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Linguaggio collaterale. Retoriche della «guerra al terrorismo» - copertina
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Linguaggio collaterale. Retoriche della «guerra al terrorismo» - copertina

Descrizione


Sebbene il linguaggio regoli sempre le nostre vite, gli effetti che produce durante la guerra sono unici. Come l'espressione "danno collaterale" descrive un danno a persone e cose formalmente estranee agli obiettivi previsti da un'azione militare, così "linguaggio collaterale" si riferisce a quanto la pratica della guerra aggiunge al nostro lessico corrente, e alle connotazioni che certi termini assumono in tempi di guerra. Il linguaggio, come il terrorismo, tiene sotto tiro i cittadini e produce paura con l'obiettivo di realizzare un cambiamento politico. Incurante della veridicità delle parole, il linguaggio collaterale produce degli effetti che vanno al di là del suo significato.
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Dettagli

2006
1 ottobre 2005
222 p., Brossura
9788887009774

Voce della critica

Le guerre hanno sempre dato un grande contributo alla lingua. E la linguistica – non sempre ma in questo caso sì – può dare un significativo contributo alla comprensione di scelte politiche e derive storiche in atto. Un rapporto quello tra guerra e lingua che va quindi considerato in termini di reciproco arricchimento e vitalità: la guerra dà origine a nuove connotazioni associazioni paralleli eufemismi e metafore – in una parola a nuove retoriche e la lingua è altresì in grado di legittimare nuovi conflitti plasmando adeguati presupposti ideologici.

Collateral Language. A User's Guide to America's New War edito in italiano per Ombre Corte nella collana “Americane” diretta da Roberto Cagliero e Stefano Rosso è pertanto un prezioso strumento di analisi delle operazioni linguistiche (e della volontà politica sottesa) che hanno dato forma alle tensioni e ai dis/equilibri presenti dagli anni novanta dopo il crollo del muro di Berlino e stigmatizzati nel decennio in corso – con eclatante e chirurgica definizione – a partire dall'undici settembre e dalla cosiddetta “guerra al terrorismo”.

Il testo è articolato in brevi capitoli dedicati come in un lemmario ai diversi termini chiave che configurano il lessico politico-militare contemporaneo: espressioni che rimandano a una rete di concetti identificativi per la nostra civiltà e che attraverso la ripetizione diventano degli assoluti quali ad esempio “fondamentalismo” “giustizia” “civiltà contro barbarie” “libertà” “terrorismo” “unità” “viltà” “male” “antrace” “obiettivi” “interessi vitali” “Jihad”; accanto all'analisi quantitativa del termine in oggetto a partire dalle sue prime occurrences sia sugli organi di comunicazione di massa sia su quelli degli uffici stampa militari americani i saggi di questo volume propongono un'analisi degli eufemismi – la figura maggiormente utilizzata dalle voci ufficiali dei governi e degli eserciti – e dei concetti evocati (assieme a quelli che talora essi vanno a sostituire esempio ne sia proprio “collateral damage” in luogo di “civilian casualties” le vittime civili: scelta che indebolisce l'impatto dell'azione violenta e implica la mancanza di intenzionalità) e quindi evidenziano le finalità a cui tali strategie discorsive rispondono. I testi composti da docenti e ricercatori americani di varie discipline tra cui lingua inglese storia filosofia global studies sociologia scienze politiche offrono inoltre degli spunti di approfondimento con l'indicazione bibliografica delle letture consigliate per ognuno degli argomenti e in appendice un elenco delle fonti d'informazione alternative ai principali media americani.

La lingua di Linguaggio collaterale è perciò una lingua che svela – o meglio ribadisce – il suo ruolo di insostituibile alleata della guerra in alcuni dei suoi presupposti indispensabili: innanzitutto la trasformazione dell'”altro” in “nemico” e in secondo luogo la creazione o il mantenimento del consenso per chi la guerra la segue da casa dalle immagini televisive dai notiziari e dagli articoli di giornale mediante la riformulazione in termini accettabili o almeno poco visibili di azioni “eticamente problematiche”. Le due strategie hanno maggiore efficacia se accompagnate da un terzo discourse quello della minaccia insidiosa imminente e invisibile (vedi l'antrace) da associare emotivamente al nemico. Tutte queste operazioni linguistiche diventano pervasive soprattutto quando fanno appello a concetti già esistenti e proposti in modo da non risultare problematici al punto che nessuno ritiene di doverli definire. è da questa griglia ideologica che fa ricorso a termini grandiosi ma ambigui (libertà giustizia unità bene e male…) che si sono affermati i conflitti più recenti come forma di vittoria della civiltà sulla barbarie.

Niente di nuovo si potrebbe osservare rispetto alle lucide osservazioni di Orwell in 1984 sulle basi linguistiche della propaganda e dei totalitarismi. Il rapporto tra lingua e manipolazione è noto a tutti – sebbene il curatore dell'edizione italiana segnali che un numero rilevante di studenti universitari interpellati ignora la derivazione letteraria di “Grande fratello” ritenendolo niente altro che il titolo di un reality show. La novità peculiare che invece sembra emergere dai capitoli di questo volume sulla retorica del lessico politico americano più recente è che esso ci porta a riflettere e a riconoscere un lessico simile anche tra le file del discorso politico europeo che per tradizione culturale è sempre stato piuttosto lontano da tendenze patriottiche tipicamente americane da molti studiosi definite come appartenenti alla tradizione del puritanesimo. E misura del processo di europeizzazione del “patriottismo” – dove essere patriottici significa essere un po' più al sicuro dal “terrorismo” – è anzitutto l'incorporazione nella stampa europea del lessico descritto in questo libro.


Laura Mollea

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