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Come si può non amare un uomo che si definisce "da qualche parte a nord dell'inferno"? L'ispettore Rebus nella sua fragilità di essere umano che affoga i suoi fallimenti e i suoi incubi nella bottiglia, che è ossessionato da vecchie indagini e dall'idea di non poter dare un po' di giustizia alle vittime, dimenticate più in fretta di chi le ha uccise, è un ritratto amaro e veritiero di un antieroe ammaccato ma non sconfitto. In questa indagine complessa in cui si intrecciano più casi, alcuni vecchi nel tempo, che riaprono vecchie ferite e ossessioni che faticano a morire, riesce con la sola ostinazione, andando contro tutte le regole, pestando piedi e finendo pestato più di una volta, a dipanare una intricatissima indagine. L'aspetto psicologico e lo sguardo d'insieme sulla società scozzese lo rendono una lettura densa ed estremamente interessante al di là dell'intreccio giallo, comunque ben riuscito. Occorre, comunque, superare le prime cento pagine e non perdersi in nomi e richiami che rischiano di portare fuori strada.
Rankin è un ottimo narratore: prosa diretta, senza tante smancerie... e per quel che riguarda la trama, c’è un bel cambiamento rispetto al primo della serie: Cerchi e Croci. C’è un enorme cambiamento perché qui la storia è davvero complessa. Pare si tratti della classica indagine su un serial killer che ne copia un altro (a proposito, nel romanzo si parla di Bible John un serial killer veramente esistito e che non è mai stato arrestato, Rankin ne parla nella bellissima postfazione) e invece vengono sviluppate in parallelo tre storie, in un continuo andare e tornare tra città, viaggi in elicottero, aereo, incursioni in mare dove si estrae il petrolio e poi pub, stazioni di polizia, insomma. Rankin ti tiene incollato alle sue pagine senza lasciarti tregua e regalandoti, per tutta la durata del libro, una vera e propria colonna sonora. Non so quanti brani vengano citati… ma è una cosa che mi è piaciuta un sacco. Inoltre ci sono molti personaggi (all’inizio è anche un po’ complicato ricordarne i nomi) e situazioni adrenaliniche che… ecco, in un paio di occasioni leggevo con le palpitazioni accelerate! Rebus assomiglia molto al Bosch uscito dalla penna di Micheal Connelly, a volte gli assomiglia tanto da diventare imbarazzante… Rankin e Connelly che partoriscono questi gemelli a chilometri di distanza, chissà se influenzandosi a vincenda o no, quel che è certo è che le date di pubblicazione sono vicine: non credo neppure che si siano letti (chissà! Sarebbe interessante saperlo). Ci sono davvero tante caratteristiche che li accomunano, anche certe “scene” – bellissimo l’interrogatorio subito da Rebus per conto di Ancram che mi ha fatto tornare in mente quello MEMORABILE che Bosch subì… ne L’ombra del Coyote. Nonostante questa “somiglianza” con il Bosch di Connelly, il libro è davvero godibile, Rebus un personaggio che approfondirò ancora, non dimenticandomi MAI che purtroppo la casa editrice ha saltato numerosi libri della saga, rovinando la lettura dei fans italiani in modo irreparabile. :-(
Buon libro. Rankin è un solido narratore, capace di elaborare trame complesse e ambiziose senza che vi siano cadute di tono. Morte grezza è un mastodontico thriller che vola via bene dopo le prime 150 pagine di "ambientamento" nella società scozzese, senza pagare troppo il fatto – al di là, appunto, di questo tempo d’ambientamento dovuto soprattutto ai parecchi nomi che vi si incontrano – che questo romanzo sia già molto avanti nella cronologia della saga dell’isp. Rebus, qui all'ottavo appuntamento con i suoi lettori britannici ma soltanto al secondo per noi bistrattati italiani, schiavi di case editrici miopi e poco professionali. Il libro decolla con la trasferta di Rebus all’interno del mondo del settore petrolifero: è da qui che esce alla grande il personaggio, cupo e pieno di vizi ma anche sarcastico e dotato di spiccata personalità quando messo alle strette. Molto buoni gli interrogatori in cui è coinvolto, assolutamente all’altezza di quelli, leggendari, de L’ombra del coyote di Connelly. Ecco, appunto... Connelly. Ian Rankin non è l’Ellroy scozzese, come recita stoltamente la copertina italiana, ma è quasi la copia del famoso Michael Connelly di losangelina memoria.l’impressione è che Rankin abbia più talento puro, mentre Connelly è, soprattutto quando scrive dell’ispettore Bosch, una perfetta macchina simulativa che quasi mai riesci a cogliere in fallo. Ad esempio, sulle scene d’azione Connelly è un maestro, non esagera mai, i suoi personaggi si tolgono dagli impicci in modi verosimili (Rankin qui invece ne ha fatta una grossa...). Diciamo che se piace Connelly piacerà anche Rankin, e viceversa. Non mi è molto piaciuto il finale. Ho condiviso la scelta di base dello scrittore, ma è indubbio che il tutto sia un po’ moscio: qualcosa sulle identità dei colpevoli si sapeva già da metà libro, le altre rivelazionio non sono granchè. Tutto scivola via in modo realistico ma fin troppo scialbo. In una saga che continua ci sta, ma come romanzo a sè stante potrebbe lasciare delusi. Leggete prima Cerchi e Croci.
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