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Descrizione


"Si nasce editori come si nasce poeti", disse una volta Formiggini. Proprio vero: l'editoria, così come la poesia, non s'improvvisa. E lui con quella dote riuscì anche a diventare l'editore meno noioso che l'Italia abbia mai conosciuto. Il fatto è che Formiggini fu tante cose, talmente tante da ingarbugliare ogni tentativo di classificazione: editore, fondatore di riviste, scrittore; filosofo dell'umorismo e collezionista di libri ridanciani. La sua vita di ebreo assimilato fu interrotta nel 1938 dalle leggi razziali, contro cui decise di protestare col gesto più eclatante: il suicidio. Questo libro, oltre a parlare della sua vita, attraversa drammi, melodrammi e orrori dell'epoca in cui fu attivo: il ventennio fascista.
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Dettagli

2005
1 novembre 2004
156 p., Brossura
9788872268445

Voce della critica

C'è una passione creativa, un'oscura intenzione educativa in chi lavora a far libri. Nella vita di Formiggini però si sta in bilico tra l'avventura editoriale, che lo consegna alle storie letterarie (da segnalare Apologie, tredici ritratti di diversi credenti fra i quali Buonaiuti, la prima collezione italiana interamente tradotta all'estero, in francese spagnolo e portoghese); e l'altra passione, l'anarchia burlesca del riso che ne faceva un filosofo, o forse un goliardo, un poeta vernacolare, un attardato scapigliato, o semplicemente un editore ebreo di libri umoristici fino alle leggi razziali, circa seicento titoli poi rilevati da Bietti. Diede il titolo Filosofia del ridere a una sua tesi di laurea; lo riprese in "I classici del ridere", 1913, collana di lusso con legatura in mezza pergamena; infine, 1918, nella "Casa del ridere": una raccolta di carta stampata e cianfrusaglie, una stanza chiusa e piena di 2300 reperti ora visibile nella Biblioteca Estense. Lì il riso, materializzandosi, mostrava il suo rovescio deperibile e triste. Questo Formiggini pretende un biografo speciale che scelga per sé, come il Castronuovo dal quale traggo le notizie.

Antonio Fortunato Formiggini, nato in villa a Collegara presso Modena nel 1878, da agiata famiglia. Studia a Bologna e al liceo si fa espellere. Poi prende due lauree, in legge e in lettere. Sposa nel 1906 una compagna d'università. Da editore incomincia nel 1908 con La secchia rapita. S'allarga a Genova e a Roma, brucia nei libri il patrimonio personale. Ma fonda riviste, apre collane. Ha l'ottima idea di un mensile di informazione libraria, "L'Italia che scrive", l'Ics. È il filosofo dell'eclettismo, il dilettante in urto con l'egemonia di Gentile. È l'ebreo che ride, e torna a Modena per buttarsi dalla torre campanaria il 29 novembre 1938. Lascia scritto: "C'era una volta un editore modenese di sette cotte, e perciò italiano sette volte, che risiedeva a Roma. Quando gli dissero: tu non sei italiano, egli volle dimostrare di essere modenese di sette cotte e perciò sette volte italiano, buttandosi dall'alto della sua Ghirlandina".

Antonio Castronuovo racconta con leggerezza. Dentro lo schema tradizionale, nascita-vita-morte, colloca le proprie scelte, le digressioni, le belle citazioni. Scarta "la compiutezza e l'oggettività". Cerca gli scorci e i numeri, racconta le ore del tempo, i colori delle stagioni, l'armonia occulta (il tema gnostico del cosmo). Vede Formiggini come "un punto luminoso", un punto luminoso e intermittente del Novecento. Quanto ai sentimenti, è la noia il tema che lo guida: la "condanna della noia", titolo del capitolo conclusivo. Naturalmente s'appoggia a una perfetta citazione: "Considero il Ridere come un fresco e lieto segno di vita che gli dei hanno concesso agli uomini", nel primo editoriale dell'Ics, aprile 1918, in tempo di guerra! (Impossibile non pensare a certe parole di Leopardi sulla poesia: "Essa ci rinfresca, per così dire; e ci accresce la vitalità").

Fu un suicidio di protesta per poter "guardare in faccia il tiranno". (Fu anche, voglio aggiungere, un suicidio scelto per necessità, un mezzo estremo per salvaguardare la famiglia e l'impresa). Ma quale faccia vera avrà avuto il buffone precipitando? Spaventa immaginarsela nel breve volo. Eppure questa è la sfida pubblica del suicida per protesta, la superba sfida corporea all'esistente.

                                                                                          Lidia De Federicis

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