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I manoscritti della letteratura in lingua d'oc - D'Arco Silvio Avalle - copertina
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I manoscritti della letteratura in lingua d'oc
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Descrizione


Nei primi decenni del Duecento il mondo culturale della Francia del Sud, dove era nata ed aveva raggiunto il massimo splendore la tradizione poetica e l’ideologia stessa dell’amore cortese, entra in una crisi profonda, aggravata definitivamente dalla crociata albigenese; il complesso sistema delle corti del Midi viene devastato, e con esso si disperde il patrimonio culturale e letterario che vi si era formato nei secoli precedenti, la letteratura in lingua d’oc, in primo luogo la grande lirica dei trovatori, deve così essere in buona parte ricostruita tramite i manoscritti che dal secolo XIII ne raccolsero le opere, soprattutto in Italia e in Catalogna, oltre che in Francia. Sono i testimoni di una tradizione che affonda le sue radici negli ambienti monastici dove si producono i primi testi in volgare, e arriva ai canzonieri trobadorici allestiti nelle corti e negli scriptoria dell’Europa meridionale, quando non dovuti alla passione di esperti cultori di poesia. Una guida ormai classica per questo percorso affascinante (La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta, 1961) punto di riferimento per la filologia occitanica negli ultimi trent’anni, è qui riproposta in una nuova edizione aggiornata.

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Dettagli

1993
1 gennaio 1997
X-221 p., ill.
9788806128876

Voce della critica

MENEGHETTI, MARIA LUISA, Il pubblico dei trovatori, Einaudi, 1992
AVALLE, D'ARCO SILVIO, I manoscritti della letteratura in lingua d'oc, Einaudi, 1993
recensione di Meliga, W., L'Indice 1993, n. 5

I due libri qui presentati hanno più di un elemento in comune: innanzitutto il soggetto, la letteratura d'oc del medioevo; poi il carattere filologico che li informa e che ne costituisce la matrice scientifica. Inoltre, per ambedue non si tratta di novità assolute, anche se la ripresa editoriale è sicuramente giustificata: il libro di Avalle è infatti la riedizione aggiornata e ampiamente arricchita da Lino Leonardi della "Letteratura medievale in lingua d'oc nella sua tradizione manoscritta" (già Einaudi), del 1961, mentre quello della Meneghetti riproduce, anch'esso con ritocchi e aggiunte notevoli, quello uscito con un titolo pressoché uguale nel 1984 in una collana accademica (Mucchi, Modena). Ma l'aspetto principale che lega questi due lavori - e che costituisce un atteggiamento critico della più grande importanza - è ancora un altro e si può sintetizzare in questo modo: la letteratura è anche la sua tradizione, poiché questa, e insieme tutti i diversi mezzi e modi della trasmissione al pubblico, ne segnano in modo irreversibile l'ampiezza e le intenzioni. Questo poi è tanto più importante nel medioevo, dove la limitazione tecnologica della comunicazione da una parte e l'atteggiamento modellizzante nei confronti della cultura dall'altra hanno avuto un'influenza determinante nel selezionare il corpus di testi che, pur ridotto dagli accidenti storici, è giunto fino a noi.
Trasmissione e tradizione della poesia dei trovatori sono l'argomento del saggio di Maria Luisa Meneghetti, che rappresenta un punto eminente nel panorama dei lavori sulla letteratura medievale per ricchezza documentaria e personale sforzo interpretativo.
Il sottotitolo segnala subito in quale orizzonte critico l'autrice intende collocarsi: quello della "teoria della ricezione" della scuola di Costanza. L'applicazione della "funzione destinatario/ricevente", al centro delle ricerche della scuola tedesca, è però collegata ad altri due indirizzi di studio, particolarmente fecondi in questi ultimi anni, come la sociologia della letteratura e l'indagine intertestuale. La soluzione non è dettata da prudente eclettismo ma è piuttosto la necessaria conseguenza di un'analisi rivolta prima di netto ai testi: la Meneghetti è principalmente una filologa romanza, e, anche nel suo caso come in quello di altri esponenti della scuola filologica italiana, mi pare che sia proprio il generarsi dell'interpretazione all'incontro fra i principi e le opere a garantirne la riuscita.
Trattandosi di poesia trobadorica, e cioè del primo movimento poetico nel quadro delle origini delle nuove letterature volgari, con influssi determinanti sulla poesia romanza successiva, è subito comprensibile come la prospettiva ricezionale sia decisiva per un corretto inquadramento storico-letterario. L'indagine della studiosa parte dall'osservazione delle interazioni fra le performance dei giullari e il pubblico delle corti: questo consente puntualizzazioni importanti su alcuni nodi della ricerca sulla poesia trobadorica (rapporto fra oralità e scrittura, fasi della sua affermazione) e insieme di definirne il carattere largamente dialogico, ad alto livello di intertestualità. La compattezza e insieme la variabilità del tessuto poetico occitanico sono studiate nella formazione e nelle successive variazioni del motivo, centrale in molte liriche fra XII e XIII secolo, del "canto per amore": dal servizio d'amore (sociologicamente marcato come immagine trasposta dei rapporti fra grande e piccola nobiltà) al canto autonomamente motivato al gioco cortese della tarda fioritura del trobadorismo veneto. Fra l'altro, l'evoluzione è fondamentale anche per comprendere i caratteri formalistici e astrattizzanti della produzione dei trovieri francesi e dei poeti siciliani.
A mano a mano che si avanza nel secolo XIII, la ricezione "mediata" dei trovatori produce una nuova appropriazione dei testi poetici e si manifesta nel corredo di prose biografiche ed esplicative (le 'vidas' e 'razos') inserite nelle antologie manoscritte che li raccolgono. In queste prose la sistematica reinterpretazione delle canzoni è segno di un quadro ideologico mutato, incapace di comprendere lo spessore simbolico e il significato problematico dei versi e generalmente indirizzato verso il ragionevole e il realistico. Tutto ciò avviene soprattutto in Italia, nel Veneto della "gioiosa" Marca Trevigiana. Da lì, i prodotti librari di tale processo di selezione e revisione letteraria si diffonderanno nella penisola; i frutti, nemmeno tanto lontani, di questo parziale tradimento dei trovatori si raccoglieranno con la "Vita nuova", con i "Rerum vulgarium fragmenta" e con il "Decameron*.
Il libro di d'Arco Silvio Avalle parte, rispetto a quello della Meneghetti, dal fondo, da quei codici che hanno assicurato la sopravvivenza fino a noi dei testi del medioevo. Sbaglierebbe però chi vedesse in questo lavoro soltanto un repertorio: esso è al contrario una storia della letteratura occitanica medievale vista attraverso la produzione e la diffusione dei manoscritti che la conservano, una vera e propria "storia della tradizione" nella linea degli insegnamenti di Giorgio Pasquali e Gianfranco Contini (in questa prospettiva mi sembra riduttivo il nuovo titolo del volume rispetto a quello del 1961, che evidenziava appunto questa connessione). Il saggio nasce dal lavoro preparatorio per l'edizione critica del trovatore Peire Vidal del 1960, edizione nella quale Avalle aveva dato prova della possibilità di contemperare la logica formale dell'ecdotica di stampo lachmanniano con l'obiettivo della completa ricostruzione storica di ciascuna tradizione manoscritta, proprio appunto della "revisione" italiana del lachmannismo.
Come sanno bene i provenzalisti, la complessa articolazione della tradizione manoscritta dei trovatori viene sottoposta da Avalle a un potente processo di razionalizzazione e di ordinamento, che una trentina d'anni di studi successivi (e per di più in un campo così frequentato come quello della filologia occitanica) non hanno sostanzialmente mutato.
Nel libro ci sono pagine di grande acutezza sulla definizione dei caratteri della produzione letteraria più arcaica e dei processi di composizione e di trasmissione dei testi, ma è soprattutto lo spessore filologico e storico che accompagna e sostiene l'esposizione della tradizione manoscritta (dei trovatori ma anche delle altre opere in lingua d'oc fra XII e XIV secolo) a fare di questo saggio un esempio classico delle possibilità ricostruttive e interpretative della critica del testo.

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Conosci l'autore

(Cremona 1920 - Firenze 2002) filologo e critico italiano. Ha insegnato filologia romanza nell’università di Firenze, è stato direttore del vocabolario della Crusca e condirettore di «Strumenti critici». Medievalista (La letteratura medievale in lingua d’oc, 1961; Le maschere di Guglielmino, 1989), ha svolto anche penetranti letture, in chiave strutturalista, di testi contemporanei (Tre saggi su Montale, 1970). Notevoli le sue indagini metodologiche (L’analisi letteraria in Italia, 1972; La poesia nell’attuale universo semiologico, 1974; Dal mito alla letteratura e ritorno, 1990) e gli studi danteschi (Modelli semiologici nella «Commedia» di Dante, 1975).

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