Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei - Stefano Levi Della Torre - copertina
Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei - Stefano Levi Della Torre - copertina
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 5 liste dei desideri
Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei
Disponibile in 5 giorni lavorativi
15,20 €
-5% 16,00 €
15,20 € 16,00 € -5%
Disp. in 5 gg lavorativi
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
15,20 € Spedizione gratuita
disponibile in 5 giorni lavorativi disponibile in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Multiservices
16,00 € + 2,50 € Spedizione
disponibile in 5 giorni lavorativi disponibile in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Libreria Nani
16,00 € + 6,50 € Spedizione
disponibile in 8 giorni lavorativi disponibile in 8 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Libro di Faccia
11,10 € + 5,30 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Biblioteca di Babele
8,00 € + 5,00 € Spedizione
disponibile in 2 giorni lavorativi disponibile in 2 giorni lavorativi
Info
Usato Usato - Condizione accettabile
Libraccio
7,20 € + costi di spedizione
Usato
Aggiungi al carrello
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
15,20 € Spedizione gratuita
disponibile in 5 giorni lavorativi disponibile in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Multiservices
16,00 € + 2,50 € Spedizione
disponibile in 5 giorni lavorativi disponibile in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Libreria Nani
16,00 € + 6,50 € Spedizione
disponibile in 8 giorni lavorativi disponibile in 8 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Libro di Faccia
11,10 € + 5,30 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Biblioteca di Babele
8,00 € + 5,00 € Spedizione
disponibile in 2 giorni lavorativi disponibile in 2 giorni lavorativi
Info
Usato Usato - Condizione accettabile
Libraccio
7,20 € + costi di spedizione
Usato
Aggiungi al carrello
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei - Stefano Levi Della Torre - copertina

Dettagli

1994
1 aprile 1994
176 p.
9788870115703

Voce della critica


recensione di Zagrebelsky, G., L'Indice 1994, n. 9

L'ebraismo si incentra sul monoteismo del patto e su Gerusalemme ma questi, oltre che centri di raccolta in unità spirituale e politica, sono anche nuclei iniziali di una diaspora senza fine. È un movimento aperto quant'altri mai: è nutrito di religione, ma non è una chiesa; nutre la politica, ma non è n‚ un'ideologia n‚ un partito. Mancano dogmi e autorità dogmatiche. E pure l'ebraismo non è un semplice ricordo di remote radici comuni n‚ soltanto un connotato delle altre culture in cui vive, un loro semplice 'esprit'. È una realtà vitale ma, essendo allo stato fluido, è difficile sceverare l'accidentale dall'essenziale: è difficile comprenderla.
Ma non è solo difficile. Per chi non sia ebreo, è anche moralmente arduo. Ogni comprensione è anche una differenziazione. E la differenziazione nel caso dello spirito ebraico, ha comportato storicamente discriminazione, persecuzione, sterminio. Cosicché, ogni discorso sui caratteri dell'ebraismo nasce come segnato da un vizio di origine, da un dubbio circa il suo intento pratico: di servire ancora l'intolleranza o, al contrario, di essere mosso da un complesso di colpa. Forse è per questo che oggi più facilmente sono le voci ebraiche quelle che parlano dell'ebraismo senza pregiudizi e senza complessi. Lo dimostra il "Mosaico" di Stefano Levi della Torre, un libro privo di risentimenti, ricco di fascino e pieno di intelligenza. Un libro - aggiungo - che, come sempre quando si tratta di un movimento spirituale al quale si appartiene, è anche necessariamente un'autobiografia intellettuale dell'autore che si interroga in quanto ebreo su ciò che, alla luce della propria coscienza di sé, lo fa essere tale secondo lo spirito. Le parole che seguono sono tutte dentro, o sotto il libro. Il recensore non ha l'ardire di mettersi accanto n‚ tanto meno sopra, per dire la sua. Al più, aggiunge qualche riflessione suscitata dalla lettura.
L'idea che fa da sfondo a tutti i temi trattati è l'apertura all'ascolto e al dialogo, che fa dell'ebraismo una cultura dell'interazione (oltre che dell'interpretazione). Un'idea contraria a un luogo comune circa lo spirito ebraico che Levi appoggia sull'autorità di Arnaldo Momigliano, richiamando il suo 'collegium trilingue', il grande crogiuolo greco-latino-ebraico (con la variante tentata da Maimonide nel XII secolo, attraverso la sostituzione dell'arabo al romano), che tuttora domina indistintamente le nostre menti.
Il carattere iniziale di questo collegio - completamente perduto dalle altre due componenti, ma tuttora vivo per l'ebraismo - risiede nel dare e nel prendere, senza tuttavia rinunciare a se medesimo e perdere la propria identità. L'ebraismo resiste così tanto all'assimilazione quanto alla sintesi culturale.
Per comprendere come la fedeltà a se stessi non contraddica l'apertura al mondo, è decisiva la categoria della possibilità. Lo spirito ebraico si spiega e si rende possibile - si passi l'espressione - attraverso la categoria del possibile. La possibilità non è n‚ verità n‚ realtà. Per intendere che cosa sia il modo di pensare della possibilità, si può confrontarlo col pensiero della verità e della realtà. Il pensiero orientato alla verità induce a dividere il campo con nettezza: o di qua, nella verità, o di là, nell'errore. Non è pertanto incline al dialogo ma, piuttosto, alla correzione, o, se la correzione fallisce, all'annientamento. Con l'errore, la verità non può venire a patti se non negando se stessa. Il pensiero orientato alla realtà, invece, induce ad accettare il fattuale, cioè i rapporti di forza, e quindi a conformarsi a essi, in quanto necessari. Se l'ebraismo avesse adottato la forma di pensiero della verità, si sarebbe chiuso in se stesso, impermeabile al mondo; se invece la forma della realtà, si sarebbe ormai da gran tempo risoluto ad annullarsi nelle culture dominanti. Non è stata n‚ l'una n‚ l'altra cosa perché ha scelto un'altra via, quella appunto della possibilità. (questa è la sua risorsa e, forse, la sua lezione.
La possibilità, per essere tale e non contraddirsi, non può sfociare in verità definitive, non è mai realizzata pienamente e deve sempre di nuovo mettersi in discussione. Accanto al detto c'è qualcosa di non detto che può sempre essere portato alla luce. In tutte le cose - dalle parole eterne della Torah alle esperienze quotidiane di ciascun essere umano - c'è un lato in ombra che dà loro una prospettiva di superamento continuo di quel che è visibile. È un formidabile lievito, una forza sempre in opera per andare oltre, anche se non necessariamente per andare "più avanti". Nella possibilità è infatti compresa anche l'eventualità della sconfitta, dell'essere ricacciati indietro, e il ricominciare da capo è l'espressione della sconfitta. La storia del creato - in quanto tale - non è affatto una storia di sviluppo, o di progresso. Questa è semmai l'interpretazione cristiana del linguaggio biblico. Ma lo spirito dell'ebraismo è piuttosto quello dell'Ecclesiaste vanità delle vanità, nulla di nuovo "sotto il sole". Il progresso o, meglio, la liberazione di Israele è qualcosa che ha la sua sede "sopra il sole" e presuppone non solo l'opera umana ma anche un'irruzione 'ab esterno' (il Messia) nella storia del creato.
La possibilità contiene sempre la potenziale incoerenza rispetto a un pensiero dominante, a una cultura esclusiva, a un'identità forte. Per questo lo spirito ebraico è combattuto come nemico mortale da ogni totalitarismo. Questa è la sua essenza, la sua forza ma anche la sua esposizione alla condanna. Per questo, ogni attenuazione della democrazia e dei diritti in favore di una qualche forma di unità politica concreta, presto o tardi mostrerà il suo nervo antisemita. Forse perché gli sono precluse le opere grandiose (e terribili) della verità e della forza, o perché non può essere assistito dalla fede nelle sue sorti progressive, l'ebraismo è definito da Levi come una cultura, ancorché grande del decadere. Ma è una definizione problematica. Cadere da dove a dove? Forse, sarebbe meglio cultura della mancanza da completare, o della precarietà. '"Halwaj she-ja'amod' disse il Signore, guardando il creato ai suoi primi passi: 'Speriamo che stia in piedi'". Per l'appunto: è come se si fosse sempre ai primi passi e, nell'attesa e nella speranza, si dovessero cogliere le possibilità di farlo stare in piedi.
Il creato e il creatore. Nemmeno il creato è un assoluto. Non è n‚ il cosmo greco, regno dell'armonia realizzata, n‚ la creazione cristiana, definitiva e costringente perché porta il segno immutabile del Creatore. Dal mondo, così com'è, non si cava alcun "dover essere". Anch'esso è una possibilità. È così, ma potrebbe essere in altro modo, o potrebbe non essere. 'Bereshit' - "in principio" -, secondo la prima parola della Genesi, sta a indicare forse che prima c'è un Aleph non detto e forse indicibile. Il principio non è il principio di tutto, non è verità e forza definitiva, irresistibile e inconfutabile. Il principio è "solo" il principio del creato, ma c'è un prima che sta nell'Aleph che è il lato oscuro della creazione e in questo Aleph non detto sta la possibilità del mondo.
Nel monoteismo ebraico, inoltre, forse nemmeno Dio è, in atto, lo squadernamento dell'essere: è anch'esso una possibilità o una serie infinita di possibilità. Il 'sancta sanctorum' ('Qòdesh ha-Qodashim') vuoto ne è la manifestazione, stupefacente e scandalosa non solo per i soldati romani che lo violarono, ma anche per chi pensi a Dio nei termini cristiani. Egli si rivela nel roveto ardente con un motto che è un sottrarsi, un rinviare: "ehejé ashr ehejé", io sarò quel che sarò. Dio e il creato entrano in una storia comune. Cosicché per Dio come per il creato si potrebbe dire che sarà quel che sarà. E questa è un'apertura verso il futuro e il futuro è il regno della possibilità. Il Dio ebraico è un Dio personale, ma sempre sfuggente, che non si presta ad essere utilizzato come fonte di autorità di nessun mediatore, di nessun rappresentante, di nessun vicario, di nessun potere mondano fondato su di lui. Quanto diversa la visione cristiana e soprattutto cristiano-cattolica! L'interpretazione assolutistica del 'nulla potestas nisi a Deo' Paolino è lontana dallo spirito ebraico. Non è casuale che il passo dell'Antico Testamento appena citato, nella versione cristiana, sia normalmente tradotto al presente: io sono colui che è. Il presente è il tempo del vero e del reale, è il tempo delle possibilità esaurite e della negazione di tutto quel che non è. È, in una parola, il tempo della verità e dell'autorità, non di chi interroga e dialoga ma di chi sa già e si prepara ad assumere il ruolo del "vicario esauriente". Questa - dice Levi - è la tentazione del Serpente Antico: "Voi sarete come Iddio quanto a conoscenza del bene e del male" (Genesi, 3,5), la tentazione che si manifesta nel trovare sostituti che valgono come Dio, nell'identificare Dio col suo Vicario, nel sostituire la Chiesa alla Parola.
Se perfino Dio, per quanto Dio personale, resta sempre e solo possibilità, e perciò la persona scolorisce, diventa 'En Sof', "senza fine", cioè un punto che si ritrae sempre continuamente a una "presa" che ne fissi l'essenza, che cosa diviene il problema della fede? L'oggetto del credente è una possibilità, ma una possibilità non può essere oggetto di fede, n‚ positiva n‚ negativa. Può essere piuttosto oggetto di "parola". Rispetto al Dio ebraico, essere e "parola" coincidono. E una grande idea: la parola può essere matrice dell'essere. Ciò che è detto e pensato per ciò stesso esiste nella dimensione che gli è propria, cioè nella dimensione dello spirito. Il problema di Dio - rispetto a tutte le religioni che presuppongono un Dio "che è quel che è" - cambia natura. La domanda così ovvia dal punto di vista del cristianesimo, hai o non hai fede in Dio? diviene qui un non-senso, quasi un'offesa intellettuale. E ciò forse spiega come, dinnanzi a un Dio presente-assente come quello del roveto, anche la linea di demarcazione tra chi lo conosce e chi non lo riconosce diventa molto evanescente.
La verità e l'errore, la ragione e il torto. Addirittura nell'errore e nel torto c'è una parte possibile di vero e di ragione. Anche qui è all'opera lo spirito della possibilità. Negarlo sarebbe postulare una, anzi la certezza definitiva: la distinzione tra il bene e il male. Di nuovo, la tentazione del serpente.
Ha detto Gille Bernheim: "dalla mia formazione filosofica ho imparato a ricercare la maggiore approssimazione possibile alla verità, ma dalla mia vita di rabbino, di talmudista e insegnante di Talmud ho imparato a far dire agli errori la loro parte di verità". Levi, interrogandosi sulla guerra del Golfo - dopo la premessa: "condivido i principi pacifisti" - riconosce che da quella guerra si sono aperte delle possibilità nelle relazioni tra Israele e il mondo arabo. E aggiunge: "Qui c'è questo grande insegnamento: che la violenza è talvolta necessaria ma non per questo è cosa buona; e se la violenza non è buona, non per questo è sempre giusto astenersene". La sintesi di questo intreccio tra male e bene è in questo bellissimo Midrash: "quando il Mar Rosso si chiuse sull'esercito egiziano salvando gli ebrei condotti da Mosè, gli angeli cominciarono a cantare un canto di trionfo. Allora il Santo, Benedetto sia, disse: Tacete! L'opera delle mie mani, gli Egiziani, stanno morendo sprofondati nelle acque, e voi cantate?".
Analogamente: ci possono essere più ragioni, tutte "giuste", in conflitto. Nel conflitto anche radicale non necessariamente si deve stare o da una parte o dall'altra. "La verità è che su quella terra [la Palestina] esistono due popoli, si sono formate due nazioni, quella israeliana e quella palestinese; che là non si fronteggiano tanto una ragione contro un torto, ma una ragione contro una ragione, un diritto contro un diritto". Da ciò la conseguenza: "occorre un compromesso". Il compromesso è forse la categoria della "ragion pratica" più adeguata alla 'forma mentis' della possibilità. Anche a questo proposito si manifesta la differenza cristiana. "Quid est veritas", chiede Pilato nella versione giovannea della Passione di Gesù. Lo scettico procuratore romano non attende risposta perché non crede che possa essere data. Ma Gesù l'aveva già data in altro momento e la ripete: "Io sono la verità". Non dunque una dottrina, sempre disputabile, interpretabile, perfino falsificabile. Una persona! La verità si trasforma in un atto di fede o di amore in una scelta di appartenenza nel segno di un'autorità indiscutibile. Verità e autorità si identificano, così come i relativi modi di pensare, attorno al Dio personale e alla sua autorità.
L'ascolto e il dialogo: il sabato. Il libro termina col saggio "Il sabato e il vuoto". In esso è probabilmente raccolto il nucleo più profondo dell'interpretazione dell'ebraismo proposta da Levi: il sabato come lo spazio mentale e temporale dell'ascolto e del dialogo.
Il sesto giorno, "Iddio vide tutto quello che aveva fatto ed ecco era cosa molto buona" (Genesi, 1. 31). Poi viene il settimo giorno, che è il giorno del riposo e del distacco dal creato. È anch'esso creazione, ma non delle creature, bensì della libertà. Perciò l'opera creatrice di Dio può dirsi veramente compiuta nel settimo giorno (Genesi 2, 1-2), anche se è un giorno di vuoto.
Questo è il sabato di Dio. Il sabato degli ebrei è invece fondato in Deuteronomio 5, 15 ove il Signore ricorda al suo popolo di averlo tratto dalla terra d'Egitto "con mano potente e braccio disteso" e perciò gli comanda di osservare il sabato. Che significa qui "perciò"? Può essere che il sabato sia inteso come giorno del culto e della riconoscenza, in contraccambio della liberazione dall'Egitto. Ma può essere anche che sia inteso come segno, come celebrazione della liberazione ricevuta. Dice Levi: il sabato, insieme, come debito e dono. È il sabato-dono a essere particolarmente denso di significato. Chi, dopo sei giorni di opere, osserva il sabato si sottrae alla passività della creatura e si fa addirittura, in un certo senso, simile a Dio, continuatore della sua opera creatrice. Vediamo in che modo, attraverso "l'andamento sinfonico" della Genesi: "essa incomincia nel frastuono de 'In principio creò Dio il cielo e la terra' e il vuoto e il pieno sono 'tobu vavohu', confusi nel caos. In un istante Iddio creò il caos e lungo i sei giorni si applicò a mettervi ordine separando le cose. Dopo questo attacco vorticoso e poi questo dipanarsi di temi attraverso la scansione dei sei giorni di creazione, arriviamo alla foce di silenzio, di sospensione del tumulto, al riposo del sabato. Tre fasi, si potrebbe dire: la creazione istantanea del caos; sei giorni nel separare e nel distinguere le forme degli esseri, le loro gerarchie e i loro luoghi; e infine quel distillato di vuoto, quella spaziatura tratta dal pieno, la pausa del settimo giorno. Dopo l'indiscreta invadenza del Creatore, il sabato è il suo ritrarsi discreto, la sua fuggevole carezza al creato, la sua rinuncia a esercitare onnipotenza e onniscienza per dare licenza alle creature come altro da Sé, per dare luogo ad altri soggetti e all'imprevisto, all'imprevedibilità delle creature e al libero arbitrio dell'uomo. Sei giorni di comandi, disposizioni e determinismi, ed ecco al settimo giorno l'indeterminato. Conclude la creazione aprendola, opera aperta". Il settimo giorno è il taglio del cordone ombelicale, in modo che il mondo possa vivere e crescere attraverso la propria opera, la propria libertà. I primi sei giorni sono natura; il settimo, artificio. Ma anche l'artificio fa parte della creazione, dell'ordine naturale voluto dal Creatore. In un certo senso, l'artificio, per l'uomo, è la sua stessa natura. Attraverso l'artificio, l'uomo si fa da creatura artefice, a immagine del suo Dio.
Ed ecco, in fine, come splendidamente Levi riassume il significato del sabato, attraverso un passo del I libro dei Re (19, 11-13): '"Ed ecco passare il Signore preceduto da un forte vento che spianava i monti e spezzava le pietre, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. E dopo il fuoco una voce di silenzio lieve ('qol dmamà daqqà'). Quando Elia la udì si coprì la faccia col mantello...' Questa mirabile teofania del profeta Elia riecheggia le cadenze della Genesi: il rombo del caos e della creazione sfocia in questa 'voce di silenzio lieve' che è il lago del sabato: non nel frastuono degli eventi; ma nel silenzio, nella pausa, nel riposo ascoltiamo la voce dialogante". Qui ci ricongiungiamo all'inizio. Nel sabato c'è la quintessenza dello spirito della possibilità: non volontà di potenza ma ascolto e dialogo, atteggiamento di mite disponibilità e ricettività. La libertà o, almeno, la libertà ebraica - suggerisce Levi - è questa, non quella.
Il rapporto con il cristianesimo. Dal punto di vista teologico, la ragione del bimillenario conflitto del cristianesimo con l'ebraismo è identificata nella cosiddetta teologia della sostituzione: la Chiesa come nuova e "vera" Israele o seconda Gerusalemme; il Dio dell'amore e dei cristiani (il Nuovo Testamento) che prende il posto del Dio della vendetta degli ebrei (il Vecchio Testamento). Quale che sia la costruzione di questo rapporto di sostituzione (se non come abrogazione - secondo l'eresia marcionita: Gesù come liberatore dal Dio crudele nell'Antico Testamento - almeno come incorporazione/completamento/superamento), è chiaro che, per i cristiani, la loro stessa presenza rende ingiustificata la persistenza del patto dell'Antico Testamento, cioè l'elemento essenziale dell'ebraismo. Il cristianesimo si presenta come l'erede della religione ebraica. Ma la difficoltà è precisamente questa: che c'è un erede, ma il morto vive. "Il dramma del Cristianesimo è stato quello di ereditare la 'nuova elezione' non da un morto ma da un vivente". Ma - aggiunge Levi - ereditare da un vivente invece che da un defunto determina una concorrenza ed è un caso classico di faida familiare che, dal punto di vista dell'erede, apre un'alternativa: o la soppressione di chi non vuole morire o la dichiarazione di morte civile per incapacità di intendere e di volere. Due strade tentate entrambe dal cristianesimo senza successo. Entrambe consistono in atti di guerra e, poiché non hanno raggiunto lo scopo, c'è il rischio che si continui tragicamente così, se non ci si mette su un'altra strada.
Il paradosso è questo: se gli ebrei avessero abiurato la loro religione, se non esistesse dunque più la religione dell'Antico Testamento, non ci sarebbe nessuna difficoltà per il cristianesimo a riconoscersi in quella e perfino a onorarla come la propria radice (secondo le parole di Paolo: Romani, 11, 17-18). La pietra dello scandalo non è allora la religione come tale ma il fatto che vi sia ancora chi la pratica. È l'ebreo religioso, non la sua religione, la difficoltà per il cristiano. Levi vede qui la matrice teologica dell'antisemitismo. La permanenza dell'ebreo rappresenta per il cristiano il proprio fallimento o, almeno, il proprio mancato compimento e impedisce l'unità messianica di un mondo che pure ha origini comuni riconosciute. "L"Alleanza' con Dio sono due alleanze, la rivelazione, due rivelazioni, due sono i Testamenti. Se il male e la frantumazione del mondo smentiscono il 'Messia già venuto' del cristianesimo, e se l'ebreo rappresenta sinteticamente quel male e quella scissione, allora l'ebreo rappresenta il fallimento messianico del Cristianesimo, è colpevole e insieme il 'capro espiatorio' di quel fallimento".
È necessario uscirne. La necessità è fortemente avvertita oggi anche nel mondo cristiano e cattolico in particolare. Ne sono testimonianza il Concilio Vaticano II e l'impegno del Papa attuale che trova sostenitori autorevoli dentro la Chiesa. Ma come? Chi ragiona nei termini della luce e delle tenebre si trova di fronte a una barriera insuperabile. Anzi, mentre per le altre religioni il cristianesimo può fare la distinzione tra l'errore e l'errante, condannando il primo e dando speranza al secondo, per l'ebraismo questa distinzione non è altrettanto facile, in quanto lo scandalo sta non nella religione ma negli uomini che continuano a praticarla. Forse, l'unica strada è quella di una scommessa reciproca. Il cristianesimo scommetta sull'avvento prossimo venturo del regno di Dio, con il ritorno del Cristo ripetutamente annunciato nel Nuovo Testamento. Gli ebrei scommettano sull'avvento del vero Messia. Ciascuno prenda sul serio la propria promessa. Poiché - sia lecito in cose tanto gravi dire così - non è prevedibile a tempi brevi n‚ il primo n‚ il secondo avvento, nell'attesa avremo almeno salvaguardato le condizioni della coesistenza, del reciproco rispetto, dello studio e del dialogo. Se queste espressioni vogliono avere un significato e non ridursi a semplice promozione di buoni sentimenti dell'uno verso l'altro, deve valere questa scommessa. Il che significa, dalle due parti, dare prova dello spirito della possibilità, non dubitare di sé. Si può essere certi - 'rebus sic stantibus' - della propria fede ma, tuttavia, non escludere che la provvidenza cambi lo stato delle cose. Negare questa eventualità, del resto, sarebbe quasi una bestemmia contro la promessa divina. Lo spirito della possibilità - così ostico al cristianesimo del dogma - è l'estremo omaggio alla provvidenza del proprio Dio.

Leggi di più Leggi di meno

Conosci l'autore

Stefano Levi Della Torre

1942, Torino

Stefano Levi Della Torre (Torino, 1942), pittore e saggista, vive a Milano e insegna alla Facoltà di Architettura del Politecnico. Ha pubblicato: Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei (Rosenberg e Sellier 1994), Essere fuori luogo. Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno (Donzelli 1995, premio Pozzale-Luigi Russo 1995) ed Errare e perseverare. Ambiguità di un giubileo (Donzelli 2000). Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore