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scheda di Gattei, G., L'Indice 1998, n.10
Da qualche tempo ha preso piede lo studio degli "stili nazionali" del pensiero economico, ossia delle caratteristiche "di cittadinanza" che hanno arricchito in una certa nazione un certo paradigma economico. E va detto che in questa ricerca di "nazionalismi" la specificità di uno "stile italiano di fare economia" sembra reggere bene alla prova: è veramente esistita una nostra maniera di pensare l'economia, che recepiva le grandi teorie internazionali, ma le adattava al "contesto". E con quale adattamento? Una nuova collana diretta da Piero Barucci e Piero Roggi si muove in quest'ottica, affidando il primo volume all'esame del pensiero economico di Marco Fanno, "un liberale, ma non un liberista".Il fatto è che l'economia di mercato consegue l'equilibrio ottimale d'impiego delle risorse e di soddisfazione dei consumatori solo nella teoria, dato che nella realtà i conti possono anche non tornare. E così nel concreto si può arrivare a giustificare all'alba del secolo la necessità del protezionismo, tra le due guerre il corporativismo e nel secondo dopoguerra la programmazione pur rimanendo sempre liberali. Ma per Magliulo questo non è solo l'esito di un singolo autore. È un vero e proprio "carattere nazionale", che ci appartiene sia "nella versione autoritaria (e un po' ingenua) delle corporazioni fasciste che nell'accezione, più moderna e incisiva, di un potere politico che orienta e condiziona i comportamenti dei grandi soggetti economici (imprese e sindacati) scavalcando il mercato". Il che è come dire che da noi l'ideologia del "free market" non è mai stata di casa, oppure (come direbbe Magliulo) che ha sempre vissuto all'opposizione.
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