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La logica, la mistica, il nulla. Una interpretazione del giovane Heidegger - Stefano Poggi - copertina
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La logica, la mistica, il nulla. Una interpretazione del giovane Heidegger
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La logica, la mistica, il nulla. Una interpretazione del giovane Heidegger - Stefano Poggi - copertina

Descrizione


La critica su Heidegger si è concentrata in generale su Essere e tempo, sulle sue scelte politiche negli anni Trenta, sui testi e sui seminari scritti e tenuti negli ultimi anni. Assai meno considerati sono gli anni della formazione giovanile e i rapporti che il giovane Heidegger ha avuto, oltre che con Husserl, con alcuni dei più eminenti rappresentanti della discussione filosofica tedesca nei primi due decenni del Novecento. Merito di questo lavoro, che si pone perciò all’avanguardia negli studi heideggeriani, in Italia e fuori, è quello di avere assunto come problema filosofico questo periodo, considerandolo da un punto di vista tanto innovatore quanto originale: il rapporto del giovane Heidegger con l’esperienza religiosa e, in modo speciale, con l’affascinante universo della mistica.
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Dettagli

2006
7 giugno 2006
278 p., Brossura
9788876421747

Valutazioni e recensioni

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Andrea Brocchieri
Recensioni: 3/5

Un lavoro accurato, che contestualizza alcuni temi della riflessione del giovane Heidegger (1914-1922) rispetto alle discussioni nella filosofia tedesca del suo tempo. Non può, però, essere considerato come una ricostruzione complessiva perché i dati testuali sono interpretati solo a partire dai primi scritti pubblicati e non nella prospettiva di individuare il formarsi delle idee che Heidegger svolgerà nel periodo di Marburgo e in "Essere e tempo". Inoltre la scrittura dell'Autore è decisamente contorta e talvolta poco esplicita, per cui il testo è veramente di difficile lettura. Insomma: un'opera di accademia.

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Voce della critica

Nel risvolto di copertina del recente volume dedicato da Stefano Poggi agli anni di apprendistato filosofico di Martin Heidegger si legge che in genere "è nella giovinezza di un grande filosofo che cominciano a delinearsi i fili essenziali di una trama teorica destinata a svolgersi in modi originali negli anni e nelle opere della maturità". Ora, si può forse nutrire una certa diffidenza nei confronti del determinismo storiografico, anche quando è applicato alla storia delle idee. Se tuttavia, nello specifico del caso di Heidegger, l'osservazione pare comunque piuttosto calzante, credo che ciò sia dovuto al fatto che il libro di Poggi, lungi dal sottostare ai dettami di una logica deterministica del precorrimento, si rivela al lettore esattamente il contrario: una ricerca desiderosa di restituire dignità e interesse teorico anche agli anni giovanili di un grande e discusso filosofo, così spesso trascurati o fraintesi nella loro complessità.
Non che Poggi non riconosca, fin dalle prime pagine, l'esistenza di un gran numero di contributi chiarificatori dedicati a singoli aspetti della questione. Il suo ambizioso tentativo, tuttavia, è quello di raccordare in un quadro interpretativo coerente le molteplici prospettive assunte dal pensatore di Messkirch, nel periodo che va dal 1914 (anno della dissertazione di laurea sul giudizio nel dibattito psicologistico) al 1922, ossia prima della chiamata a Marburgo. Ne risulta un'immagine a tutto tondo: non solo per l'esaustiva (e davvero completa) ricostruzione della mappa concettuale del dibattito filosofico nei paesi di lingua tedesca fra Otto e Novecento, che della formazione di Heidegger fa da sfondo costante, ma anche per la sottigliezza nell'esaminare, di volta in volta, le inclinazioni e le scelte del giovane studioso. E, si noti, anche le motivazioni "occasionali" (in primis, va da sé, l'autopromozione accademica) non vengono sottolineate – come capita di riscontrare in certa moralismo storiografico, condotto all'insegna del ressentiment – per un'inspiegabile volontà di polverizzazione del proprio oggetto, ma semmai, al contrario, nell'intento di comprenderlo a fondo, cioè di prenderne estremamente sul serio le autentiche ragioni.
Nel caso di Heidegger ciò si traduce anche in una questione di affidabilità testuale. A emergere, così, è anzitutto la problematica circolarità di certe soluzioni iper-interpretative proposte a partire da una spesso tacita canonizzazione della Gesamtausgabe. Almeno là dove, a detta di Poggi, l'attenzione nei confronti di testi sicuramente non di mano heideggeriana finisce per soffocare quella per i lavori effettivamente dati alle stampe o comunque conclusi dal filosofo: con conseguente genesi di veri e propri cortocircuiti esegetici.
Dal punto di vista dei contenuti, La logica, la mistica, il nulla pare fondamentale anche per gettare nuova luce su molti aspetti apparentemente assodati, soprattutto nei primi capitoli (ove la mole di materiali compulsati esige in effetti una particolare attenzione da parte del lettore). Si pensi al rapporto di Heidegger con Husserl: se certo affonda le proprie radici nella remota lettura della prima edizione delle Ricerche logiche, non bisogna dimenticare come questa lettura sia stata condotta dal giovane studente di teologia "quasi da autodidatta", nel corso del semestre invernale 1909-1910. Ciò a riprova del fatto che l'incontro con la fenomenologia non va inteso come un'irruzione estranea, rispetto al bagaglio di conoscenze con cui Heidegger giunge a Freiburg. Quando Heidegger sosterrà di aver ormai pienamente aderito al movimento fenomenologico, il metodo della fenomenologia riserverà così ai suoi occhi adeguate potenzialità per un rinnovato approccio a problemi che aveva, comunque, già messo progressivamente a fuoco, in un costante confronto con le discussioni del panorama contemporaneo: per esempio il nodo logica-psicologia; i temi della philosophia perennis cari all'ambiente cattolico di provenienza; ovvero, l'interesse propriamente speculativo, e dunque lontano da ogni facile suggestione entusiastica, nei confronti della tradizione mistica. La mistica di Eckhart però, più che quella di Teresa d'Avila – fin troppo cara invece a quella Gerda Walther, a sua volta allieva di Husserl, il cui tentativo di scrivere una Phänomenologie der Mystik (1923) avrebbe più tardi lasciato Heidegger (comprensibilmente) piuttosto freddo. E chissà, verrebbe da aggiungere, quanto lo avrebbero magari lasciato perplesso certe future interpretazioni, quasi afasiche e "misticheggianti", del suo pensiero.
Al di là di ogni infruttuosa polemica – alla quale, sia detto per inciso, il volume di Poggi ha comunque il merito di non indulgere affatto –, anche in questo caso molti problemi cominciano a trovare un sobrio principio di spiegazione già nell'"empito emotivo" prodotto da certi passaggi delle Vorlesungen degli anni 1921-1922. Giacché, scrive Poggi nell'introduzione, "il giovane Heidegger, al di là dell'attenzione dedicata al fenomeno religioso nelle sue varie modalità, alla esperienza della temporalità e del divenire della storia, alla percezione del moto di implosione che accompagna il consumarsi della vita e che si fa acutissima con il conflagrare delle 'situazioni limite', tend[e] sempre e comunque a ricondurre queste manifestazioni del sentire, del conoscere, del pensare dell'uomo ad un comun denominatore: quello della esperienza annichilatoria, quello della possibilità di porre con l'essere anche il niente".
Il filo conduttore attraverso molteplici esperienze di pensiero è così individuato da Poggi nel problema della negazione, essenziale per guidare l'approccio heideggeriano alla realtà dell'ente, fin dalle due dissertazioni del 1914 e 1916 (il cui sfondo teorico è ricostruito fin nei particolari), per poi ricomparire in altra forma negli anni di Marburgo. Quella del giovane Heidegger appare dunque l'esperienza di un pensatore che intraprende contemporaneamente cammini differenti, ma sempre sulla base di un unico motivo ispiratore: l'analisi del carattere e dei fondamenti della natura umana, che non si vuole ridotta al piano della mera biologicità (donde anche le diffidenze per il linguaggio spesso generico e confusivo della cosiddetta "filosofia della vita" nelle sue eterogenee manifestazioni). Ma anche qui: solo se si prenderà sul serio il lavoro filosofico del giovane Heidegger, si potrà scoprire per esempio che il suo interesse per l'esperienza mistica, di cui si diceva, non implica alcuna concessione suggestiva a quello che Poggi chiama ironicamente il "fascino morboso dell'estasi". Esso si rivolge piuttosto al fundus animae come esemplare forma di esercizio di pensiero, là dove questo, giunto al proprio limite, è per così dire costretto a sospendere le proprie certezze di soggettività autocosciente.
I capitoli in cui si snoda cronologicamente il libro sono allora intesi da Poggi come percorso intorno a veri e propri case studies, nei quali prende di volta in volta sostanza la ricerca heideggeriana, rivolta ora alla filosofia della logica, ora all'ontologia, alla logica e alla semantica medievali, a partire dalla dissertazione su Duns Scotus (che in realtà ha per oggetto un testo di Tommaso di Erfurt); o alle jaspersiane "situazioni-limite" (e qui non saranno da trascurare, ricorda l'autore, le critiche all'imprecisione e alla genericità del linguaggio di Jaspers contenuta nella recensione alla Psychologie der Weltanschaaungen); o ancora, nel biennio 1918-1920, all'esperienza del cristianesimo delle origini. Ricerca, infine, intenta a "una analisi retrospettiva del modo in cui si è costituita quella 'forma mentale' filosofica che la necessaria nuova impostazione del filosofare non può non smontare, decostruire".
Se negli ultimi capitoli del libro gli interessi heideggeriani, almeno dal Natorp-Bericht e dal sempre più esplicito e sistematico richiamo prima ad Aristotele poi alla storia dell'ontologia, sembrano infine restituirci un'immagine più familiare del filosofo (che cos'è, del resto, il necessario "ateismo" della filosofia, cui spesso si richiama il giovane filosofo, se non la necessità di fare i conti con un pensiero in cui il rapporto con le cose, nel conoscere e nel pensare, mostra di rinunciare al ricorso a cosiddetti "principi ultimi"?), è tuttavia proprio il richiamo alla fatica del concetto dei suoi primi lavori impegnativi a permetterci di comprendere meglio il senso e gli sviluppi di un percorso che si svolge alla luce di un solido e coerente filo conduttore: quella "fedeltà al proprio inizio", da Heidegger ribadita evidentemente non solo per vezzo, che Poggi invita a prendere davvero sul serio.
In conclusione, ancora una parola sul metodo. Che quello del libro di Poggi sia un atteggiamento autenticamente orientato alla comprensione storica, emerge con chiarezza quando in una nota – a proposito della nozione di "circolarità", che per Heidegger si rivela in molte occasioni "il motore stesso del lavoro filosofico", l'autore invita saggiamente a non "rompere" polemicamente il circolo, e nemmeno a venerarlo come qualcosa di ineffabile, ma semmai "ad aprire la possibilità di un punto di vista eccentrico da cui osservarlo". Ma non si tratta di generico irenismo. Giacché – non nascondiamoci dietro a un dito – La logica, la mistica, il nulla è un libro difficile, e in certe parti direi deliberatamente poco incline alla divulgazione filosofica. La via che percorre, come accennato, è quella della synagogé, più che della diairesis. Credo che sia questa la ragione per cui, contrariamente ai prodotti di molta notomizzazione storiografica,l'affresco esso presenta è destinato ad ascriversi a pieno titolo fra i prodotti migliori della nostra storiografia filosofica. Fra gli studi, tanto per intendersi, che fa piacere ritrovare infallibilmente sugli scaffali delle biblioteche – anche di quelle molto lontane da casa.
  Gianluca Garelli

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Conosci l'autore

Stefano Poggi

Stefano Poggi ha insegnato Storia della filosofia nell’Università di Firenze. Oltre a vari incarichi accademici, è stato Presidente della Società Filosofica Italiana ed è tuttora membro cooptato del Consiglio direttivo della medesima società. Oltre a Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson (1991) e Il genio e l’unità della natura. La scienza della Germania romantica (1790-1850) (2000), ricordiamo i suoi libri più recenti: La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood (2007), L’io dei filosofi e l’io dei narratori (2011), L’anima e il cristallo. Alle radici dell’arte astratta (2014). È anche autore del racconto filosofico La cena di Zurigo (2009).

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