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I luoghi della memoria. Simboli e miti dell'Italia unita - copertina
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I luoghi della memoria. Simboli e miti dell'Italia unita - copertina

Descrizione


Una storia d'Italia, scritta a più voci, che a centocinquant'anni dall'Unità riafferma l'identità della nazione attraverso la nostra memoria collettiva. "Come tutte le storie viste dal lato 'minore', anche quest'opera è in bilico sul filo di un affetto autoironico, a tratti un po' disperato e perfino nostalgico. Quasi che quella 'umile Italia' che si nutriva di aneddoti vissuti, saporite banalità, infatuazioni ed equivoci collettivi, entusiasmi mal riposti, venga oggi guardata dall'alto (o dal basso) di un paese diventato di plastica." Nello Ajello, "la Repubblica".
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Dettagli

1998
11 settembre 1998
650 p., ill.
9788842055815

Voce della critica


recensione di Rusconi, G.E., L'Indice 1997, n. 3
(recensione pubblicata per l'edizione del 1996)
Anche un buon libro può deludere. Può capitare se si confrontano le aspettative fatte circolare nella fase della sua preparazione e le intenzioni dichiarate del suo autore-curatore con i risultati ottenuti. "I luoghi della memoria" è un'ottima antologia storica (nella qualità diversa dei singoli contributi) ma l'attesa che potesse dare un contributo definitivo al tema della memoria collettiva di una nazione come l'Italia è largamente delusa.
Se c'è uno storico che ha le carte in regola per questa impresa, è Mario Isnenghi. Ma proprio il suo saggio conclusivo e programmatico in calce al volume rivela tutte le sue difficoltà nell'impresa. Comincio a pensare che il tema della memoria collettiva, che si sta sfilacciando nel discorso colto e mass-mediale, finirà nel nulla.
La "dichiarazione di intenti" di Isnenghi è coraggiosamente ambiziosa e in esplicita polemica con l'uso distorto e pretestuoso di molta storiografia contemporanea, che entra in concorrenza o in sintonia con forme di "storia virtuale" nella stampa e in televisione. "La nostra intenzione - scrive - è stata quella di fruire della contingente posizione di posteri per farci corretti rievocatori di tutte le parti e di tutti i percorsi collettivi che ci era dato di riconoscere come rilevanti e partecipati: quasi che la repentina volatilizzazione degli eredi e l'azzeramento a cui tutti i passati appaiono oggi condannati da oblii conclamati rendesse naturale una sorta di fronte a posteriori di vissuti, preservati da chi è chiamato a mantenere il senso dello svolgersi dei fatti. Un'attenzione alla pluralità delle storie che contraddistinguono la vicenda italiana che non comporta tuttavia postumi irenismi, ma anzi intende far memoria e storia proprio dal conflitto, più o meno latente, fra una pluralità di storie e di memorie in un processo di unificazione segnato dal permanere delle differenze".
In realtà nel libro "la pluralità delle storie" non si traduce in differenti letture interpretative (affidate tutte ad autori di solida tradizione storiografica di sinistra), ma nell'articolazione degli argomenti scelti e nello spazio ad essi riservato (da "L'opera" di Giovanni Morelli a "L'utilitaria" di Omar Calabrese).
Non c'è dubbio che nel rivedere la storia italiana attraverso "Il liceo classico" (Antonio La Penna) o la figura del "Balilla" (Gianni Oliva), accostando la sacralità di "Redipuglia" (Patrizia Dogliani) o del "Monte Grappa" (Livio Vanzetto) a quella de "La Madonna pellegrina" (Anna Bravo), si ottiene uno squarcio originale rispetto a tante tradizionali narrazioni storico-ideologiche. Ma questi contributi "materiali" troppo spesso rimangono a mezz'aria, in attesa che il curatore alla fine li inquadri dentro all'uno o all'altro ragionamento che sembra avere una logica autonoma. Sono pezzi un po' casuali di un puzzle il cui disegno e logica vengono da tutt'altra parte.
Il lavoro collettaneo procede così con apprezzabili e gustosi pezzi di questo puzzle, chiamati "luoghi della memoria", cui soltanto alla fine viene imposta, quasi d'autorità, un'unità di disegno. Ed è Isnenghi che si accolla interamente questo compito. Mi pare che la sua operazione riesca soltanto a metà. È suggestivo e persuasivo - come in altri suoi lavori - quando parla di quell'evento centrale della storia italiana che è la Grande Guerra e dei primi anni del fascismo. Qui lo storico veneziano si trova a suo agio nel delineare un disegno storiografico e nel ricostruire una memoria collettiva, in cui si ritrovano molteplicità e unità, conflitti feroci e convergenze solidali. Ma quando arriva al ciclo fatale 25 luglio 1943, 8 settembre, 25 aprile 1945 il discorso di Isnenghi sembra perdere la padronanza delle storie / della storia e della loro memoria divisa.
L'irritazione dello studioso (diventato adulto nel "mito" della Resistenza - come dice con franchezza - e indisponibile a qualunque "capovolgimento" di valori) prende la mano sul confronto serrato con le tesi del vero o presunto revisionismo. Isnenghi è più preoccupato di denunciare il protagonismo di taluni storici della "morte della patria" e nel denunciare non meglio specificati "irenismi" storiografici, anziché confrontarsi nel merito delle tesi revisioniste o ireniste. Non so se questa posizione trovi la sua giustificazione nel fatto di rimandare a contributi specifici sull'argomento - "Repubblica sociale italiana, La Resistenza, L'arrivo degli alleati, Il '45" sono alcuni dei titoli chiave annunciati e non ancora disponibili nel primo volume. Ma se si conferma lo schema del volume ora in esame, i singoli pezzi possono avere grandi o piccoli meriti, presi in sé, ma non suggeriscono il disegno complessivo di cui si occupa e preoccupa sostanzialmente il curatore.
Detto questo, non posso non segnalare un contributo significativo, presente in questo volume, sintomatico della qualità delle difficoltà dell'opera intera. Mi riferisco a "Piazzale Loreto" di Mirco Dondi, un "luogo della memoria" di altissima e drammatica risonanza. Ebbene, il pezzo è molto apprezzabile nel tentativo di tenere insieme le diverse ottiche dell'evento. Ma la incertezza stessa per cui in quella piazza sono visti ora "gli italiani" in cerca di un'altra identità, ora una "folla" protagonista di un rituale a un tempo liberatorio e barbaro, ora "i partigiani" travolti da un evento sfuggito al loro controllo, rivela qualcosa di più che lo scrupolo dello storico. È appunto l'incertezza nel venire a capo - in quell'episodio - al sovrapporsi violento delle memorie, tutte dotate delle loro ragioni.
Il segno della grande storiografia sta nella capacità di ricostruire un punto di equilibrio tra la pluralità delle memorie controverse e l'unità di un solido giudizio complessivo. È facile dirlo. Soprattutto oggi è un compito molto difficile - ma va assolutamente tentato e ritentato.

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