Mettere radici

"Mettere radici" non è certo uno di quei romanzi che non vedi l'ora di avere un momento libero per poter continuare a leggere. Procede infatti sui lenti, meticolosi binari della quotidianità, ed è per questo che talvolta rischia di diventare noioso. Ma si tratta della monotonia legata ai piccoli gesti di ogni giorno, utile a delineare il clima in cui la storia è ambientata, il tutto narrato con il caratteristico stile orientale, minimalista ed essenziale. L'argomento trattato è di grande interesse: nel '69, durante la rivoluzione culturale cinese, intellettuali, quadri e responsabili del partito comunista, furono esiliati nelle campagne, per ritrovare, a contatto con i contadini, lo spirito rivoluzionario del pensiero marxista-leninista. Una sorta di purificazione dalle tendenze borghesi e dalle tentazioni del capitalismo. Questo processo di interscambio non fu a senso unico, anche i contadini beneficiarono della presenza dei cittadini istruiti. Il protagonista sente il dovere di far integrare il figlio e di trarre il meglio anche dalle situazioni negative, mantenendo uno sguardo obiettivo, umile, non giudicante. Sradicato, costretto a un alienante oblio, non riesce più a scrivere, il suo talento ne risente, è questo il tema principale del romanzo: il controllo del potere politico sulla letteratura. Ovvero l'arte irreggimentata, al servizio di qualcos'altro finisce con l'essere soffocata.