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“Ionesco in queste sue due pièces, come d’altronde in quasi tutto il suo teatro, non offre una soluzione agli interrogativi che pone. Testimonia, mistifica, grida il suo smarrimento, le sue paure talora baroccamente e infantilmente atteggiate. La sua comicità può apparire sberleffo”. Con queste parole, Gian Renzo Morteo, nell’introduzione al libro, metteva a fuoco le intenzioni del drammaturgo francese: mostrare, attraverso contenuti palesemente metafisici, il vuoto di realtà che si nasconde dietro la società umana. “Spingere il burlesco fino al limite estremo”, con un rovesciamento di ruoli tra i due protagonisti ne “La lezione”. “Esprimere l’assenza. Esprimere i rimpianti, i rimorsi. Irrealtà del reale. Caos originario” ne “Le sedie”. L’ironia, il tono caricaturale emergono in Ionesco dall’esigenza di esorcizzare la disperazione grazie a una costante tensione sperimentale nella struttura e nei modi dell’azione teatrale.
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Assurdo e meraviglioso.
Accostarsi al teatro di Ionesco da profani non è, ovviamente, semplice. Occorre preparazione per poter recepire al meglio sia il testo sia, qualora accadesse, la rappresentazione teatrale. Le due opere sono assurde nel contenuto evidente ma, va detto, alla fine il messaggio traspare, giunge al lettore: teatro dell'assurdo come può essere assurda la vita, i rapporti tra persone, le identità vere e presunte, la realtà oggettivata. Il voto 3 deriva da mancanze mie nel non poter apprezzare in toto le due pièces.
"La lezione": spettro e specchio del potere totalitario. "La lezione" è una satira pungente sulle manipolazioni della dialettica degradata a puro strumento ipnotico (quello stesso strumento ben conosciuto - quanto a potenzialità e effetti - proprio dal Fuhrer, utilizzato per raccogliere "consensi inconsapevoli", perchè viziati alla radice). Il Professore "fende" l'aria con le parole, proprio come quel "col-tello" (ultimo strumento ipnotico a suggello del definitivo stato di trance dell'allieva) con cui sferrerà il colpo mortale. La lezione, esempio magistrale di parabolica superfetazione dell'eloquio, è il pretesto ideologico per condurre un gioco che, asservito al potere (inteso, in senso lato, come titolarità di un Ruolo e/o come identificazione in un Gruppo), non può che concludersi tragicamente; un gioco che, nello stesso tempo, trova nel potere la sua legittimazione e il suo alibi. Ionesco, abilmente, costruisce la tragedia con i mattoni dell'esasperazione ironico-grottesca (ricorrente peculiarità del "teatro dell'assurdo"): in questo modo il drammaturgo, riesce a comunicare il Suo messaggio con grande efficacia, in quanto si limita - attraverso la mediazione degli attori - esclusivamente ad "indicare" (e,cioè, oblitera del tutto eventuali facili stigmatizzanti immedesimazioni)al pubblico i fatti, così come accadono, lasciando allo spettatore completa libertà di giudizio. Un testo, che, assieme alle "Sedie", fà di Ionesco uno degli indiscussi Padri del Teatro dell'assurdo.
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