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Agli occhi dei suoi contemporanei vive tra il 1882 e il 1934 Catherine Pozzi non è una scrittrice, ma una figura affascinante e singolare della Parigi intellettuale. Figlia di un chirurgo illustre amante di Sarah Bernhardt e amico del padre di Proust Catherine scrive sin dall'infanzia poesie, e registra, in un diario che Paulhan pubblicherà postumo, la propria vita interiore, fitta di aspirazioni laceranti verso l'assoluto. La sofferenza è una delle forme attraverso cui passa la sua conoscenza del mondo: lunghe degenze, operazioni, infine la tubercolosi che la porta alla morte, segnano a fondo i cinquantun anni della sua esistenza. Il suo matrimonio con un autore di teatro, celebrato nel 1909, entra presto in crisi, e l'incontro con Paul Valéry, nel 1924, è l'inizio di una relazione che durerà otto anni, all'insegna di un elevatissimo dialogo intellettuale, ma anche di una straziante comunione impossibile.
Il dolore sembra quasi alimentare in Catherine il desiderio di sapere: studia matematica e fisica, scrive articoli scientifici, traduce i versi di Stefan George. In vita, pubblica una poesia soltanto, Ave, sulla "Nouvelle Revue Française", nel 1929. Ma quanti la frequentano o sono in corrispondenza con lei da Rilke a Paulhan, da Ernest Robert Curtius a Jacques e Raïssa Maritain hanno una chiara percezione di quelle che Paulhan definisce le sue "facoltà straordinarie". Paradossalmente, è Paul Valéry, che agli inizi della loro relazione avverte di lei "un bisogno impossibile che si spezza e lo spezza" (sono parole di una sua lettera), a comprendere meno degli altri la ricchezza e l'originalità del suo talento. Quando, durante una delle crisi della loro relazione, le restituisce, su richiesta di lei, le sue lettere, Catherine trova questa annotazione sul retro di una delle sue più affettuose missive: "Poesie di C. (Catherine): sempre ridicole!". La corrispondenza tra i due, che Catherine nel proprio testamento ha votato alla distruzione, è stata di recente in parte ricostituita da Lawrence Joseph (Catherine Pozzi e Paul Valéry, La Flamme et la cendre,pp. 708, 32, Gallimard, Paris 2006) sulla base di trascrizioni e brutte copie, e mostra tra gli amanti una mai sopita rivalità, che li imprigiona nel labirinto senza uscita di quello che René Girard definisce il "desiderio mediato".
Checché ne pensasse l'autore del Cimitero marino, ingeneroso nel suo fastidio per un'opera poetica che non pretendeva certo di entrare in competizione con la sua, le poesie di Catherine sono tutto fuorché ridicole. Rende loro pienamente giustizia questa edizione, che unisce, a una traduzione esemplare del curatore, uno studio esauriente dello stesso. Soltanto un gelido letterato accecato dal narcisismo poteva leggere senza emozione l'addio che la scrittrice gli rivolge, presagendo la morte: "Ho ritrovato il celeste e selvaggio / il paradiso dove l'angoscia è desiderio. / Il passato che cresce di tempo in tempo / È il mio corpo e sarà la mia sorte, / Dopo il morire. / Quando in un corpo, mia delizia obliata, / Dove fu il tuo nome, prenderà forma di cuore / Rivivrò il nostro grande momento / E questo amore che ti avevo dato / Per il dolore".
Mariolina Bertini
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