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Louis I. Kahn 1901-1974 - Maria Bonaiti - copertina
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Louis I. Kahn 1901-1974
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Louis I. Kahn 1901-1974 - Maria Bonaiti - copertina

Descrizione


Intrecciando l'analisi dei progetti con la rilettura di alcuni tra i più significativi scritti kahniani, l'autore ripercorre il lavoro dell'architetto estone­americano, dalla formazione agli esiti monumentali degli anni sessanta e settanta, nel tentativo di cogliere la natura della classicità che ne distingue l'opera matura. Il rapporto instaurato da Kahn con il raffinato ambiente culturale che ruota intorno alla figura di George Howe a Yale, la lezione appresa dagli antichi osservando le rovine romane in occasione del viaggio nel Mediterraneo del 1951, il lavoro in cantiere a fianco dell'ingegnere August Komendant sono solo alcuni dei temi affrontati nel presente volume, che propone, inoltre, un'ampia campagna fotografica appositamente realizzata dalla fotografa Alessandra Chemollo.
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Dettagli

2012
19 febbraio 2013
311 p., ill. , Rilegato
9788837089160

Voce della critica

  Il 1944 è un anno complicato negli Stati Uniti e nel mondo. In Europa e in Asia si succedono le battaglie più cruente della seconda guerra mondiale; nel penitenziario di Sing Sing a New York è giustiziato Louis Buchalter, Lepke, criminale fondatore della Murder Inc., che controllava i sindacati dell'industria; la United Nations Monetary and Financial Conference, più nota come Bretton Woods Conference, inaugurerà l'ordine internazionale monetario dei decenni seguenti; l'Ibm produce Harvard Mark I, uno dei primi computer digitali elettromeccanici; Franklin Roosevelt vince le rielezioni ed è l'unico presidente americano rieletto per quattro mandati. Arturo Toscanini dirige per Nbc radio il Fidelio in tedesco, omaggio e provocazione di alto valore simbolico. Si potrebbe continuare, ma è indubbio che si tratti di "un'epoca di squilibrata relatività", come scrive Louis Kahn nel saggio Monumentality, ponendosi una domanda che su questo sfondo non può non apparire straniante: "Abbiamo già dato un volto adeguato, dal punto di vista architettonico, a monumenti della nostra società, quali scuole, edifici comunitari, centri culturali? Quali suggestioni, movimenti, accadimenti sociali o politici dobbiamo attendere? Quale evento e quale filosofia devono maturare per indurci a riconoscere i tratti della nostra civilizzazione?". Kahn non è il solo a parlare di monumenti in quell'anno che tanto stride con la spiritualità e la durata che il concetto richiama (tanto che lo stridere non è affatto estraneo al parlarne): è Sigfried Giedion, insieme a José Louis Sert e Fernand Léger, a richiamare i monumenti: "Pietre miliari sul cammino degli uomini" al convegno New Architecture and City Planning a Filadelfia. Ed è tutto il dibattito statunitense a riprendere il tema, come è noto. Ma lo scritto di Kahn ha un intento programmatico più deciso: agli edifici antichi appartiene quella grandezza "che dovranno possedere (…) le nostre costruzioni future". Molti suoi edifici saranno monumenti. Esprimeranno capacità di non consumarsi, di resistere e realizzare quel legame tra sfera collettiva e simbolo che ne fa vere e proprie icone, riconosciute attraverso raffigurazioni ben piantate nell'immaginario collettivo, non solo architettonico. Così la corte dei laboratori del Salk Institute for Biological Studies, che proietta uno spazio metafisico sul Pacifico, o il Palazzo dell'Assemblea nazionale di Dacca, tra foschie e specchi d'acqua. L'architettura di Kahn sarà, appunto, monumento. Il suo fare, nietzschiana potenza (The Power of Architecture è il titolo della mostra curata da Stanislaus von Moos e Jochen Eisenbrand e dedicata all'architetto estone. Vitra Design Museum, 23 febbraio - 11 agosto 2013). Pochi architetti nel secondo dopoguerra hanno costruito con il funzionalismo della seconda parte del Novecento una tale presa di distanza. Il percorso che arriverà a mettere a punto questa distanza (nelle intuizioni, nell'eloquenza della retorica architettonica, nei temi) è ripercorso da Maria Bonaiti, curatrice dieci anni fa di un volume degli scritti di Kahn per lo stesso editore (Architettura è. Louis I. Kahn, gli scritti, Electa, 2002; cfr. "L'Indice", 2002, n. 11). Una sola pagina di premessa a questo secondo volume, cui segue, senza altre mediazioni, la successione di otto capitoli. Sei hanno al centro il legame tra un'architettura e un tema. Due, l'esperienza accademica e il rapporto con l'antico. O meglio l'influenza dell'architettura romana, letta attraverso la capacità visionaria delle incisioni di Piranesi. Il discorso critico sull'architettura è sovrapposto alle vicende biografiche, ai richiami agli scritti di un architetto che è stato al contempo costruttore, insegnante, oratore, disegnatore. Tornano i temi che costruivano l'introduzione al volume precedente degli scritti, facendo perno sull'architettura romana, "fonte di ispirazione inesauribile" come Bonaiti scriveva e come ribadisce oggi. Questo libro "non vuole essere un'opera completa" del lavoro di un architetto, cui peraltro è già stato tributato analogo omaggio, ma lo scavo attorno ad alcuni suoi "capolavori". La nozione ricorre ed è legata alla capacità delle architetture e degli spazi di Kahn di porci domande circa il nostro "essere moderni". Non quindi una, ma l'esplicitazione di alcune tesi, a partire da un apparato documentale stratificato e originale. Così le belle fotografie di Alessandra Chemollo e Fulvio Orsenico sulle architetture di Ahmedabad e Dacca che costituiscono un nono, ultimo capitolo, dichiarando l'attenzione a un pubblico più vasto di quello degli studiosi dell'architettura moderna.   Cristina Bianchetti    

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