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Accompagnato da un ricco apparato di note, e curato dal Professor Marco Vannini, questo piccolo volume si struttura in quattro sezioni. Nel capitolo introduttivo vengono riportate le diciassette proposizioni eckhartiane condannate nel marzo del 1329 dal pontefice avignonese Giovanni XXII (definito da Dante "lupo rapace") con la bolla "In agro domini". Proposizioni che forse potrebbero risultare scandalose anche a qualche devoto di oggi: Eckhart infatti vi afferma che il mondo esiste dall'eterno, ed è contemporaneo a Dio a al Figlio; che in ogni azione umana, anche in quella più malvagia, "si manifesta e riluce ugualmente la gloria di Dio"; che "chi bestemmia Dio stesso, loda Dio". E addirittura che qualsiasi creatura umana è pari al Figlio e a Dio stesso: "Tutto quello che Dio Padre ha dato al Figlio suo unigenito nella natura umana, lo ha dato anche a me...Tutto quello che è proprio della natura divina, è proprio anche dell'uomo giusto e divino". L'intera opera del domenicano tedesco fu condannata dalla suddetta bolla, per cui cadde in oblio per più di cinque secoli, nonostante Eckhart avesse in punto di morte ripudiato qualsiasi sua affermazione contraria all'ortodossia. Il suo insegnamento venne tuttavia trasmesso ai posteri da altri mistici (Taulero, Cusano, Franck, Silesius), nutrendo di linfa sotterranea ma fertilissima tutta la spiritualità occidentale, e offrendo spunti di meditazione anche alle esperienze religiose del buddhismo e dell'induismo. Dopo una breve nota biobibliografica, il volume offre al lettore due fondamentali scritti eckhartiani: "L'opera dello spirito" e "Perdersi per trovarsi", con alcune affermazioni decisamente rivoluzionarie, non solo per il tempo in cui sono state pronunciate, come la relativizzazione del peccato, delle opere, del tempo, della propria egoità, e l'assoluto predominio dell'azione dello Spirito e della Grazia. "La cosa migliore per l'anima è stare in un libero nulla".
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