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1986
83 p.
9788806593322

Voce della critica

GIONO, JEAN, Manosque-des-Plateaux, Gallimard, 1986

BECKETT, SAMUEL, Mal visto mal detto, Einaudi, 1986
recensione di Paris, R., L'Indice 1987, n. 1

All'inizio dell'estate Gallimard ha ripubblicato l'esordio letterario di Jean Giono, "Manosque-des-Plateaux", seguito da una prosa intitolata "Poème de l'olive", dove Giono ci illustra le sue leggendarie colline della Provenza e la raccolta delle olive. Insieme a questa rarità bibliografica, lo stesso editore ha antologizzato i saggi più rilevanti di Giono: "De Homère a Machiavel", dove spicca il lungo saggio autobiografico dedicato non a caso a Virgilio. Giono è il conosciutissimo autore di "Colline", il romanzo che lo portò al successo (1929), cui seguirono "Uno de Beaumugnes" dello stesso anno, "Regain* del 1930, a formare la trilogia di Pan. Con "Jean le bleu", di due anni dopo, torna a parlare di Manosque e della bellezza delle colline, delle ricchezze della terra, contro il Moderno e la sua civiltà.
I critici dividono forse troppo forzosamente la produzione di Giono in due parti, una riguardante appunto la sua filosofia campestre, più in generale la natura e l'altra riguardante la sua ispirazione stendhaliana, la sua attenzione alla storia. "Le hussard sur le toit" del 1951 è il capolavoro di questo secondo Giono, del Giono impegnato, come se la sua prima ispirazione avesse bisogno, dopo l'esperienza della guerra, di un approfondimento politico.
Si è parlato molto quest'anno, nelle sedi qualificate, di Giono in Francia, anche in televisione. Contemporaneamente alle rivisitazioni gionoiane che interessano anche un certo gusto verde del giovane lettore parigino, in Francia si celebra l'ottantesimo compleanno di Samuel Beckett, di uno scrittore cioè che più lontano e diverso da Jean Giono non poteva darsi. Beckett è stato festeggiato come un classico vivente. La "Revue d'esthétique", "Le magazine littéraire" hanno fatto il punto sull'intera sua opera, i vecchi "Cahiers de l'Herne" escono in edizione economica, con i saggi di Cioran, della Kristeva, della Cixous; Charles Juliet ha annunciato il suo "Rencontre avec S.B." per le edizioni di Fata Morgana. L'evento non è soltanto francese. In Italia ad esempio, oltre alle diverse e qualificate rappresentazioni teatrali beckettiane un gruppetto di editori, da Sugarco a Einaudi a Spirali a Jaca, hanno rimesso in circolazione testi classici di Beckett o opere non ancora tradotte come "Compagnia" (Jaca) e "Mal visto mal detto" (Einaudi).
Anche in quest'ultimo libro in prosa Beckett riscrive la sua ideologia del nulla e del silenzio, dentro uno spazio letterario al cubo. Mal visto mal detto è il mondo della luce visto dall'eternità della tenebra, dove si dice la "sventura di essere ancora in vita", del contemplare "niente altro che cielo nero. Che terra bianca. O viceversa. Nero e bianco e basta. Non importa dove dappertutto. Solo nero. Vuoto. Niente altro". Beckett ha dichiarato a Juliet: "Ho sempre avuto la sensazione che c'era dentro di me un essere assassinato. Assassinato prima della mia nascita. Bisogna ritrovare quest'essere assassinato, tentare di ridargli la vita". Ellmann aveva scritto di "Compagnia": "L'immaginazione trova immagini per concepire un mondo senza la compagnia". Come non mettere in relazione questo silenzio, questo vuoto, questa solitudine di un essere che tenta di ridar fiato a un se stesso assassinato, con gli scenari della bomba atomica?
L'accostamento tra questi due eventi parigini, quello della riscoperta di Giono e le celebrazioni beckettiane, è dovuto a riflessioni sulla possibilità di una letteratura verde, non direttamente legata ai movimenti antinucleari ma da questi ispirata o addirittura anticipata.
La crisi del rapporto uomo-natura, proprio perché la natura è scomparsa, si trova descritta magistralmente in Beckett. In fondo la letteratura tutta può dirsi nata dentro la furiosa testimonianza del rapporto dell'uomo con la natura e l'ambiente. In tal senso Giono testimonia l'ultimo paesaggio di ieri e di sempre e Beckett testimonia il paesaggio nucleare di oggi, dove, a detta di molti scienziati, l'inverno nucleare è già cominciato almeno dagli anni cinquanta, per non dire dagli inizi del secolo, dall'invenzione dell'atomo, delle sue capacità distruttive.
Se in Giono si intravede il profondo attaccamento alla terra e al suo verde, al paesaggio provenzale, un modo di scrivere e di amare che certo Pavese conobbe, in Beckett la profonda distanza, quasi opposta a quella gionoiana, da tutto ciò che è naturale, terrestre, non ha esempi da noi. A riprova delle novità beckettiane ad esempio, si potrebbe fare il gioco retrospettivo di chiè più verde tra Omero e Teocrito, tra Virgilio e Lucrezio, Saffo e Catullo. La letteratura del passato è stata verde in un modo però che oggi è del passato. Essa ha sempre privilegiato il punto di vista dell'uomo sulla natura. Solo con il novecento questo punto di vista entra in crisi e di conseguenza anche la letteratura subisce profondi mutamenti. Insomma, se si può affermare che Omero era un poeta verde, non si può dire che lo fosse allo stesso modo di Lucrezio o di Proust o di Beckett. La "coscienza di specie" (vedi Tiezzi, "Tempi storici, tempi biologici") che si è venuta ad aggiungere alla "coscienza di classe", attraversa verticalmente tutto il nostro sapere letterario, fino alle origini? È possibile che i Verdi siano il frutto di tanta millenaria letteratura? Può darsi, ma se non è giusto spostare i riflettori su uno dei corni del problema, ad esempio le tematiche verdi, non è giusto nemmeno spostarli tutti sull'altro corno, quello letterario.
Per non ripetere errori di rozza sociologia, non bisogna dimenticare che la letteratura è certo signora attempatissima ma pur sempre giovane. D'altronde passando da Giono a Beckett è come dividere in due lo stesso movimento ecologico. Per Giono le considerazioni agricole, naturali, alimentari, il verde di sempre arrivato intatto fino agli anni cinquanta. Per Beckett la parte del movimento più propriamente legato alle solitudini e ai vuoti dell'atomo. Esistono ovviamente molti romanzi sulla bomba atomica, sia fantascientifici sia realistici. Esiste cioè tutta una letteratura sulla crisi del nucleare. Ma Samuel Beckett è scrittore di crisi lasciando ad altri le variazioni commerciali sul tema. È una distinzione importante che va fatta a costo di essere impopolari, se non si vuole perdere la differenza tra Giono e Beckett, tra Rousseau e Proust, e la sterminata letteratura popolare sull'argomento, che certo delizierà la 'nueva ola' della sociologia letteraria nostrana, ma che poco serve a capire il mondo in cui viviamo.
Pieno e vuoto nell'ultimo Beckett di "Mal visto mal detto" reale e irreale diventano "menzogna", visti dal punto della tenebra eterna. "Quando si ricomincia la testa è sotto la coperta. Il che non cambia niente. Più niente. Tant'è vero che reale e - come dire il contrario? Tanto è vero che le due cose sono menzogne. Reale e - come mal dire il contrario? Il contravveleno". Quell'essere assassinato prima della nascita dell'autore a cui l'autore tenta disperatamente di ridar fiato sa che dal nulla e dal vuoto non si può che mal vedere, mal dire.

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Conosci l'autore

Samuel Beckett

1906, Dublino

Scrittore e drammaturgo irlandese. Nato in una famiglia anglo-irlandese, studiò al Trinity College di Dublino. Dopo essersi diplomato, viaggiò a lungo per l’Europa (1928-30). A Parigi conobbe James Joyce, con il quale instaurò una profonda e duratura amicizia. Tornato in patria, tentò la carriera accademica, ma l’abbandonò ben presto per incompatibilità con l’ambiente, dedicandosi infine unicamente all’attività di scrittore. Le sue prime opere furono redatte in inglese: tra esse spicca il romanzo Murphy, scritto nel ’35 ma pubblicato solo tre anni più tardi. Nel 1938 si trasferì definitivamente a Parigi, e dal ’45 adottò il francese come lingua d’elezione. Tra i primi testi redatti...

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