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Milkman - Anna Burns - copertina
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Milkman

Descrizione


Sorella di mezzo cammina per le strade di una città senza nome con la testa affondata in un libro mentre intorno esplode una violenza fatta di bombe e intolleranza, e la polizia con le sue barbare retate sfuma i confini del bene e del male. Sorella di mezzo ha diciott'anni, una sfilza di fratelli e sorelle, una madre bigotta che la vorrebbe già sposata, il ricordo di un padre morto di depressione, e un forse-fidanzato. Nel quartiere cattolico in cui abita è considerata una ragazza strana e "inaccettabile", non solo perché legge mentre cammina e si lascia ammaliare dai tramonti, ma anche perché è stata vista girare con in mano la testa mozzata di un gatto. Quando nella sua vita irrompe un uomo di quarantun anni, sposato, legato ai gruppi paramilitari e noto come il lattaio, ciò che è reale non si distingue più da ciò che è immaginato. Mentre il lattaio sembra sbucare a ogni angolo, la ragazza viene bollata come la sua amante e finisce per sentirsi vittima di una persecuzione. Ma cos'è successo davvero tra loro? Libro potente e originale premiato con il Man Booker Prize, il National Book Critics Circle Award e l'Orwell Prize for Political Fiction. "Una voce unica" (New York Times)
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Dettagli

2019
18 settembre 2019
456 p., Brossura
9788899911508

Valutazioni e recensioni

4/5
Recensioni: 4/5
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Paolo
Recensioni: 5/5
Insolito

Scrittura insolita e originale ma coinvolgente. Letto tutto d’un fiato. Sorella di mezzo, che ama leggere mentre cammina, è la metafora di chi, impermeabile a tutto, non teme nessuno, ha una forte personalità e non si fa intimorire da ciò che succede intorno. Mi ricorda il verso dell’ Inferno di Dante, anche se riferito agli ignavi :“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Anche se mai nominata la città si presume sia Belfast nel periodo della guerra civile, dove tutti erano schierati chi da una parte e chi dall’altra.

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 Lina
Recensioni: 3/5
Milkman

Anna Burns ha scritto di realtà difficili e complesse, con un lessico e un fraseggiare ingarbugliato e difficile da seguire.

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Alex
Recensioni: 2/5

È stato x me difficilissimo terminare queste piu di 400 pagine di questo povero romanzo. Senza anima, senza poesia, senza emozioni, senza sentimento. Il classico romanzo osannato e premiato senza un vero motivo. E chi scrive capolavoro, scrittura originale....io rimango senza parole. Ci sono libri che raccontano della difficile storia irlandese con tantissima passione. Con sofferenza. (Eureka street). In queste pagine troviamo la noia della ripetizione, del quasi nulla mischiato ad un quasi niente. Un libro computerizzato. Senza cuore e anima. Pessimo davvero.

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Recensioni

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Voce della critica

Voci di corridoio, fatti e pareri personali: cronaca del background di un consiglio di lettura.

Chi consiglia i libri a chi consiglia i libri? Banale ma legittima curiosità. Ciascuno ha le sue fonti e i suoi metodi. Nel caso della narrativa estera, molto utile è segnarsi i titoli vincitori dei più prestigiosi premi letterari internazionali, tenere l’orecchio teso a ciò che se ne dice sulle più autorevoli riviste straniere di settore o sulle pagine culturali dei colossi dell’informazione mondiale, e attendere che siano pubblicati in italiano. Una sequenza lineare. Premio, acclamazione della critica: da leggere. Cosa accade se un cortocircuito interferisce con il metodo, ovvero una parte della critica stronca ferocemente il premiato? Allora si fa affidamento sul proprio istinto e perché no, sulle credenziali della casa editrice.

Il caso è questo.

Milkman di Anna Burns si aggiudica il Man Booker Prize 2018.

Mr. Appiah, membro della commissione, in conferenza stampa, motiva la decisione nel modo seguente: «Abbiamo scelto il libro che merita di più il premio. È una voce estremamente interessante, è spiritosa e il modo in cui senti la sua voce nella tua testa, penso che non si sia mai sentita una voce simile prima».

James Marriott, il critico che ha recensito il romanzo sul The Times Uk, ponendo l’accento sull’eccessiva difficoltà della scrittura, nell’imminenza dell’annuncio, via Twitter aveva bollato l’investitura addirittura come un furto ai danni di Sally Rooney, altra candidata. Non meno provocatorio Dwight Garner, suo collega del New York Times: non solo scrive di averlo trovato interminabile, aggiunge che non lo consiglia alle persone a cui tiene poiché «il libro richiede troppo impegno a fronte di un risultato modesto».

Ho letto tutti i libri vincitori del Man Booker Prizer degli ultimi anni. Ho apprezzato tanto – per stare sui più recenti – Lincoln nel Bardo (2017) di Saunders, uscito in Italia per Feltrinelli tradotto da Cristiana Mennella, quanto Lo schiavista di Beatty (2016) pubblicato da Fazi, traduttrice Silvia Castoldi.

Difficile che i giudizi sfavorevoli, per quanto di peso, mi avrebbero dissuaso, quest’anno, dal tastare con mano le qualità di Milkman (456 pagine, 19,50 euro). Anzi, elevatasi la mia curiosità all’ennesimo grado, vero il contrario, considerando per di più la fiducia che nutro per le scelte di Keller, l’editore che lo ha pubblicato in Italia avvalendosi della traduzione di Elvira Grassi.

Anna Burns è nata a Belfast nel 1982 ma vive attualmente nel sud dell’Inghilterra. Due romanzi all’attivo prima di quest’ultimo, che è frutto di una gestazione lunga quattro anni, dovuta ad una dolorosa patologia alla schiena di cui l’autrice soffre, rendendole faticoso rimanere seduta a lungo. Il premio in denaro di 64.000 dollari incluso nel Man Booker Prize, oltre ad estinguere i debiti contratti con chi le ha permesso di dedicarsi alla scrittura (comprese le banche), saranno destinati a un intervento chirurgico che lei spera – e noi le auguriamo – risolutivo.

Milkman, benché la località non sia menzionata esplicitamente, è ambientato a Belfast, durante gli anni più sanguinosi del conflitto tra cattolici e protestanti. La protagonista,“sorella di mezzo”, è una diciottenne che ha fatto della lettura e della corsa una bolla in cui rifugiarsi. Un’oasi contro il fanatismo politico che trasforma il quotidiano in prassi di militanza acritica. Il libro, nel quale tiene il naso perennemente ficcato durante i suoi percorsi giornalieri, è lo scudo dietro il quale si trincera per difendersi da una tradizione che impone di polarizzare ogni aspetto della vita, dal privato al sociale, in una perenne militanza a favore o contro una parte.

«Mi premeva scrivere soprattutto e essenzialmente su come è usato il potere, sia nella sfera personale che nell’ambito sociale», ha dichiarato Burns in una intervista.

Milkman, il lattaio, l’uomo di quarantun anni, sposato, alto esponente dei gruppi paramilitari, che si materializza un giorno accanto a “sorella di mezzo” mentre corre, imponendole la sua presenza, obbligandola a subire le sue attenzioni, è la personificazione di un’altra delle possibili sfumature dell’esercizio del potere. Schiacciata dalla cultura, dalla tradizione, dalla ideologia, dalle maldicenze che si appropriano della faccenda degli approcci di Milkman per dilatarli in una diceria infamante, “sorella di mezzo” è ben presto emarginata e bullizzata, tanto da risentirne con attacchi di panico invalidanti. Il potere, da chiunque sia esercitato – madre, sorelle, cognati, malelingue, quasi fidanzati, molestatori, terroristi – qualunque sia il fine a cui tenda, giudica, minaccia, isola.

Dwight Garner, nella stroncatura firmata sul The New York Times liquida il romanzo sostenendo che, se fosse stato un opera di Edna O’Brien, l’azione sarebbe calzata in un racconto di appena venti pagine.

Con la mia mediocre capacità di sintesi sono riuscita persino a restringere ulteriormente la trama.

Piegata dalla necessità di rimanere entro un numero accettabile di battute, infatti, ho dovuto fare delle scelte e tacere, con sommo rammarico, i numerosi episodi che rendono il libro ricco e che avrei voluto invece raccontarvi. Mi riferisco alle pagine sulle molestie sessuali, quelle sulla depressione, quelle sulle dinamiche perverse del terrorismo, quelle di vita familiare, che complessivamente costituiscono una testimonianza fotografica di Belfast negli anni Settanta.

«Burns, come scrittrice, ha un tic, che una volta notato – scrive ancora Garner passando allo stile – “ti fa diventare matto. Le piacciono le serie di tre, il numero magico, quando snocciola nomi, verbi, avverbi». Per fortuna, in tema di letture, la regola aurea resta sempre il gusto personale.

Milkman è, per me, uno dei romanzi più innovativi in termini linguistici che mi siano capitati sotto mano negli ultimi tempi. Dopo Patria di Aramburu, infatti, e quello che ha affrontato il tema del terrorismo rivoluzionando in maniera realmente significativa la prosa tradizionale. Non solo avendola resa più viva e dinamica, alleggerendola dei nomi. Lo ha fatto articolando nell’unico ritmo possibile perché risultasse efficace e genuino, il flusso di coscienza con cui è narrato. Un monologo interiore aderente al vero non può essere pulito, asettico, chirurgico. Il soliloquio della mente è affastellamento, ripetizione, ridondanza di pensieri che si ampliano ed espandono in molteplici possibilità. Esattamente ciò che fa la scrittura di Burns.

La cifra narrativa di questo romanzo, seppure si traducesse in difficoltà per il lettore, a causa dell’impercettibile incrinazione nella scorrevolezza che si potrebbe imputarle, dona senza ombra di dubbio alla storia, anzi le è necessaria. Lo sfondo storico, la depressione mentale, l’occhio sulla realtà di una diciottenne che cerca continuamente angoli prospettici nuovi, cosa sarebbero senza il fiume di parole di “sorella di mezzo”?

Se non odiassi l’espressione “tanta roba”, scriverei che Milkman è tanta roba.

Recensione di Antonietta Molvetti

 

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Voci di corridoio, fatti e pareri personali: cronaca del background di un consiglio di lettura.

Chi consiglia i libri a chi consiglia i libri? Banale ma legittima curiosità. Ciascuno ha le sue fonti e i suoi metodi. Nel caso della narrativa estera, molto utile è segnarsi i titoli vincitori dei più prestigiosi premi letterari internazionali, tenere l’orecchio teso a ciò che se ne dice sulle più autorevoli riviste straniere di settore o sulle pagine culturali dei colossi dell’informazione mondiale, e attendere che siano pubblicati in italiano. Una sequenza lineare. Premio, acclamazione della critica: da leggere. Cosa accade se un cortocircuito interferisce con il metodo, ovvero una parte della critica stronca ferocemente il premiato? Allora si fa affidamento sul proprio istinto e perché no, sulle credenziali della casa editrice.

Il caso è questo.

Milkman di Anna Burns si aggiudica il Man Booker Prize 2018.

Mr. Appiah, membro della commissione, in conferenza stampa, motiva la decisione nel modo seguente: «Abbiamo scelto il libro che merita di più il premio. È una voce estremamente interessante, è spiritosa e il modo in cui senti la sua voce nella tua testa, penso che non si sia mai sentita una voce simile prima».

James Marriott, il critico che ha recensito il romanzo sul The Times Uk, ponendo l’accento sull’eccessiva difficoltà della scrittura, nell’imminenza dell’annuncio, via Twitter aveva bollato l’investitura addirittura come un furto ai danni di Sally Rooney, altra candidata. Non meno provocatorio Dwight Garner, suo collega del New York Times: non solo scrive di averlo trovato interminabile, aggiunge che non lo consiglia alle persone a cui tiene poiché «il libro richiede troppo impegno a fronte di un risultato modesto».

Ho letto tutti i libri vincitori del Man Booker Prizer degli ultimi anni. Ho apprezzato tanto – per stare sui più recenti – Lincoln nel Bardo (2017) di Saunders, uscito in Italia per Feltrinelli tradotto da Cristiana Mennella, quanto Lo schiavista di Beatty (2016) pubblicato da Fazi, traduttrice Silvia Castoldi.

Difficile che i giudizi sfavorevoli, per quanto di peso, mi avrebbero dissuaso, quest’anno, dal tastare con mano le qualità di Milkman (456 pagine, 19,50 euro). Anzi, elevatasi la mia curiosità all’ennesimo grado, vero il contrario, considerando per di più la fiducia che nutro per le scelte di Keller, l’editore che lo ha pubblicato in Italia avvalendosi della traduzione di Elvira Grassi.

Anna Burns è nata a Belfast nel 1982 ma vive attualmente nel sud dell’Inghilterra. Due romanzi all’attivo prima di quest’ultimo, che è frutto di una gestazione lunga quattro anni, dovuta ad una dolorosa patologia alla schiena di cui l’autrice soffre, rendendole faticoso rimanere seduta a lungo. Il premio in denaro di 64.000 dollari incluso nel Man Booker Prize, oltre ad estinguere i debiti contratti con chi le ha permesso di dedicarsi alla scrittura (comprese le banche), saranno destinati a un intervento chirurgico che lei spera – e noi le auguriamo – risolutivo.

Milkman, benché la località non sia menzionata esplicitamente, è ambientato a Belfast, durante gli anni più sanguinosi del conflitto tra cattolici e protestanti. La protagonista,“sorella di mezzo”, è una diciottenne che ha fatto della lettura e della corsa una bolla in cui rifugiarsi. Un’oasi contro il fanatismo politico che trasforma il quotidiano in prassi di militanza acritica. Il libro, nel quale tiene il naso perennemente ficcato durante i suoi percorsi giornalieri, è lo scudo dietro il quale si trincera per difendersi da una tradizione che impone di polarizzare ogni aspetto della vita, dal privato al sociale, in una perenne militanza a favore o contro una parte.

«Mi premeva scrivere soprattutto e essenzialmente su come è usato il potere, sia nella sfera personale che nell’ambito sociale», ha dichiarato Burns in una intervista.

Milkman, il lattaio, l’uomo di quarantun anni, sposato, alto esponente dei gruppi paramilitari, che si materializza un giorno accanto a “sorella di mezzo” mentre corre, imponendole la sua presenza, obbligandola a subire le sue attenzioni, è la personificazione di un’altra delle possibili sfumature dell’esercizio del potere. Schiacciata dalla cultura, dalla tradizione, dalla ideologia, dalle maldicenze che si appropriano della faccenda degli approcci di Milkman per dilatarli in una diceria infamante, “sorella di mezzo” è ben presto emarginata e bullizzata, tanto da risentirne con attacchi di panico invalidanti. Il potere, da chiunque sia esercitato – madre, sorelle, cognati, malelingue, quasi fidanzati, molestatori, terroristi – qualunque sia il fine a cui tenda, giudica, minaccia, isola.

Dwight Garner, nella stroncatura firmata sul The New York Times liquida il romanzo sostenendo che, se fosse stato un opera di Edna O’Brien, l’azione sarebbe calzata in un racconto di appena venti pagine.

Con la mia mediocre capacità di sintesi sono riuscita persino a restringere ulteriormente la trama.

Piegata dalla necessità di rimanere entro un numero accettabile di battute, infatti, ho dovuto fare delle scelte e tacere, con sommo rammarico, i numerosi episodi che rendono il libro ricco e che avrei voluto invece raccontarvi. Mi riferisco alle pagine sulle molestie sessuali, quelle sulla depressione, quelle sulle dinamiche perverse del terrorismo, quelle di vita familiare, che complessivamente costituiscono una testimonianza fotografica di Belfast negli anni Settanta.

«Burns, come scrittrice, ha un tic, che una volta notato – scrive ancora Garner passando allo stile – “ti fa diventare matto. Le piacciono le serie di tre, il numero magico, quando snocciola nomi, verbi, avverbi». Per fortuna, in tema di letture, la regola aurea resta sempre il gusto personale.

Milkman è, per me, uno dei romanzi più innovativi in termini linguistici che mi siano capitati sotto mano negli ultimi tempi. Dopo Patria di Aramburu, infatti, e quello che ha affrontato il tema del terrorismo rivoluzionando in maniera realmente significativa la prosa tradizionale. Non solo avendola resa più viva e dinamica, alleggerendola dei nomi. Lo ha fatto articolando nell’unico ritmo possibile perché risultasse efficace e genuino, il flusso di coscienza con cui è narrato. Un monologo interiore aderente al vero non può essere pulito, asettico, chirurgico. Il soliloquio della mente è affastellamento, ripetizione, ridondanza di pensieri che si ampliano ed espandono in molteplici possibilità. Esattamente ciò che fa la scrittura di Burns.

La cifra narrativa di questo romanzo, seppure si traducesse in difficoltà per il lettore, a causa dell’impercettibile incrinazione nella scorrevolezza che si potrebbe imputarle, dona senza ombra di dubbio alla storia, anzi le è necessaria. Lo sfondo storico, la depressione mentale, l’occhio sulla realtà di una diciottenne che cerca continuamente angoli prospettici nuovi, cosa sarebbero senza il fiume di parole di “sorella di mezzo”?

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Milkman di Anna Burns si aggiudica il Man Booker Prize 2018.

Mr. Appiah, membro della commissione, in conferenza stampa, motiva la decisione nel modo seguente: «Abbiamo scelto il libro che merita di più il premio. È una voce estremamente interessante, è spiritosa e il modo in cui senti la sua voce nella tua testa, penso che non si sia mai sentita una voce simile prima».

James Marriott, il critico che ha recensito il romanzo sul The Times Uk, ponendo l’accento sull’eccessiva difficoltà della scrittura, nell’imminenza dell’annuncio, via Twitter aveva bollato l’investitura addirittura come un furto ai danni di Sally Rooney, altra candidata. Non meno provocatorio Dwight Garner, suo collega del New York Times: non solo scrive di averlo trovato interminabile, aggiunge che non lo consiglia alle persone a cui tiene poiché «il libro richiede troppo impegno a fronte di un risultato modesto».

Ho letto tutti i libri vincitori del Man Booker Prizer degli ultimi anni. Ho apprezzato tanto – per stare sui più recenti – Lincoln nel Bardo (2017) di Saunders, uscito in Italia per Feltrinelli tradotto da Cristiana Mennella, quanto Lo schiavista di Beatty (2016) pubblicato da Fazi, traduttrice Silvia Castoldi.

Difficile che i giudizi sfavorevoli, per quanto di peso, mi avrebbero dissuaso, quest’anno, dal tastare con mano le qualità di Milkman (456 pagine, 19,50 euro). Anzi, elevatasi la mia curiosità all’ennesimo grado, vero il contrario, considerando per di più la fiducia che nutro per le scelte di Keller, l’editore che lo ha pubblicato in Italia avvalendosi della traduzione di Elvira Grassi.

Anna Burns è nata a Belfast nel 1982 ma vive attualmente nel sud dell’Inghilterra. Due romanzi all’attivo prima di quest’ultimo, che è frutto di una gestazione lunga quattro anni, dovuta ad una dolorosa patologia alla schiena di cui l’autrice soffre, rendendole faticoso rimanere seduta a lungo. Il premio in denaro di 64.000 dollari incluso nel Man Booker Prize, oltre ad estinguere i debiti contratti con chi le ha permesso di dedicarsi alla scrittura (comprese le banche), saranno destinati a un intervento chirurgico che lei spera – e noi le auguriamo – risolutivo.

Milkman, benché la località non sia menzionata esplicitamente, è ambientato a Belfast, durante gli anni più sanguinosi del conflitto tra cattolici e protestanti. La protagonista,“sorella di mezzo”, è una diciottenne che ha fatto della lettura e della corsa una bolla in cui rifugiarsi. Un’oasi contro il fanatismo politico che trasforma il quotidiano in prassi di militanza acritica. Il libro, nel quale tiene il naso perennemente ficcato durante i suoi percorsi giornalieri, è lo scudo dietro il quale si trincera per difendersi da una tradizione che impone di polarizzare ogni aspetto della vita, dal privato al sociale, in una perenne militanza a favore o contro una parte.

«Mi premeva scrivere soprattutto e essenzialmente su come è usato il potere, sia nella sfera personale che nell’ambito sociale», ha dichiarato Burns in una intervista.

Milkman, il lattaio, l’uomo di quarantun anni, sposato, alto esponente dei gruppi paramilitari, che si materializza un giorno accanto a “sorella di mezzo” mentre corre, imponendole la sua presenza, obbligandola a subire le sue attenzioni, è la personificazione di un’altra delle possibili sfumature dell’esercizio del potere. Schiacciata dalla cultura, dalla tradizione, dalla ideologia, dalle maldicenze che si appropriano della faccenda degli approcci di Milkman per dilatarli in una diceria infamante, “sorella di mezzo” è ben presto emarginata e bullizzata, tanto da risentirne con attacchi di panico invalidanti. Il potere, da chiunque sia esercitato – madre, sorelle, cognati, malelingue, quasi fidanzati, molestatori, terroristi – qualunque sia il fine a cui tenda, giudica, minaccia, isola.

Dwight Garner, nella stroncatura firmata sul The New York Times liquida il romanzo sostenendo che, se fosse stato un opera di Edna O’Brien, l’azione sarebbe calzata in un racconto di appena venti pagine.

Con la mia mediocre capacità di sintesi sono riuscita persino a restringere ulteriormente la trama.

Piegata dalla necessità di rimanere entro un numero accettabile di battute, infatti, ho dovuto fare delle scelte e tacere, con sommo rammarico, i numerosi episodi che rendono il libro ricco e che avrei voluto invece raccontarvi. Mi riferisco alle pagine sulle molestie sessuali, quelle sulla depressione, quelle sulle dinamiche perverse del terrorismo, quelle di vita familiare, che complessivamente costituiscono una testimonianza fotografica di Belfast negli anni Settanta.

«Burns, come scrittrice, ha un tic, che una volta notato – scrive ancora Garner passando allo stile – “ti fa diventare matto. Le piacciono le serie di tre, il numero magico, quando snocciola nomi, verbi, avverbi». Per fortuna, in tema di letture, la regola aurea resta sempre il gusto personale.

Milkman è, per me, uno dei romanzi più innovativi in termini linguistici che mi siano capitati sotto mano negli ultimi tempi. Dopo Patria di Aramburu, infatti, e quello che ha affrontato il tema del terrorismo rivoluzionando in maniera realmente significativa la prosa tradizionale. Non solo avendola resa più viva e dinamica, alleggerendola dei nomi. Lo ha fatto articolando nell’unico ritmo possibile perché risultasse efficace e genuino, il flusso di coscienza con cui è narrato. Un monologo interiore aderente al vero non può essere pulito, asettico, chirurgico. Il soliloquio della mente è affastellamento, ripetizione, ridondanza di pensieri che si ampliano ed espandono in molteplici possibilità. Esattamente ciò che fa la scrittura di Burns.

La cifra narrativa di questo romanzo, seppure si traducesse in difficoltà per il lettore, a causa dell’impercettibile incrinazione nella scorrevolezza che si potrebbe imputarle, dona senza ombra di dubbio alla storia, anzi le è necessaria. Lo sfondo storico, la depressione mentale, l’occhio sulla realtà di una diciottenne che cerca continuamente angoli prospettici nuovi, cosa sarebbero senza il fiume di parole di “sorella di mezzo”?

Se non odiassi l’espressione “tanta roba”, scriverei che Milkman è tanta roba.

Recensione di Antonietta Molvetti

 

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Anna Burns

1962, Belfast

È nata a Belfast e cresciuta nel distretto cattolico di Ardoyne. Ha frequentato il liceo di St. Gemma. Nel 1987 si è trasferita a Londra, per poi vivere nell'East Sussex, sulla costa sud inglese.Il suo primo romanzo, No Bones (vincitore del Winifred Holtby Memorial Prize nel 2001 e finalista dell'Orange Prize for Fiction) narra la vita di una ragazza che cresce a Belfast durante i Troubles. Questo romanzo è stato paragonato a Dubliners di James Joyce per l'uso del linguaggio quotidiano della gente di Belfast. Nel 2018, Anna Burns ha vinto il Man Booker Prize per il suo romanzo Milkman. Milkman (Faber & Faber) è un romanzo sperimentale in cui il narratore è una ragazza di 18 anni senza nome che viene inseguito da una figura paramilitare molto più...

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