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2001
1 gennaio 2001
176 p.
9788874340019

Voce della critica

A fine 2001 Pantheon ha mandato in libreria la traduzione di un volume curato nel 1986 da Franz Endler, ex Sängerknabe (fanciullo cantore) e autentico attivista della vita musicale viennese incaricatosi di chiedere a Herbert von Karajan di raccontarsi in libertà. Noto pasionario della propria immortalità, il direttore gli si concesse volentieri, malgrado fosse da poco passato sotto lo schiacciasassi di Roger Vaughan (Herbert von Karajan: A Biographical Portrait, 1986; Longanesi, 1986). Il libro-intervista di Endler non aggiunge nulla al lavoro del collega inglese, esemplare per stile, completezza e capacità di stringere all'angolo il dis-umano biografato, ma ha senz'altro il merito di non sommarsi alle troppe, inqualificabili agiografie del Grand'Uomo. Il libro di Endler è per così dire la biografia di Vaughan "spiegata al popolo", in modo studiatamente edulcorato ma senza tralasciare particolari scomodi.

È utile sfogliare il libro per far emergere alcuni aspetti del personaggio Karajan e della sua avventura professionale. Si può partire citando Karajan dal prologo: "Probabilmente, esistono innumerevoli possibilità per dar vita alla musica sulla base di note scritte. Quale compositore potrebbe essere mai così sicuro da asserire che la sua opera ha un carattere definitivo? (...) E quando qualcuno può - in questo caso, io stesso - aiutare un'altra persona a conoscere e a capire un uomo, allora quel qualcuno - ancora io, in questo caso - si ritroverà fortemente arricchito". Chiunque ami la musica e la conosca un poco non può non rimanere allibito: è indubbio che Karajan si sia "arricchito" parecchio con e nell'interpretare musica, ed è altrettanto noto che l'argomentare sofistico su tutto ciò che lo riguardava non gli abbia mai fatto difetto. Su Karajan artista prevalse spesso l'imprenditore gelido; in lui s'incarnò con assoluta perfezione la figura del manager culturale. Endler si sofferma a lungo sull'operosità del Karajan iperuranico, monolite avvolto in un silenzio perfetto e inquietante. Grande spazio è dedicato all'amore di Karajan per la tecnica e la tecnologia della comunicazione, ereditata dal padre medico. Analogamente rivelatrice è l'esperienza autoimprenditoriale legata al debutto concertistico nel 1929 a Salisburgo: dalla Rivoluzione francese in poi il compositore sconta la condanna al libero professionismo (sia Beethoven sia Wagner ne fecero diretta e ben diversa esperienza): un interprete di ventun'anni che si autopromuovesse con tanta determinazione non s'era mai visto.

Si arriva quindi a uno dei punti cruciali della vita di Karajan, vale a dire le sue attività fra il 1933 e il 1945, divise tra Aquisgrana, Berlino e Milano. Nonostante Vaughan abbia documentato tutto il documentabile, possiamo continuare a interrogarci: Karajan nazista convinto? No, probabilmente: solo un Muss-Nazi, uno che non lo era ma doveva esserlo; Karajan antisemita? Nein. Karajan usato da Göring e Tietjen, complice Goebbels, contro Furtwängler e lo stesso Hitler? Plausibile. Non è mai stato un segreto che nelle alte sfere del Reich si pensasse a un giovane promettente che, per così dire, ereditasse il patrimonio artistico di una precisa tradizione (ancorché non antica, né pura), una volta eliminati i protagonisti ebrei e messi in disparte i prestigiosi Kapellmeister. Karajan tutt'altro che protetto dai vertici del Reich nel momento del bisogno? Altrettanto plausibile. Karajan "organicamente" educato in quella "scuola" alla gestione della propria carriera e del proprio futuro potere? Certamente sì, anche se ci sarebbe comunque arrivato da solo, complice lo "strano" andamento del mondo.

Non manca, e non è una sorpresa, la descrizione dei rapporti fra Karajan e Furtwängler nell'immediato dopoguerra: Karajan il determinato, il giovane manager rampante di una Vienna decisa a ricostruirsi - musicalmente e non solo - e disposta a tutto pur di rimuovere le flagranti responsabilità del passato recente; Furtwängler l'indeciso, l'uomo del dubbio e dell'incertezza, l'artista che aveva visto il proprio mondo, i propri ideali artistici e umani polverizzati dalla catastrofe, il tedesco sottoposto a un pesante processo ideologico e perciò diffidente nei confronti del giovane e "brillante" collega austriaco di cui troppo sapeva. In questa circostanza Karajan dimostrò una notevole quanto cinica maestria diplomatica: evitò qualsiasi contrapposizione o scontro di potere con il rivale ormai sul viale del tramonto poiché sapeva bene che il "suo" tempo stava per arrivare, anzi era già arrivato. In base a queste premesse, giunge quasi superflua la secca replica di Karajan ("Sarò un dittatore") ai responsabili del nascente Festival di Salisburgo timorosi della sua determinazione.

Salisburgo, Vienna, Berlino e purtroppo, grazie alla fedeltà del suo agente d'oltreoceano Ronald Wilford (mai citato da Endler che, con tranquillo distacco, non affronta mai rilievi di natura ideologica o economica), tutto il mondo "musicalizzato" finì nelle sue mani; senza alcuna Hollywood, Karajan fondò una macchina industriale mostruosamente perfetta: quella della sua immagine, un marchio globale simbolo del suo più feroce narcisismo. Prova decisiva di questo argomento è la paranoia in base a cui Karajan ha organizzato, diretto, preparato e montato tutti i suoi filmati musicali, comprese le sue regie teatrali, tramite la Telemondial, compagnia di sua proprietà ovviamente sita nel paradiso fiscale di Montecarlo: in ossequio al paradigma sadiano, le persone che lo circondavano non dovevano essere altro che macchine pronte a soddisfare i suoi desideri. Karajan era stato inoltre da sempre preda di un'infermità tipicamente wagneriana: l'inscalfibile convinzione di essere lui stesso l'autorizzatore dell'esistenza di un compositore e della sua opera musicale, ossia una sorta di filtro interpretativo assoluto e indiscutibile.

Il direttore è sempre stato attentissimo al mercato che Walter Legge, sommo produttore discografico, impresario geniale e nazista d'acciaio, gli aveva insegnato a interpretare, cioè a dirigere: il caso della commercializzazione dei complessi Dat (Digital Audio Tape) in contrasto strategico con l'ascesa sul mercato dei semplici lettori di compact disc dimostra una volta di più come per Karajan la musica non sia stata altro che un mezzo per la propria realizzazione ideologica ed economica, in un mondo ormai privo di valori artistici - per non dire spirituali - e pronto a sostenere un sistema (lo star-system a stelle e strisce) in cui l'errore umano non può esistere.

L'ultimo argomento è altrettanto forte e riguarda il famoso "bel suono" che Karajan imponeva alle sue orchestre: il maestro insegna che, se ogni nota viene suonata con il suo esatto valore, il suono bello e smussato nasce spontaneamente; dinamica e ritmo sono dettagli, la filologia è un risibile abbaglio, la tradizione attendibile è presente soltanto nelle annotazioni degli strumentisti sulle parti. Ce n'è abbastanza, anche se non ci si può esimere dal rilevare come argomenti analoghi siano stati impugnati da Celibidache e da altri detrattori del sistema promosso e gestito dal loro vulcanico collega. Fatte queste considerazioni, la frase un po' retorica con cui Karajan suggella il libro ("Una vita senza la musica mi risulterebbe inconcepibile") finisce per suonare tragica alla luce di quanto è dato vedere a ormai dieci anni dalla caduta (?) del suo impero: a cosa è servito organizzare voci e strumenti dal suono perfettamente omologato quando non esiste più fremito e vitalità ritmica? Si può credere che, in tali condizioni, l'esistenza della figura del direttore-interprete abbia ancora senso? Quale musica può mai esistere se ai compositori viene negato persino uno status professionale? Cadremmo in grave errore se pensassimo Karajan responsabile di tutto questo, eppure l'argomento impone riflessioni attente.Resta comunque inteso che molti fra coloro che amano, ammirano e conoscono l'arte dei suoni avrebbero concepito volentieri la propria esperienza musicale fuori dall'ombra sinistra di Kaiser Herbert...

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Herbert von Karajan

1908, Salisburgo

Direttore d'orchestra austriaco. Direttore stabile dell'Opera di Ulm (1927-34) e poi ad Aquisgrana (fino al '42), dopo la guerra subentrò a Furtwängler alla guida dell'Orchestra filarmonica di Berlino (1954), incarico che mantenne tutta la vita, contribuendo alla fama del complesso. Dal 1956 al '64 fu direttore artistico dell'Opera di Vienna, succedendo a Böhm, e lo stesso anno iniziò un durevole sodalizio con Salisburgo, prima come direttore artistico del Festival estivo (1956-60), poi come direttore del Festival di primavera, da lui fondato nel 1967. Personaggio tra i più influenti della vita musicale germanica del dopoguerra, carismatico ed egocentrico, fu promotore infaticabile di iniziative, scopritore di giovani talenti e attivissimo nel campo discografico,...

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