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Il mestiere di scrivere - David Lodge - copertina
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1998
1 gennaio 1998
264 p.
9788881120796

Voce della critica


recensioni di Bacigalupo, M. L'Indice del 1999, n. 11

David Lodge è un abile narratore (Scambi, Il professore va al congresso), sceneggiatore, drammaturgo (The Writing Game, 1990), nonché autore di alcuni importanti libri sulla situazione del romanzo, nati dal suo lavoro come docente all’Università di
Birmingham. Uno si chiama Lavorando con lo strutturalismo (1981), e pratica in maniera intelligente ed empirica Bachtin, Jakobson e Genette per leggere Joyce, Hemingway, Pynchon… Questo Il mestiere di scrivere, comprendente dieci dei diciassette saggi dell’edizione originale, dà la misura della sua lucidità. Tratta di questioni di scrittura e genere, e offre alcuni ritratti istruttivi di scrittori di primo piano: Joyce e Greene (due maestri di Lodge, anch’egli cattolico di formazione), Lawrence, Burgess, Nabokov (di cui questo aprile è caduto il centenario della nascita). Nel capitolo introduttivo, Il romanziere oggi: ancora al crocevia?, Lodge ricorda un suo saggio del 1971 sulle vie che un narratore può praticare: la tanto deprecata ma mai tramontata tradizione realista, il romanzo-verità soprattutto americano (Capote, Mailer), l’"affabulazione" fantastica (Barth, Vonnegut), e il romanzo problematico o metaromanzo (Doris Lessing, Il taccuino d’oro). Oggi Lodge trova che la situazione non sia mutata: Rushdie è un affabulatore; Wolfe, Chatwin, Theroux e Thomas Keneally, l’autore australiano dell’Arca di Schindler, sono romanzieri-documentaristi; Martin Amis scrive a tratti metaromanzi. Altri scrittori si muovono agilmente fra diversi modelli, confondendo le carte: Julian Barnes, D.M. Thomas, John Fowles, Peter Ackroyd, Antonia Byatt e lo stesso Lodge. Mentre il realismo tradizionale continua vivo e vegeto (Ishiguro, Atwood, Banville, Trevor…). Non si può insomma dire, come certi critici, cosa va e cosa non va, fare una critica prescrittiva, erigendo il proprio gusto a legge, ma occorre descrivere questi fenomeni di un quadro irriducibilmente pluralista.

D’altra parte Lodge nota che la critica accademica angloamericana, che nei decenni precedenti seguiva la produzione moderna e dava indicazioni di tendenza, oggi si è quasi completamente volta ad astratte questioni teoriche, lasciando sì libero il campo a ogni forma e genere, ma anche creando un vuoto di giudizio. In assenza di criteri estetici, e anche della moda critica, l’unico metro rimasto è il successo di vendita: situazione ben diversa da quella delle avanguardie moderniste, dove il successo era piuttosto deprecato. Così negli anni ottanta, in clima neoliberista, l’editoria entra nel giro dei grandi investimenti e nasce, a dire di Lodge, un nuovo fenomeno, il
best-seller letterario (Il nome della rosa), cioè l’opera di uno scrittore di prestigio con diffusione di massa. La recessione degli anni novanta restringe il numero degli autori su cui l’editoria è disposta a investire, ma resta l’approccio globale alla promozione del libro: "Se si è uno scrittore con una certa fama, pubblicare un nuovo romanzo non consiste più nello spedire il manoscritto all’editore e poi aspettare che, più o meno nove mesi dopo, escano le recensioni. Significa delicate trattative sui compensi, probabilmente condotte tramite un agente, e forse un’asta. Una volta firmato il contratto, significa consultazioni con l’editore per studiare i tempi di pubblicazione, la copertina e altri dettagli di produzione. Vi potranno invitare a discutere coi venditori dell’azienda, o con una convention di librai. Intorno all’uscita vi chiederanno di concedere interviste ai giornali e alla televisione, forse di dare letture in librerie, firmare copie, partecipare a festival letterari…". E poi ci sono i premi, i diritti cinematografici… Nessuna meraviglia che di recente il vecchio John
Updike abbia detto di non farcela più a promuovere i suoi libri come ormai un editore si attende. Osserva Lodge: "Se l’editore ha investito un grosso anticipo lo scrittore si sentirà moralmente obbligato ad aiutarlo a vendere, oltre che per suo interesse diretto". Ma anche se questa è la realtà, Lodge, che ha lasciato l’università per la professione di scrittore, non si scandalizza, e suggerisce che le cose non sono poi tanto diverse da quanto accadeva in passato: "È sempre stato necessario essere artista mentre scrivi il tuo romanzo, e uomo (o donna) d’affari quando lo pubblichi". Oggi è solo un po’ più complicato e dispersivo.

Lodge è un solido teorico con una grande conoscenza dei fenomeni, il che rende i suoi saggi istruttivi tanto per i modelli che offrono quanto per la storia letteraria. Fra i temi generali trattati in questa raccolta è il rapporto fra realtà e finzione narrativa, con spassosi esempi tratti da Il professore va al congresso (Lodge vi descrisse la Fondazione Rockefeller di Bellagio senza esserci mai stato, ma vi fu ospite proprio nei giorni successivi alla pubblicazione, col timore-desiderio di essere scoperto come romanziere anziché studioso). Altri saggi trattano il "romanzo come comunicazione" (ed egli conclude che forse è più gioco – prodotto – che si vale di codici comunicativi), e le differenze fra "romanzo, sceneggiatura e teatro" – molto istruttivo quest’ultimo, di nuovo sia per l’impostazione del problema sia per l’esemplificazione: Lodge ha adattato romanzi suoi e di Dickens per la televisione, e parla anche di cose molto pratiche come la lunghezza prefissata di un genere (il film, il dramma), o del fatto che a cinema o teatro lo spettatore, a differenza del lettore, non può sapere in anticipo che l’opera sta per finire: mentre quando leggiamo l’ultima pagina o frase di un libro sappiamo che quella è l’ultima pagina o frase…

L’edizione originale di Il mestiere di scrivere comprendeva un ottimo saggio su un brevissimo lavoro di Pinter (Last to Go, ristampato integralmente) che è un peccato sia stato ora omesso.

Lodge offre anche osservazioni sui corsi di scrittura creativa, sostenendone l’utilità come scuola critica e propugnandone l’estensione parziale alle scuole superiori. Naturalmente, "nessun corso potrà insegnare a produrre un testo per la cui lettura altri sacrificheranno volontariamente tempo e forse denaro, per quanto non abbia alcuno scopo o valore utilitario". E ancora: "Anche la critica più sofisticata scalfisce solo la superficie dei processi misteriosi della creatività, e lo stesso vale anche per i migliori corsi di scrittura creativa". Per quanto scriva libri umoristici, Lodge è un uomo pensoso con una punta di amarezza; certo come scrittore ha un’invidiabile solidità e lucidità di critico teorico-pratico.

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La recensione di IBS

Il processo creativo della scrittura è il tema centrale attorno al quale ruotano i saggi e gli scritti di questa raccolta, spaziando dall'analisi biografica e letteraria degli autori cari a Lodge (Graham Greene, D.H. Lawrence, James Joyce, Vladimir Nabokov) a riflessioni dedicate a problemi della scrittura contemporanea: lo status estetico e istituzionale dello scrittore, il rapporto tra realtà e finzione nell'opera letteraria, l'utilità-inutilità delle scuole di scrittura creativa, il problema della scrittura come comunicazione.

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Conosci l'autore

David Lodge

1935, Londra

David Lodge è uno scrittore e critico letterario inglese. Professore universitario, scrittore a tempo pieno dal 1987, ha colto il primo successo con gli accesi toni satirici di È crollato il British Museum (The British Museum is falling down, 1965), cui ha fatto seguito una trilogia di campus novels (Scambi, Changing placet. A tale of two campuses, 1975; Il professore va al congresso, Small world, 1984; Ottimo lavoro, professore!, Nice work, 1988) in cui ha trasformato il mondo accademico in universo romanzesco. Della sua vasta produzione, improntata a uno spietato humour, si ricordano le commedie Il gioco della scrittura (The writing game, 1990) e Panni sporchi (Home truths, 1998, nt, che L. ha poi trasposto in forma di romanzo, 1999), Pensieri, pensieri (Thinks..., 2001), Dura...

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