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Il mondo non è bello se non veduto da lontano. Lettere (1812-1835)
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Il mondo non è bello se non veduto da lontano. Lettere (1812-1835) - Giacomo Leopardi,Paolina Leopardi - copertina
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mondo non è bello se non veduto da lontano. Lettere (1812-1835)

Descrizione


In queste lettere la sorella del poeta esce dall'ombra di un fratello straordinario. Paolina si fa spazio fra queste righe e parla di molte cose: di una prigionia femminile che è fonte di sofferenza e frustrazione, di una curiosità indomita, di un desiderio di libertà che diventa viaggio interiore e intellettuale, di un amore fraterno profondissimo che si incrinerà per gli orientamenti ideologici sempre più contrastanti, fino al silenzio. Paolina è per Giacomo un'interlocutrice colta e vivace, complice e sostenitrice, uno spirito inquieto esiliato nel severo Palazzo Leopardi; e lui la conforta da lontano con le sue bellissime lettere che le aprono il mondo: le città, le letture, gli incontri, mescolati al fluire della vita intima e alle "bagattelle" che restituiscono il sapore del quotidiano. Emerge da questo dialogo non soltanto il ritratto di due "anime" malinconicissime e appassionate, che si specchiano a distanza, ma anche l'immagine di una società chiusa e dura, alla quale entrambi tentano caparbiamente di resistere.
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Dettagli

2014
195 p., Brossura
9788874525171

Voce della critica

  L'immagine del lettore che esce di casa per andare in libreria, che cammina davanti agli scaffali della narrativa, della saggistica, della poesia, e poi sceglie di comperare un carteggio o un epistolario di un grande scrittore, è certamente un'immagine poco frequente. Non perché le lettere, intese come corrispondenza tra due interlocutori distanti tra loro, siano meno accattivanti della narrativa, della saggistica e della poesia. È solo che un romanzo, un saggio o una qualsiasi raccolta di poesie, a differenza di un epistolario, che raccontino una storia o che forniscano un'esegesi nuova e comunque relativa, abiteranno sempre quella zona oscura in cui il lettore li cerca, che è il confine labile e necessario tra finzione e realtà. Un epistolario o un carteggio, invece, suscitano il cosiddetto sentimento del sublime, per cui il lettore si sente insieme attratto e impaurito, costretto a fare i conti con se stesso. Da un lato, avrebbe l'opportunità di restituire carne ed ossa al suo scrittore preferito, di avvicinarsi a lui, di riconoscerne le debolezze e i lati oscuri. Dall'altro, però, il lettore è cosciente che leggendo quelle lettere violerà la dimensione privata del suo scrittore preferito, che non avrebbe mai pensato (e forse voluto) che le sue lettere venissero pubblicate. E quindi, che fare? Quale potrà essere la scelta giusta? Non è facile per il lettore, specie se si trova di fronte alle lettere scritte e ricevute da Giacomo e da Paolina Leopardi. Il titolo riprende una lettera che Giacomo scrive alla sorella, durante il soggiorno romano dagli zii, il 28 gennaio del 1823. Paolina, il 13 gennaio, aveva scritto al fratello una lettera icastica sulla sua condizione, a metà tra la noia e la disperazione: "Il peggio è il non avere alcuna speranza, neppur lontana, di miglioramento; no, non vedere per fine a questo stato altro che la morte!". Nella lettera di risposta, Giacomo compatisce la sorella, che la sua non è che una sofferenza passeggera e che deriva dall'immaginazione, il luogo da cui "vengono tutti i nostri mali": "Dopo tutto questo non ti ripeterò che la felicità umana è un sogno, che il mondo non è bello, anzi non è sopportabile, se non veduto come tu lo vedi, cioè da lontano". Esattamente un anno dopo, verrà alla luce la prima edizione delle Operette morali, e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare Giacomo tornerà a esprimersi sul tema della lontananza, della solitudine, di una vita in disparte che rischia di assumere sempre di più le sembianze di un esilio. Lontano dalla realtà degli uomini, dal rumorio della quotidianità, l'uomo, esiliato nel proprio silenzio, non può far altro che immaginare, che fidarsi dei propri ricordi della vita insieme agli altri, che col tempo si fanno più vaghi e quindi più dolci. "E poi – scrive Paolina – il paese dove abito io, è casa Leopardi". Difatti, tutte le lettere che Paolina scrive al fratello (che prima è a Roma, poi a Bologna, Pisa, Firenze, Napoli), vengono spedite da un unico luogo: il "natio borgo selvaggio" di entrambi. E quindi Giacomo diviene come una finestra sul mondo per la sorella che, passivamente, si convince che il suo destino sia quello di attendere che qualcuno scelga per lei, si tratti di un marito o della vita in generale. Mentre "Giacomuccio" viaggia e si fa conoscere nel "gran mondo", Paolina si chiude in un vittimismo cosmico, divenendo una facile preda della speranza, "passione turbolentissima, perché porta con sé necessariamente un grandissimo timore che la cosa non succeda". Speranza che il fratello aveva già abbandonato, divenendo "filosofo di professione" (Zibaldone, 144). Il lettore, ogni tanto, s'illude che Paolina possa smentirsi, come in quella lettera datata 15 febbraio 1828: "E quando mi farai conoscere quella parte di mondo ove abiti? Questo è quello che io non vedo chiaro; ma pazienza! Tu stai bene, e questo è tutto". Anche se negli anni il loro rapporto sarà destinato a incrinarsi, per alcune divergenze ideologiche e prevalentemente religiose, lo scambio epistolare tra Giacomo e Paolina testimonia un amore infinito e corrisposto, un amore necessario anche per le sorti della letteratura italiana. Perché quando ci si ritrova nella cerchia dei familiari o degli amici di un genio, come Giacomo Leopardi, quei familiari e quegli amici non possono che essere accomunati dalla perdita della propria identità. I loro nomi rischiano di non avere più alcuna importanza, se non in relazione alla figura del grande poeta recanatese. Allora diverranno il padre di Giacomo, la madre di Giacomo, il fratello di Giacomo, l'amico di Giacomo. La sorella di Giacomo, invece, nonostante la sua reclusione querula, in queste lettere torna in possesso della sua identità. Paolina Leopardi, appassionata lettrice di romanzi e traduttrice di testi francesi. E come scrive giustamente Antonio Prete, Paolina "ha partecipato a quella tessitura visibile e nascosta di pensieri e ritmi e prosodie che chiamiamo letteratura. Chi può dire quanto e dove le ombre hanno agito, facendosi seme o sorgente o occasione o limite o margine?".   Giorgio Biferali    

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Conosci l'autore

Giacomo Leopardi

1798, Recanati

Primogenito del conte Monaldo e di Adelaide dei marchesi Antici, crebbe in un ambiente politicamente e culturalmente retrivo, del cui conformismo non tardò a soffrire. Ricevette la sua prima educazione dal padre (il quale coltivava interessi letterari ed eruditi) e da precettori ecclesiastici, ma presto continuò gli studi per conto proprio nella ricca biblioteca paterna, perfezionandosi nella conoscenza del latino e imparando da solo il greco, l’ebraico e alcune lingue moderne. Risalgono a questo periodo (1808-16 ca) le sue versioni di Esiodo, degli Idilli di Mosco, del primo libro dell’Odissea, della Batracomiomachia, e la composizione di rime bernesche, di due tragedie, di poemetti biblici, di dissertazioni filosofiche, di opere erudite come la Storia dell’astronomia...

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