Madre delle ossa

L’opera di Demchuk si presenta come una collezione di racconti che attingono al folklore slavo, da cui derivano elementi fantastici e orrorifici. Pur essendo autoconclusivi, contengono rimandi interni e vanno a comporre un quadro d’insieme che offre molteplici spunti. Il confine tra umano e mostruoso è labile, le comunità da cui provengono i protagonisti convivono con creature soprannaturali che sono al contempo divinità protettrici e demoni feroci. Tutto è parte di un ciclo naturale, che include sacrificio, guarigione, morte. La modernità porta guerre e persecuzioni alimentate dalla ‘normale’ crudeltà degli uomini, mira a tracciare una (illusoria) linea di separazione tra umano e mostruoso, sradicando il retaggio del passato. Il Male non viene concepito come qualcosa di interiore e ancestrale, con cui occorre convivere, ma esternalizzato in un Nemico che va annientato. Le comunità disperse hanno come solo strumento di sopravvivenza il racconto, la trasmissione orale di riti e ‘fiabe’. Esemplare al riguardo è l’ultima storia del volume, quasi una riflessione meta-letteraria in cui cui il viandante/lettore è chiamato a diventare soggetto della narrazione. Il testo è apprezzabile negli intenti e negli esiti: peccato per la quantità eccessiva di refusi, ripetizioni e tempi verbali errati che spesso inceppa la lettura. Zona 42 è un editore meritorio nell’ambito del fantastico e della fs, ma nello specifico una revisione più attenta del testo (della traduzione?) sarebbe stata gradita.