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Il morbo dei dottori. La strana storia di Ignác Semmelweis
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Il morbo dei dottori. La strana storia di Ignác Semmelweis - Sherwin B. Nuland - copertina
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morbo dei dottori. La strana storia di Ignác Semmelweis

Descrizione


Un medico ha l'obbligo di lavarsi le mani prima di prendere in esame un paziente. Oggi è banale, appartiene alla categoria del buon senso, più che a quella della deontologia. Eppure nella Vienna della metà del 1800 era un'idea sovversiva. A tirarla fuori era stato un uomo qualunque, un medico anonimo: il suo nome era Ignàc Semmelweis. Mentre il numero dei decessi per febbre puerperale cresceva sempre più, Semmelweis aveva scoperto dove si nascondeva la minaccia, quale era la causa. A diffondere la malattia erano i medici stessi. Pur avendo un immediato effetto positivo i suoi suggerimenti spaventarono la gerarchia medica, che confinò Semmelweis nell'ombra.
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Dettagli

2004
146 p., ill. , Brossura
9788875780067

Voce della critica

Un medico ha l'obbligo di lavarsi le mani pri-ma di prendere in esame un paziente, specialmente dopo aver visitato la sala settoria o quella chirurgica. Oggi questa nozione è banale. Eppure, nella progredita Europa dell'Ottocento, era idea destabilizzante e sovver-siva. Un oscuro medico, Ignàc Semmelweis, aveva capito che i sempre più numerosi decessi per febbre puerperale erano dovuti ai medici stessi. Pur ottenendo un immediato effetto positivo, i suoi suggerimenti spaventavano però la gerarchia medica, innescando opposizioni e denigrazioni, che solo molti anni dopo ricercatori come Pasteur, Lister e Koch riuscirono a superare, codificando in maniera definitiva la teoria della trasmissione infettiva del-le malattie. Una vicenda apparentemente piccola, quella di Sem-melweis, che però ha cambiato il corso della storia, e non solo della medicina.

Sherwin Nuland, che insegna chimica chirurgica a Yale ed è noto bioeticistica e storico della medicina, ha costruito un saggio di terribile forza e di grande presa sul lettore. La storia di come i medici diffondessero da donna a donna la febbre puerperale è agghiacciante; di come continuassero a farlo, avendo un'alternativa semplice a tale ecatombe, sono segni di arroganza e ignoranza infinite.

Eppure, lo spettro della febbre puerperale nasceva da un'importante riforma medico-sociale, la fondazione dei reparti di maternità, che si dimostrarono così un'arma a doppio taglio. L'epidemia all'Hòtel-Dieu fornì la prima prova che gli ospedali sarebbero stati soggetti al diffondersi della febbre puerperale. Nel mese di febbraio del 1746, venti puerpere caddero vittime della malat-tia e nessuna sopravvisse. La malattia si ripresentò ogni inverno fino al 1781. Le statistiche degli altri ospedali sono simili. L'Ospedale di maternità di Dublino subì, fra il 1764 e il 1861, un totale di ventitre epidemie distinte. A par-tire pressappoco da questo periodo, epidemie della malattia furono segnalate da un'istituzione dopo l'altra in tutta Europa. Una frase particolarmente rivelatrice sul divampare della febbre puerperale appare in un articolo nel 1773 sul Regio ospedale di Edimburgo: "Quasi tutte le donne, non appena partorito o 24 ore dopo, furono colpite da essa, e tutte morirono, anche se fu usato ogni metodo per curare la malattia. La malattia non esisteva in città". Era questa un'osservazione che avrebbero fatto molti dei testimoni dell'epidemia in tutte le grandi città europee. Una partoriente che entrava in ospedale si esponeva a un tasso di mortalità più alto di quello cui sarebbe stata esposta partorendo a casa propria. Certo, sporadiche epidemie erano segnalate nella pratica di singole levatrici e ostetrici, ma il totale era molto inferiore rispetto a quello degli ospedali. Non solo l'incidenza era inferiore, ma lo era anche la mor-talità associata: quando la malattia si verificava dopo un parto in casa, ne moriva il 35 per cento delle vittime; in ospedale, fra 1'80 e il 90 per cento.

Un dato particolarmente impressionante si può ricavare confron-tando le statistiche di mortalità materna di una struttura specializza-ta in soli parti esterni con quelle dei reparti ospedalieri di maternità: fra il 1831 e il 1843 solo 10 madri su 10.000 morirono di febbre puerperale partorendo in casa tramite la Royal Maternity Charity di Londra, mentre ne morirono 600 su 10.000 nelle corsie dell'Ospedale di maternità cittadino.

Semmelweis intuì, sulla base dell'esperienza diretta e di un'attenta osservazione clinica e statistica allo stesso tempo, che la febbre puerperale era il prodotto delle infezioni portate dalle mani lorde di sangue e di pus degli ostetrici. Era in fondo il risultato di intuizione personale, ma anche di un diverso approccio alla fisiologia patologica, che proprio in quegli anni (verso il 1840) stava emergendo. Bastava lavare allora con cloruro di calce le mani, prima di intervenire sulle puerpere, per abbattere il rischio di febbre. I risultati del suo reparto all'Ospedale generale di Vienna e di quelli in cui la pratica venne introdotta ne erano la riprova lampante. Viceversa l'opposizione della classe medica dominate fu aspra e la reazione di Semmelweis piuttosto scomposta e infine lunatica.

Possiamo allora leggere il libro di Nuland come un saggio di storia della scienza, come un romanzo noir, come una riflessione sulla natura umana. Ancora, il libro ci offre l'occasione di capire come un'innovazione, potenzialmente molto feconda, può innescare terribili conseguenze. Lo studio autoptico dei cadaveri ha fatto progredire infatti e in modo straordinario la medicina, ma la pratica della dissezione in contiguità con la corsia è stata la causa di enormi dolori. Come non stupirsi poi delle differenze sociali drammatiche che l'Ottocento vedeva nell'assistenza sanitaria e che avevano portato alle istituzione ospedaliere proprio per aiutare i ceti più poveri, affliggendoli di un ulteriore flagello, le infezioni ospedaliere.

Nuland ha giocato molto del suo discorso per sostenere che "chi è causa del suo mal pianga se stesso".

Molti biografi di Semmelweis hanno creato infatti una mitologia, dove la sua vita è paragonata a una tragedia alla maniera di Eschilo, in cui l'eroe viene distrutto da dei malevoli, forze che sfuggono al suo controllo. Secondo il saggio di Nuland, la vita di Semmelweis somiglierebbe di più a una tragedia di Sofocle, dove il fato dell'eroe è gover-nato non dalle azioni degli dei, bensì da un errore fondamentale nel-la sua stessa natura: Ignàc Semmelweis, un gran-de eroe, con una grande verità e una grande missione, che si perde in una arroganza sfrenata, sino all'autodistruzione. "Non la causarono gli dei, i professori di ostetricia: fu l'eroe stesso a provocarla".

Confesso di condividere solo molto parzialmente queste conclusioni. Se Semmelweis morì di morbo Alzheimer, manifestando negli ultimi anni di vita un carattere violento e irascibile, come non condividerne peraltro l'irrefrenabile indignazione, di fronte alla stupidità criminale di moltissimi suoi colleghi? È troppo vero il verso di Brecht: "Noi che avremmo voluto essere gentili, noi non potremo esserlo".

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