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Memoria del chiuso mondo - Eugenio De Signoribus - copertina
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Memoria del chiuso mondo - Eugenio De Signoribus - copertina

Descrizione


«Il Fanciullo De Signoribus. C'è ancora un “poeta fanciullo” nella nostra letteratura ed è Eugenio De Signoribus, che come poeta già si era implicitamente, e anche esplicitamente, annunziato (oltre che un paio di “plaquette” di esordio) anche in quel bel libro a tratti anche straziante, che resta Principio del giorno (Garzanti). Nei suoi versi, infatti, De Signoribus elegge spesso a propri temi e occasioni il punto di vista emotivo di quella condizione di inermità (e starei per scrivere “inermezza”) di chi subisca la violenza, comunque “suggerita”, del mondo “adulto”, nelle sue più o meno silenziose e suggerite violenze e anche nei suoi propri conflitti. Ma, a smentire ogni sospetto di “escapism” (come in inglese si definiva ancora nei lontani anni Quaranta del secolo scorso il disimpegno civile della poesia lirica prevalente) ecco ora dalla mitezza, in verità solo apparente, dell’appartato poeta di Cupramarittima quella che lui stesso definisce una “memoria o forse meglio memorietta… dedicata a quei popoli inermi e spaventati che si ritrovano asubire le devastanti guerre delle cosiddette superpotenze”. La sottile plaquette, illustrata da un bel saggio di Andrea Cavalletti che non a caso s’intitola “Musichetta politica”, prende occasione da quell’evento ancora recente, e tuttavia già consegnato agli atti che è stata la guerra dell’Afghanistan, ed è concepita nella forma di agili sestine mimanti filastrocche infantili e un’aria da girotondi: “Tutti dentro gli assassini / gli assassini tutti fuori / una tavola di legge / li separa nei valori… / quando calano le bombe / portan giù manna e clamori”. Ed anche: “ora tremano i bambini / con i vecchi nelle soste / or vanno nella notte / sui carretti a somarelli / ora a piedi e cenciarelli / verso un luogo di frontiera”. Ma chi se la ricorda più la guerra dell’Afganistan?» – Giovanni Giudici
l’Unità 5 giugno 2002

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Dettagli

2002
1 maggio 2002
48 p.
9788886570879

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C'è ancora un “poeta fanciullo” nella nostra letteratura ed è Eugenio De Si gnoribus, che come poeta già si era implicitamente, e anche esplicitamente, annunziato (oltre che un paio di “plaquette” di esordio) anche in quel bel libro a tratti anche straziante, che resta Principio del giorno (Garzanti). Nei suoi versi, infatti, De Signoribus elegge spesso a propri temi e occasioni il punto di vista emotivo di quella condizione di inermità (e starei per scrivere “inermezza”) di chi subisca la violenza, comunque “suggerita”, del mondo “adulto”, nelle sue più o meno silenziose e suggerite violenze e anche nei nei suoi propri conflitti. Ma, a smentire ogni sospetto di “escapism” (come in inglese si definiva ancora nei lontani Anni Quaranta del secolo scorso il disimpegno civile della poesia lirica prevalente) ecco ora dalla mitezza, in verità solo apparente, dell’appartato poeta di Cupramarittima quella che lui stesso deflnisce una “memoria o forse meglio memorietta… dedicata a quei popoli inermi e spaventati che si ritrovano asubire le devastanti guerre delle cosiddette superpotenze”. La sottile plaquette prende occasione da quell’evento ancora recente, e tuttavia già consegnato agli atti che è stata la guerra dell’Afghanistan, ed è concepita nella forma di agili sestine mimanti filastrocche infantili e un’aria da girotondi: “Tutti dentro gli assassini / gli assassini tutti fuori / una tavola di legge / li separa nei valori… / quando calano le bombe / portan giù manna e clamori”. Ed anche: “ora tremano i bambini / con i vecchi nelle soste / or vanno nella notte / sui carretti a somarelli / ora a piedi e cenciarelli / verso un luogo di frontiera”. Ma chi se la ricorda più la guerra dell’Afganistan?

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Eugenio De Signoribus
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“Questa memoria – o forse meglio memorietta – è dedicata a quei popoli inermi e spaventati che si trovano a subire le devastanti guerre delle cosiddette superpotanze... Secondo il costume dei tempi”.

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(Cupra Marittima, Ascoli Piceno, 1947) poeta italiano. Formalizzata sul piano prosodico, ma decisamente decostruita dal punto di vista sintattico-grammaticale, la poesia degli esordi (Case perdute, 1986; Altre educazioni, 1991; Istmi e chiuse, 1996) si nutre di allegorie ed enigmi, modulata dal dramma storico e biologico dell’uomo. Dopo un profondo scavo della parola, in Principio del giorno (2000), la sua sperimentazione formale si è affinata in Memoria del chiuso mondo (2002) e ha portato alla stesura dei «versi, nonversi e quasiprose» della Ronda dei conversi (2005) e di Trinità dell’esodo (2011). Del 2008 è la raccolta Poesie (1976-2007), premio Viareggio. Testimone del proprio tempo, per il suo rifiuto di allinearsi con la crescente indifferenza del mondo, D. è considerato «poeta civile»,...

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