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La morte come pena. Saggio sulla violenza legale
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2000
Tascabile
XX-206 p.
9788879895811

La recensione di IBS

Quali sono i meccanismi che hanno portato a legittimare l'idea di usare la morte come "pena"? Si può pensare di uccidere per fare giustizia? E come si può infliggere, senza con ciò sentirsi artefici di un'aberrazione, la più crudele delle torture, quella che differisce l'attuazione della pena, in attesa di una sua improbabile sospensione? Questo libro - la cui prima edizione risale al 1982 - nasce con un orientamento molto preciso: non tanto ricostruire la storia della pena di morte, quanto guardare alla morte come pena. Non è un gioco di parole. Accogliere il primo presupposto significa dare per indiscutibile la bestialità umana e accettare l'uccisione «giudiziaria» di una persona come un fatto naturale e ovvio, che è sempre esistito, del cui svolgimento si narra la storia, cominciando dagli antichi egizi o dagli assiro-babilonesi e finendo ai giorni nostri.
Guardare dal secondo punto di vista significa constatare, innanzitutto, come non sempre la pena di morte è stata usata come pena, e individuare come, quando e perché un mezzo di tale brutalità è stato utilizzato dal legislatore, esaltato dagli intellettuali, applaudito dalla folla e, in poche parole, sanzionato, presentato e sentito come uno strumento consono alla civiltà e alla religiosità di un popolo. Visto così, il problema non è più quello di prendere atto della bestialità umana, ma cercare di capire perché l'istinto omicida è stato sublimato in istituto giuridico; e come e quando è avvenuto che un momento impulsivo e incontrollabile dell'agire umano è stato trasformato in azione legale, razionalmente calcolata e predisposta, regolata da precise norme, e sanzionata con una sentenza.

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