia (come viene definita nella nota del risvolto di copertina), sempre molto apprezzata per il suo classicismo raffinato e severo, per la particolarità della sua voce aristocraticamente lontana dalle mode, trova in questo libro nuovi accenti, forse più omologati agli indirizzi stilistici e tematici oggi in atto. Si tratta di un testo composito e ansante, scosso da continui trasalimenti che però vengono controllati, bloccati sul nascere, quasi che l’autore si sia imposto di non cedere al flusso di un trasporto emotivo troppo coinvolgente o irrazionale. Le poesie sono per lo più brevi, epigrammatiche, frammentarie, talvolta caratterizzate da una sentenziosità gnomica: «Chi s’incammina, / già pensa al suo ritorno. / Ma chi resta, // salpa ogni giorno». “Le cose” del titolo assediano il poeta, più concrete e imperiture di lui, fragile invece nella sua caducità, nel senso oppressivo di una fine che sente minacciosamente vicina e ineluttabile. Il futuro è inesistente, il passato ha le sembianze di un incubo: «Vengo a voi, ombre / di Ade, e alle vostre / case profonde», e tutta l’esistenza rimane misteriosa e ingiustificata. La riflessione di Pontiggia è rivolta allo scorrere crudele del tempo, in un’entropia distruttiva che non lascia scampo. Lo si deduce non solo dalle immagini che fanno da sfondo ai versi (sassi, dirupi, piogge, acque turbinose), ma anche dalla scelta insistita dei verbi, che indicano un continuo cadere, e un cedere alla violenza – non tanto umana quanto metereologica, cosmica, sovrannaturale –, in un paesaggio terremotato, inondato, stravolto da cataclismi naturali: “inabissarsi, disgregarsi, precipitare, franare, affondare, sgretolarsi, incrinarsi, annaspare”. Il poeta è trascinato dalla natura e dalla storia in un turbine di annientamento, privato di un rapporto con l’altro da sé che lo metta al riparo dal «respiro possente» del mondo, dal suo «operoso, micidiale// moto».

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