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Modernità in polvere - Arjun Appadurai - copertina
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2001
280 p.
9788883530609

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Deborah Marinacci
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Rivisitati i concetti classici dell'antropologia come "etnia" e "cultura", in favore di nuove mappe globali, con comunità immaginate e inediti panorami identitari.

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Voce della critica

Dopo gli eventi dell'11 settembre è ormai evidente come la realtà sociale contemporanea non sia più pensabile in termini di mondi, nazioni o comunità isolate, radicate e indipendenti tra loro. Per quanto gli individui continuino ad agire in luoghi specifici, ciò che risulta adesso sotto gli occhi di tutti è come i vari luoghi geografici siano legati in vario modo tra loro attraverso una continua circolazione di oggetti, persone e informazioni. A questo proposito, all'interno dell'ampio dibattito internazionale esistente in antropologia intorno al nesso tra "locale" e "globale", un'attesa traduzione italiana è quella dell'ormai classico libro di Arjiun Appadurai Modernity at Large. Nello specifico, l'opera è volta soprattutto a esplorare il nesso tra politica e cultura. L'idea di fondo è che la realtà sociale contemporanea sia leggibile come un insieme di vari scapes (scenari) di tipo etnico, mediatico, ideologico, economico e tecnologico. Da un lato, articolati in flussi e processi largamente deterritorializzati. Dall'altro, interagenti tra loro non in modo lineare ma in base a vari tipi di disgiunture e connessioni. In quest'ottica, a partire da una messa a fuoco su India e Caraibi, varie sono le questioni toccate: la crisi della tradizione, il nesso tra ritmi, stili di vita e consumo, gli effetti politici delle ricerche statistiche sulle popolazioni nazionali, il ruolo dello sport nella costruzione delle identità post-coloniali e il peso giocato dalle varie retoriche e ideologie del "luogo" (patria, territorio e tradizione) nei conflitti e nelle strategie degli stati-nazione contemporanei. Anche se un certo elitarismo cosmopolita spinge l'autore ad attribuire un peso tutto sommato eccessivo all'immaginario mediatico rispetto alle reali esperienze della vita quotidiana, l'ampiezza e profondità del lavoro risulta però utile a illustrare due aspetti centrali delle attuali ricerche sulla globalizzazione sviluppate all'interno dell'antropologia culturale. Primo, il loro approccio critico nei confronti delle spesso troppo ampie, generiche e ideologiche speculazioni presenti in quest'ambito di ricerche (ad esempio: Fukuyama, Huntington, Wallerstein). Secondo, il loro interesse ad articolare un insieme di nozioni e ricerche sul campo utili a esplorare i vari tipi di impatti esercitati dalla globalizzazione senza perdere di vista le specificità storiche ed etnografiche dei luoghi che questi flussi globali legano, intrecciano e attraversano. Come a dire: di contro ai vuoti, alle lacune e alle ingenuità presenti in molte delle macroanalisi sul tema, il contributo delle ricerche etno-antropologiche sembra consistere in un invito al rigore, alla modestia e all'approfondimento delle indagini.

Come ogni topica di ricerca sociale, anche il dibattito antropologico sulla "globalizzazione" presenta varie sfaccettature. Una della tante variazioni sul tema è offerta dall'ultimo libro di Amselle. In questo caso l'opera affronta la questione in base a una serie di interventi articolati in larga parte in base a un impianto etnografico ed esperienziale. Muovendo da vari esempi tratti dall'ambito delle proprie ricerche in area africana e inspirandosi alla lezione della scuola "dinamista" francese (Georges Balandier), l'autrice si adopera a far retroagire l'idea di globalizzazione anche sul piano storico sottolineandone due aspetti centrali. Primo, la necessità di pensare i vari mondi culturali non come entità pure, statiche e omogenee poi contaminate dall'arrivo dei "bianchi" e del colonialismo, ma al contrario come reti di connessioni ibride, eterogenee e frammentarie già fin dalla loro origine. Secondo, l'utilità di mettere a fuoco l'urto tra la logica "meticcia" delle varie realtà culturali (lingua, origini, religione, filosofie, tradizione) e la logica "essenzialista" impiegata dai politici locali, dagli etnologi del passato e dai vari movimenti afrocentrici per darne conto. Sempre restando all'interno del dibattito "continentale", un ulteriore esempio dell'impatto teorico esercitato dal fenomeno "globalizzazione" è fornito dalla raccolta di saggi Oltre il folklore curata da Pietro Clemente e Fabio Mugnaini (Carocci, 2001; cfr. "L'Indice", 2002, n. 3), un testo che, lungi dal limitarsi a esplorare realtà esotiche e lontane, illustra come il tema della globalizzazione tocchi da vicino anche il mondo europeo e il campo delle ricerche folkloriche. Alla necessità teorica di andare oltre agli oggetti delle ricerche folkloristiche "classiche", il volume aggiunge una riflessione di ordine metodologico: la necessità di optare per una metodologia che analizzi non solo i "tratti" culturali in sé ma anche la vita locale e le "performance" sociali in quanto contesti e situazioni nelle quali il folklore si esplica, si riproduce e si modifica. Dato il tipo di temi e di riferimenti adottati, si potrebbe dire che nel loro insieme le due opere stesse appaiono l'esito di una certa globalizzazione disciplinare in atto. Per quanto resti pur sempre forte il peso esercitato dalle proprie locali tradizioni disciplinari, le modifiche introdotte dai due volumi nel dibattito disciplinare dei rispettivi paesi, sembrano indicare l'inizio di una lenta apertura dell'asse teorico franco-italiano verso un esplicito dialogo con il dibattito internazionale di lingua anglofona.

Uno dei temi "caldi" presenti negli ormai numerosi dibattiti sulla globalizzazione è di certo quello delle ineguaglianze da essa prodotte e incrementate. Di questa cupa e tragica situazione i libri di Bales e di Scheper-Huges aiutano a mettere fuoco due temi specifici. Il primo indaga sul ruolo svolto dai "nuovi schiavi" nella gestione internazionale del lavoro. Attraverso un'analisi di vari casi locali (India, Brasile, Pakistan ecc.), Bales illustra come in questi luoghi sia possibile trovare ampie sacche di neo-schiavismo prodotte dall'intreccio di debiti, contratti capestro, assenze di controlli, ricatti di vario genere e corruzione politico-affaristica. In modo simile, il secondo pone invece l'attenzione sull'ormai sempre più esteso impiego delle aree impoverite del mondo come bacini di rifornimento di organi per il circuito internazionale dei trapianti. Usando a tiolo esemplificativo le proprie ricerche etnografiche in Cina, Brasile e Sudafrica, Scheper_Huges illustra sopratutto due aspetti di questo traffico. In primo luogo, come il nesso tra potere medico, privilegi economici, sfruttamento della miseria e aggiramento delle regole crei le condizioni per una circolazione e un accesso ineguale di organi all'interno del sistema medico mondiale. In secondo luogo, come questo traffico e questa speculazione creino a loro volta l'emergere e diffondersi di vari tipi di storie, paure e leggende metropolitane da parte delle popolazioni bersagliate (vampiri, entità della notte, stregonerie). In entrambi i casi, il rigore analitico, l'accurata documentazione e la sobrietà dell'argomentazione aiutano a mettere in luce come, lungi dal costituire un magico toccasana, la cosiddetta globalizzazione dia invece luogo molto spesso a una cruda espulsione di intere parti di umanità dal novero delle persone tutelate dalle più elementari norme di diritto e rispetto umano.

Come largamente risaputo, un ruolo centrale negli attuali processi di globalizzazione è svolto dalla circolazione di informazioni. A questo proposito un'utile introduzione al tema dal punto di vista linguistico è rappresentata dal recente testo di Matera. Dato l'interesse per gli aspetti politici della comunicazione, l'autore evita infatti di affrontare il linguaggio in termini statici e rappresentazionalisti (come nella classica semiotica di impianto strutturalista) e opta per un approccio sociolinguistico volto, al contrario, a mettere a fuoco il suo uso pratico nelle interazioni della vita quotidiana. In quest'ottica, il volume si articola lungo due assi principali. Da un lato, in base a un'indagine sul nesso tra lingua e cultura. Dall'altro, in base a un approfondimento di tre temi più specifici: l'identità sociale, il nesso tra scrittura e pratiche culturali, il ruolo della commutazione tra codici in contesti multiculturali (in quest'ultimo caso con un saggio di Aurora Donzeli). Da un'altra angolatura, in relazione all'ambito dell'arte e dell' estetica, un ulteriore stimolo per pensare il nesso tra comunicazione e globalizzazione è offerto dal libro di Scoditti. Per cercare di rendere intelligibile l'incontro tra "culture estetiche" differenti, l'autore articola un'analisi incrociata delle opere di Picasso (e dell'influsso su queste esercitato dall'arte "primitiva") e delle decorazioni presenti sulla canoe delle isole di Kitawa (Melanesia). In particolare, due sono gli obiettivi specifici di questo accostamento. Da un lato, evidenziare come la produzione di artefatti chiami in causa vari temi di ordine sociale e culturale: il ruolo degli esperti, dei saperi tecnici, delle scuole e tradizioni locali, dell'innovazione personale e dell'accettazione collettiva. Dall'altro, sottolineare come, al di sotto delle differenze locali e culturali, le varie attività estetiche chiamino in causa l'esistenza di più ampi e universali processi cognitivi di schematizzazione come snodo centrale nel passaggio tra mondo, percezione e comunicazione (evidente risulta qui l'influenza delle lezioni di Gombrich e Garrone). In entrambi i casi ci si trova dunque di fronte a opere utili e accessibili. Nel primo caso, un testo chiaro e lineare ben adatto a introdurre una riflessione sul linguaggio come pratica di mediazione, negoziazione e riconoscimento identitario in realtà sociali e mondi culturali articolati e complessi. Nel secondo caso, un volume elegante e raffinato per iniziare a pensare l'estetica non più in modo ristretto, come una qualità di esclusivo possesso dell'arte "colta" e "ufficiale", ma in modo più ampio, come una qualità presente in ogni aspetto delle attività degli esseri umani in quanto tali.

pagina a cura di Francesco Ronzon

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