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Al momento di giudicare le qualità e i limiti di un catalogo, spesso ci si chiede se rispecchi adeguatamente l'esposizione che accompagna. Sarebbe tuttavia ingiusto operare in tal modo per la mostra di Rothko. L'eccezionale antologica ordinata da Oliver Wick nel nuovo Palazzo delle Esposizioni di Roma (ottobre 2007 - gennaio 2008) ha infatti offerto un'irripetibile occasione per conoscere l'opera di uno dei più grandi pittori d'età contemporanea. Sfogliando il catalogo con la mente alla mostra, ci basti pertanto constatare la bontà delle riproduzioni, il grande formato, la giustezza dei riferimenti e degli apparati. Per il resto Wick ha indirizzato in senso italiano i contributi da pubblicare in catalogo. È noto, del resto, il grande amore di Rothko per l'Italia, testimoniato da numerosi scritti e, soprattutto, da tre importanti viaggi. Il primo, esplorativo soggiorno si tenne nel 1950, con tappe a Venezia, Firenze, Siena, Arezzo e Roma. In questa circostanza, come ci informa Giovanni Carandente, furono soprattutto la pittura di Giotto e gli affreschi della Sistina a colpire maggiormente Rothko. Il secondo viaggio, del 1959, coincise con un momento particolarmente delicato. Ricevuta un'importante commissione per alcuni dipinti murali, Rothko infatti si era da un anno immerso in profonde riflessioni, che lo indussero a cercare riscontri tra le maggiori opere del passato. Così facendo, visitò Pompei, rimanendo folgorato dalla Villa dei Misteri; passò per Tarquinia, tornò a Venezia, approdando infine a Firenze. Qui sostò in particolare nella Biblioteca Laurenziana, dove Michelangelo, come dichiarò poco dopo, aveva "raggiunto proprio l'effetto che sto cercando io: fare in modo che l'osservatore abbia la sensazione di trovarsi intrappolato in una stanza in cui tutte le porte e le finestre sono murate". L'idea di una pittura fatta di superfici concrete che si distendono nello spazio si era ormai delineata. Durante il terzo viaggio, compiuto nel 1966, Rothko precisò ulteriormente le sue passioni, prima fra tutte la pittura di Beato Angelico in San Marco; al contempo, definì meglio l'amicizia con alcuni artisti italiani, tra i quali Piero Dorazio e Toti Scialoja. L'omaggio resogli dalla Biennale veneziana del 1958, l'antologica della Galleria nazionale d'arte moderna del 1962 e, insieme, le acute riflessioni che la critica italiana da qualche tempo gli andava dedicando (qui raccolte e opportunamente commentate da Claudia Terenzi) non fecero che consolidare una volta per tutte il già forte legame con il nostro paese, un legame che adesso torna felicemente a rinnovarsi. Mattia Patti
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