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Montemassi. Terra e miniera in una comunità della Maremma
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1986
1 giugno 1986
238 p.
9788870112504

Voce della critica


recensione di Bologna, S., L'Indice 1987, n. 3

Dalla mezzadria alla miniera, potrebbe essere il sottotitolo di questo libro, frutto di un'accurata e intensa, per partecipazione, ricerca sui paesi di Montemassi e Ribolla, che si affacciano sulla Maremma in provincia di Grosseto. Condotta in buona parte su fonti orali donne la maggioranza dei testimoni guarda il lavoro agricolo dei patti colonici dall'interno della struttura familiare. Schizzato con grande sobrietà e quasi con pudore, ne esce un quadro impressionante dello sfruttamento cui era soggetto il mezzadro. La partecipazione al prodotto e l'uso della casa colonica davano al mezzadro un'illusione d'autonomia, che era necessaria per legare la forza lavoro a terre la cui configurazione era tale da limitare l'uso della meccanizzazione. Dissodare e coltivare i terreni sassosi che si affacciavano sulle paludi malariche poteva essere solo opera di braccia. Il collettivo familiare rappresentava la squadra, era la cellula cooperativa adatta al livello tecnico. Sicché è la donna l'asse attorno a cui ruota la divisione dei compiti tra i membri della famiglia (a partire dai 4/5 anni i bambini entravano a pieno titolo nella divisione del lavoro). Stupisce, in comunità dove la concezione della famiglia cattolica è la massima ideologia sociale, la freddezza della pianificazione familiare. Le limitatissime risorse portano a contenere il numero delle nascite. L'unità mezzadrile importa stagionalmente bracciantato; questo meccanismo mette in moto flussi migratori e la composizione regionale dei residenti si fa più varia. Il mezzadro ha l'illusione di trovarsi non al gradino più basso ma al centro di una stratificazione sociale, dove gli immigrati lavoranti occasionali occupano il gradino inferiore. L'economia mezzadrile è di fatto un'economia del baratto: da un lato i debiti del mezzadro verso il padrone, dall'altro lato il lavoro prestato. La divisione del prodotto, fondamento economico del patto mezzadrile, è in realtà un rito. La sostanza del rapporto economico sta nel nesso indebitamento-opera. In questa comunità arriva ai primi del secolo la miniera e, col fascismo, la Montecatini. "Ci si sente più liberi in miniera" - dice un ex mezzadro - "quando lavori i campi cento occhi ti guardano". Arriva la forma salario, che accomuna nativi e immigrati, cambiano le abitudini e il reddito medio aumenta. La bonifica della piana malarica toglie a Montemassi l'atavico senso dell'assedio. A questo punto il racconto di Silvia Pertempi s'avvia per i binari della classica "storia operaia". I problemi delle tecnologie estrattive, l'assenteismo della Montecatini sul piano dell'innovazione rende drammatico il problema della sicurezza. Gli incidenti si susseguono. Finisce il fascismo, la situazione peggiora, la presenza di Pci e sindacato servono più a diffondere il mito dell'eroismo operaio che a garantire la sicurezza dei lavoratori. Finché un'esplosione più grave delle altre, con decine di morti porta alla chiusura dei pozzi. E qui comincia l'umiliante storia del processo alla Montedison e dell'indennizzo ai familiari. Pur di cavarsi dagli impicci la Montedison paga bene. E tra le famiglie si diffonde il rammarico di non avere qualche morto da mettere sul conto... 

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