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Linguaggio e analisi filosofica. Elementi di filosofia del linguaggio - Eva Picardi - copertina
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Linguaggio e analisi filosofica. Elementi di filosofia del linguaggio - Eva Picardi - copertina

Dettagli

1992
1 gennaio 1992
344 p.
9788855522052

Voce della critica


recensione di Pizzi, C., L'Indice 1993, n. 5

Per la filosofia del linguaggio sembra giunto il tempo delle trattazioni sistematiche, quanto mai opportune per una disciplina che, soprattutto in Italia, si è sempre presentata come materia fluida e per molti versi sfuggente. Uscito quasi simultaneamente a un altro testo italiano introduttivo ("Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio", a cura di Marco Santambrogio: v. "L'Indice" n. 5, maggio 1992), questo volume di Eva Picardi si distingue per almeno due caratteristiche. In primo luogo, pur riconoscendo una posizione preminente a logici come Frege, Quine e Kripke, non richiede al lettore nessuna conoscenza delle tecniche logiche, di cui fa un uso solo ausiliario. Secondariamente, anche se si propone il compito limitato di addestrare il lettore allo "stile" della filosofia analitica, non fa nulla per nascondere l'adesione a un ben preciso orientamento filosofico, che è quello sviluppato negli ultimi trent'anni da Michael Dummett.
Per questo secondo aspetto il libro è senz'altro qualcosa di più di un manuale o di una sintesi introduttiva. I presupposti filosofici di base hanno orientato la selezione che l'autrice è stata costretta a compiere nel repertorio, oggi pressoché sterminato, della filosofia del linguaggio. Resterà deluso, per esempio, chi si attende uno spazio dedicato all'innatismo di Chomsky o ai problemi della semantica cognitiva. In compenso, vengono ispezionati in dettaglio tutti i temi della filosofia linguistica nella linea Frege-Wittgenstein-Dummett: nozioni come quelle di verità, significato, riferimento, uso, descrizione, interpretazione, sinonimia ricevono una trattazione accurata, distribuita nell'arco di nove capitoli molto densi.
Nel primo capitolo si riconosce l'ispirazione dummettiana nella discussione dell'interrogativo che viene indicato come cruciale - "che cosa sappiamo quando sappiamo una lingua?" - e nel fatto che viene vista come essenziale per la competenza linguistica la capacità di comprendere forza illocutiva e significato. Dato che la comprensione del significato viene intesa non come un fenomeno psicologico ma come un'attività pubblica e manifesta, assume un ruolo chiave la capacità di riconoscere il valore di verità di un enunciato. Secondo i seguaci di Dummett questa capacità si può individuare applicando una strategia "molecolarista", cioè in sostanza rifacendosi al principio, di derivazione fregeana, secondo cui il senso di un enunciato complesso (molecolare) dipende dal senso dei componenti meno complessi. L'analisi dei modi di composizione enunciativa, a cui è dedicato il capitolo III, consente alla Picardi di confrontare i costrutti del linguaggio ordinario con i costrutti standardizzati della logica verofunzionale, mentre nell'ultimo capitolo viene evidenziato che il molecolarismo implica un'opposizione tanto all'atomismo di Russell quanto all'olismo di Davidson e Quine.
L'attenzione che viene riservata alla nozione di asseribilità in molti punti del libro si spiega con il fatto che per Dummett la nozione di verità coincide con quella di "asseribilità corretta" o "verificabilità". Questa concezione va di pari passo con il suo antirealismo, cioè con il rifiuto di ammettere che la verità di un enunciato sia qualcosa di distinto dalla sua procedura di giustificazione.
All'antirealismo di Dummett è dedicato l'ultimo capitolo, dove si sottolinea che l'antirealismo è in realtà una famiglia di alternative applicabili in modo flessibile: per usare le parole della Picardi, "antirealismo" è una parola che richiede e non semplicemente ammette il plurale.
Questa posizione fa risaltare quello che è un limite della filosofia di Dummett nel suo stato attuale di elaborazione, di cui indirettamente risente anche il lavoro della Picardi. L'antirealismo di Dummett infatti è poco più di una proposta programmatica, uno schema teorico più che una vera e propria teoria. È vero che proprio grazie alla sua indeterminatezza esso funziona egregiamente come contenitore per la grande mole di materiale trattata nel libro. Lo svantaggio, però, è che se si cercano le applicazioni di questo schema a casi particolari si incontrano (o si congetturano) risposte che sono sfocate o evasive. Per fare un esempio dato il ruolo centrale assegnato da Dummett al requisito di molecolarità ci si aspetterebbe di vedere applicato questo principio a tutti i casi non banali (cioè non verofunzionali). Ma l'impressione che si ricava dal testo e che proprio nei casi interessanti il principio sia problematico: basta pensare ai condizionali - controfattuali e non - e agli enunciati temporizzati, per non parlare delle combinazioni di entrambi. A questi e altri moduli linguistici vengono dedicate analisi dettagliate ma non conclusive, tali comunque da suscitare il sospetto che si possano usare in realtà come controesempi alla strategia molecolarista invocata da Dummett. Altro esempio: nel capitolo finale si osserva che "sebbene un'asserzione non ammetta una sorta di terra di nessuno fra i casi in cui è corretta e quelli in cui è sbagliata, tuttavia possiamo distinguere tra modi diversi in cui un'asserzione può essere errata". Questo sembra legittimare l'applicazione all'analisi linguistica di logiche con tre o più valori di verità. In tal modo però diventa poco comprensibile l'insistenza dummettiana sulla logica intuizionista e il modo in cui questa dovrebbe funzionare da paradigma per l'analisi dei linguaggi naturali.
In tutto il corso del testo si incontra una grande quantità di riferimenti critici puntuali e aggiornati. Non si può fare a meno quindi di osservare che, proprio in virtù del suo ruolo di piedistallo filosofico, l'unica posizione che nel libro non viene mai sottoposta a una discussione critica è precisamente quella di Dummett. Non viene fatta menzione nemmeno in bibliografia, per esempio, delle critiche che essa ha ricevuto da parte di autori come Hintikka e Stenlund, che pure si rifanno alla teoria wittgensteirdana dei giochi linguistici.
Le riserve che ho avanzato possono avere qualche interesse per chi legge questo libro con l'occhio del ricercatore professionista. Il volume tuttavia compare in una collana che si qualifica come di "manuali universitari per lo studio interdisciplinare del linguaggio e delle lingue" ed è in questa collocazione che, evidentemente, chiede di essere valutato. Da questo punto di vista è fuor di dubbio che, per chiarezza espositiva e ricchezza di informazione, il testo è un ottimo strumento didattico per corsi universitari anche di primo livello. Nonostante le dimensioni è sul piano dei migliori manuali di logica elementare, di cui forse può essere visto come un utile complemento filosofico. Mi sia consentito anche aggiungere che trovo lo stile espositivo della Picardi più limpido di quello, prolisso e a volte opaco, del suo autorevole ispiratore.

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