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Recensioni Le mosche del capitale

Le mosche del capitale di Paolo Volponi
Recensioni: 3/5

C’è un esplicita consapevolezza, nel nuovo romanzo di Paolo Volponi, del silenzio con cui da anni la nostra letteratura elude il confronto con la realtà, e in particolare con il mondo dell’industria e della finanza, del denaro, delle merci, in una parola, del potere. Eppure c’era stato un momento, quello del grande sogno di Adriano Olivetti – al quale non a caso il libro è dedicato -, in cui tutta una generazione di intellettuali e scrittori si era misurata con l’oggettività della produzione, alla ricerca di un incontro, di una sintesi, forse di un’utopia. E’ proprio sul crinale estremo di quelle illusioni, nell’Italia degli anni settanta incapace di disegnare una strategia, intellettuale e civile, che Volponi colloca la vicenda del suo romanzo e in particolare il protagonista, partecipe e vittima della complessità culturale e storica in cui è chiamato ad agire. Bruto Saraccini, dirigente industriale, di formazione umanistica, brillante e duttile, responsabile e orgoglioso, percorre la propria ascesa e caduta nel cono d’ombra, che sulla sua vita e sulla fabbrica proietta il Presidente per antonomasia, Nasàpeti, autorevole e ambiguo come il nome che porta. Ma la sua esperienza, somma e allegoria di un ideale mancato di demoscrazia industriale, si consumerà altrove, in un’impennata che costituisce anche, dal punto di vista narrativo, la chiave di volta del romanzo. Perseguendo il suo sogno, e insieme illudendosi di sfuggire all’aura, fattasi infida, dell’azienda geograficamente, defilata in cui la sua carriera è nata, Saraccini cede infatti al richiamo della grande fabbrica del capoluogo che domina l’industria del paese. Là lo attraggono le lusinghe dell’onnipotente presidentessa, donna Fulgenzia, e soprattutto del nipote di lei, Astolfo, che sembra incarnare la mitica, irraggiungibile figura del Nuovo Imprenditore. Ma il sogno “politico” non può che scontrarsi con un ingranaggio cui non sono consentite divagazioni utopiche: e Saraccini ne uscirà più schiacciato […]

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