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recensione di Bignami, G., L'Indice 1994, n. 7
All'inizio di questo agile compendio dei mali fisici e psichici dei potenti della terra, l'autore giustamente lamenta la scarsa propensione dei politologi a mettere in conto nelle loro analisi il ruolo dei fattori biologici e psicologico-individuali. Per rafforzare il suo messaggio, tuttavia, egli rischia di autoaffondarsi con affermazioni che sembrano ispirate ai più ingenui modelli riduzionisti, per esempio (a p. 3): "Per comprendere il funzionamento delle società umane, compresi gli aspetti politici, i ricercatori e gli studiosi di scienze umane farebbero bene a cercare di capire la struttura di base e i meccanismi del sistema nervoso". Ma la maggior parte dell'opera, fortunatamente, si sottrae a questa tentazione. Sfilano così i pazienti celebri con gravi malattie cerebrali organiche, come Woodrow Wilson e Lenin; poi quelli con vari tipi di squilibri psichici, inevitabilmente più problematici sia sul piano della diagnosi (indubbiamente era pazzo Giorgio III d'Inghilterra; ma era o non era pazzia la sospettosità e la spietatezza di Stalin?), sia su quello del legame tra malattia ed eventi politici; quindi i consumatori pesanti di alcol e di varie altre droghe (ma quanti assuntori di anfetamine, da Hitler a Eden e a Kennedy); infine quelli con varie malattie assortite.
Un capitolo tenta di verificare le interpretazioni proposte ora dagli psicoanalisti, ora dai teorici della personalità, con risultati assai variabili. Alcune parti, tuttavia, contengono messaggi forti e interessanti: per esempio, laddove l'analisi delle vicende del Kaiser Guglielmo II di Germania consente di raccordare l'illustrazione dei problemi individuali con quella dei fattori culturali, socioeconomici e politici. Segnato da un intenso legame conflittuale con una madre forestiera (figlia della Regina Vittoria) e fortemente possessiva; spietatamente "curato" e sottoposto a faticosi esercizi per dominare una grave menomazione del braccio sinistro, che altrimenti lo avrebbe fatto sfigurare come cavallerizzo e come tiratore, investito sin dall'inizio del suo regno - dopo quello interminabile del nonno ultraconservatore Guglielmo I e quello brevissimo del padre Federico, di idee liberali, ma inetto e spesso depresso - di compiti spinosi, a cominciare da quello di liquidare il vecchio e prestigioso Otto von Bismarck, fondatore e di fatto padrone dell'impero; Guglielmo II diventa "lo specchio e l'incarnazione degli obiettivi confusi e della incerta identità del giovane impero tedesco". Nel paese oramai superpotente e temuto, ma tormentato dal dubbio di non poter superare i rivali da più lungo tempo ammodernati, si alimenta così una forte vocazione alle sfide più rischiose, spesso rivolte alla patria materna del monarca (come nel caso del frenetico approntamento della nuova Marina Imperiale, per strappare l'egemonia alla Royal Navy), sino alla tregenda degli anni '14-18. Persa la guerra, Gugliemo II svolgerà l'ultima delle funzioni imposte dalla collettività che rappresenta, quella di capro espiatorio.
Dopo un rapido excursus nella psicologia delle masse, l'autore brevemente ricade nel finale in qualche ingenuità riduzionista, riproponendo la solita solfa di un cervello umano evoluto per cacciare e raccogliere, quindi poco resistente al logorio della vita moderna, sentenziando sui possibili rimedi. Ma nell'insieme, come sottolinea Giorgio Galli nella sua concisa introduzione (la quale contiene anche degli spunti interessanti su alcuni eventi recenti di casa nostra) il bilancio dell'opera di Freeman è sostanzialmente positivo: soprattutto per l'utile informazione che raccoglie in breve spazio e per lo stile chiaro e dilettevole assecondato da una buona traduzione.
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