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I luoghi sacri comuni ai monoteismi. Tra cristianesimo, ebraismo e islam - copertina
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Descrizione


Se la rassegna di atti e spazi diversi di devozione accentua le frontiere fra religioni, questo libro sposta il punto di osservazione sui luoghi sacri condivisi nel Mediterraneo, crocevia dei grandi monoteismi: cristianesimo, ebraismo e islam. Luoghi nei quali la concentrazione di differenti etnie, credenze, pratiche, non sempre si traduce in scontro ma in occasione di scambio e convivenza. Le dinamiche dei rituali e delle pratiche culturali descritte da specialisti delle varie aree geografiche, nelle quali sono coinvolti soprattutto gruppi di musulmani e cristiani dell'Europa orientale, consentono un'analisi delle relazioni fra diverse comunità e religioni. La prospettiva è quella di un'antropologia comparativa che ha in queste pagine il suo primo tassello importante per un dialogo interreligioso che trova fondamento nelle origini e nelle ragioni della comunanza di questi spazi, nella domanda sul sacro e sull'alterità, e nel concetto, da più versanti indagato, di sincretismo.
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Dettagli

2013
11 settembre 2013
272 p., Brossura
9788837226572

Voce della critica

  In un luogo di culto vicino a Nador, la principale città marocchina del Rif orientale, un santo è venerato da ebrei e da musulmani. In Albania è frequente la condivisione di luoghi di culto da parte di musulmani e cristiani. Nel monastero di Mar Elyas, tra Betlemme e Gerusalemme, musulmani, ortodossi e cattolici si riuniscono alla vigilia della festa del profeta Elia. Nel monastero ortodosso di Sveti Borogoditsa Prechista sufi e sunniti si muovono in uno spazio traboccante di icone. Si è soliti pensare che i comportanti religiosi siano difficilmente permeabili: l'integralismo aborre la promiscuità. Ma il paesaggio religioso del Mediterraneo orientale è stato per lungo tempo segnato da luoghi inaspettatamente attraversabili, riflesso di forme di convivenza tra popolazioni culturalmente promiscue. Quasi a evocare quel bricolage simbolico e religioso che gli antropologi hanno studiato in America Latina, in Asia e in Africa. Un bricolage che qui affonda le sue radici nella cultura bizantina e ottomana e si costruisce nell'attenzione e nella comunanza con l'"altro religioso": attraverso pratiche quotidiane, cerimonie, riti, devozioni. Fino alla presa in cura del santuario "dell'altro". Come se il sovraccarico in uno stesso spazio geografico dei tre monoteismi avesse prodotto inaspettate forme di condivisione. Naturalmente le cose sono andate anche in altro modo. Il sincretismo religioso è un affare complicato ed episodi di condivisione sono frammenti luccicanti in un panorama ben più aspro di conflitto e odio. Il trasformarsi del carattere cosmopolita di alcune città egiziane a causa dell'aggressività tra copti e musulmani è un buon esempio di miscugli esplosivi di disprezzo e xenofobia che hanno preso il posto della comunanza religiosa. La ricerca presentata in questo libro indaga numerosi casi sulla base di studi comparativi storici ed etnografici, volendo fornire un contributo a un campo di studi che si occupa di riti e pratiche popolari, clericali, simboliche e quotidiane, i cui protagonisti sono "persone che circolano tra spazi religiosi diversi e concorrenti". Di questi fenomeni sono di particolare interesse gli aspetti spaziali. Gli studi raccolti nel volume ricostruiscono una sorta di inedita topografia. Luoghi sacri, legati a qualche santo, che non si riconoscono per essere dell'una o dell'altra religione, ma che in qualche modo sono fatti propri da religioni differenti. Rovine, tombe, monasteri: luoghi periferici rispetto ai luoghi di culto principali, chiese o moschee. Pensando all'uso che ne viene fatto, non può non tornare in mente la lezione (volgarizzata innumerevoli volte) dei racconti decertiani sulla conversione delle popolazioni indigene del Sud America, dove lo storico gesuita, studioso del quotidiano, racconta la riappropriazione, "a proprio modo", dei riti religiosi cristiani imposti dai conquistatori. Qui De Certeau non è citato se non nelle ultime righe del volume e non vi sono certo riti imposti, al contrario. Ma l'uso, "a proprio modo", di santi e santuari è evidente: scavalcare la lunga catena sacra nel santuario di Mar Elyas in Cisgiordania significa, per i cristiani, assicurarsi protezione divina, per i mussulmani, cautelarsi nei confronti della follia. Per tutti, ritrovarsi in occasione di una festa estiva. Riti comuni nelle pieghe delle religioni istituite, consumati perlopiù in nome di santi minori, figure locali, con un profilo indefinito, appena abbozzato. Fanno eccezione i culti mariani e qualche figura maggiore, ma perlopiù sono appunto santi locali, "quasi neutri", il culto dei quali veniva spesso associato a qualche elemento naturale: una sorgente, un albero. Snodi simbolici e religiosi di una topografia di luoghi che sono quasi sempre fuori da città e villaggi, in contesti rurali, lontano dal controllo delle istituzioni religiose e politiche, dove "soldati e prelati si vedono raramente", il potere è meno visibile e le pratiche di devozione sono più libere. Il "magnetismo spirituale" di questi luoghi è molto forte e coincide in buona parte con uno stare ai margini. Il testo ricostruisce nei dettagli un'estesa polifonia di manifestazioni di mescolanza: luoghi, gesti, immagini, azioni. Inaspettatamente gli studiosi affermano che l'attuale rafforzamento delle frontiere religiose, il declino del mondo rurale, il rigido controllo delle pratiche devozionali non hanno spento del tutto la permeabilità dei tre grandi monoteismi che, seppure ostacolata, si ripresenta come una sorta di lingua franca, appena mormorata. Rimane non trattato il problema di capire che ne è oggi di questa storia plurisecolare di avvicinamenti e allontanamenti nell'attuale dolorosa storia di ribellioni e insurrezioni di questa parte del mondo.   Cristina Bianchetti    

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