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Letture e lettori nella Francia di antico regime - Roger Chartier - copertina
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Letture e lettori nella Francia di antico regime - Roger Chartier - copertina

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1988
1 gennaio 1997
XVIII-238 p.
9788806600181

Valutazioni e recensioni

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Daniele
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Leggere questo libro è stata un'esperienza significativa. Attraverso lo studio dell'oggetto e dei modi del leggere, Chartier, seguendo il tipico esempio della scuola delle Annales francese, squarcia la penombra che avvolge un atto tanto semplice quanto di mutevole interpretazione, l'atto della lettura nei secoli che vanno dal XVI al XVIII. Attraverso le sue parole prendono luce diverse storie: l'intensificarsi con gli anni del livello di istruzione popolare, la lettura ad alta voce durante le veglie e il passaggio dall'oralità alla lettura dei racconti, le vicende della distribuzione dei libri della Biblioteque Bleu, sorta di tascabili di grande successo all'epoca. Non posso dare il voto massimo per due ragioni: il libro è una raccolta di saggi e, seppur omogenei, alcuni di essi paiono forzati (il significato della festa nell'età moderna), anche se il libro cresce fino a raggiungere l'apice dell'interesse negli ultimi 3 saggi; inoltre, per un libro dedicato alla storia della lettura mi paiono imperdonabili i refusi, non numerosi, ma che talvolta capolvolgono o privano di significato intere frasi.

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Voce della critica


recensione di Prosperi, A., L'Indice 1989, n. 5

Gli studi di Roger Chartier sulle pratiche culturali cominciano a diventare familiari ai lettori italiani e questo è un fatto positivo. Come ha osservato Carlo Ginzburg, presentando una selezione di studi di Chartier ("Figure della furfanteria. Marginalità e cultura popolare in Francia tra Cinque e Seicento", Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1984) si tratta di uno storico impegnato in prima fila in quel dialogo tra storia e scienze umane che, iniziato in Francia e altrove negli anni '60 "sotto il segno della certezza, è proseguito sotto il segno dei dubbi e delle difficoltà comuni". Qui, poi, si tratta di un libro che si occupa soprattutto di letture (e lettori), andando così al cuore stesso dell'oggetto che domina le pratiche culturali da Gutenberg in poi.
Ma non di lettura al singolare si parla bensì di letture: e le letture sono studiate in quanto pratiche sociali molteplici e mutevoli, secondo tempi e luoghi e gruppi sociali. L'abitudine a considerare il nostro modo di leggere - un rapporto intimo fra un lettore e una pagina - come l'unico possibile, quello universalmente condiviso è profondamente radicata: è da quella abitudine che deriva l'idea che "leggere" un libro (o un fatto sociale o un'opera d'arte figurativa o un rituale religioso) sia comunque farne emergere una verità o una struttura celata attraverso il silenzioso processo di appropriazione mentale che costituisce l'opera del lettore.
Per verificare la fondatezza di questa idea, Chartier dedicò anni or sono un seminario, organizzato insieme a Pierre Bourdieu, proprio alle "Pratiques de la lecture" (pubblicato da Rivages, Marseille-Paris 1985). In quella occasione, Bourdieu ricordò polemicamente il modello di lettura "strutturale" rappresentato da Althusser ("Leggere il Capitale"): leggere un testo senza rapportarlo ad altro che al testo stesso in sé e per sé, cercandovi una verità che fa astrazione da tutto ciò che sta fuori e d'intorno. Forse l'unico antecedente lontano - osserva Bourdieu allora - potrebbe essere trovato nella lettura dei testi sacri. In realtà, come mostra uno studio recente di Pier Cesare Bori ("La lettura infinita", Il Mulino) nemmeno la Bibbia o almeno la sua interpretazione antica può essere invocata a modello di una lettura "tautegorica", essendo stata sempre fortemente dominata dal criterio allegorico oltre che dall'idea di una provvidenziale adattabilità alle necessità dei tempi.
Accade insomma al lettore moderno qualcosa di simile a quello che accade alle pretese universali della ragione occidentale. Ma, nell'affondare l'analisi sugli antenati del modello moderno di lettura, Chartier deve anche ridefinire gli strumenti e i metodi di quel campo di lavoro di cui hanno tentato di appropriarsi la storia della cultura, quella delle idee, quella delle mentalità, la storia sociale delle idee, la storia intellettuale e tante altre ancora. In questo lavoro di ripensamento che Chartier è andato facendo in più occasioni negli ultimi anni e di cui qui si trovano i risultati, l'attenzione è stata portata sulle distinzioni fondamentali da cui si dipartivano le diverse e contrastanti metodologie d'indagine: cultura dotta / cultura popolare, creazione / consumo o anche idee / strutture mentali, insomma - per usare un'immagine di Franco Venturi - struttura geologica da un lato, e dall'altro "l'humus sulla quale crescono le piante e i frutti". Questo tipo di distinzioni su cui si fondava per esempio l'opposizione tra storia delle idee nel loro momento nativo e creativo e storia delle idee ricevute e diventate abitudine, reazione mentale irriflessa, ha rivelato il suo carattere non assoluto n‚ preliminare alla ricerca storica: il mondo folkloristico non può essere più opposto alla cultura d'élite come se si trattasse di due realtà autonome, da quando si è cominciato a scoprire il modo in cui i materiali folklorici entrano in circolazione nella cultura "alta" (grazie a M. Bachtin) e, d'altra parte, il modo in cui il filtro di una cultura subalterna si appropria dei prodotti della cultura d'élite (C. Ginzburg).
Chartier non rinuncia per questo ai risultati del lavoro svolto finora dalla storiografia quantitativa che si è occupata di mentalità o di cultura popolare: il suo tentativo è quello di raccontare strategie consapevoli ed esiti imprevisti, norme prodotte dalle macchine del potere e forme di appropriazione. Si veda il caso della festa, luogo dove disciplina dall'alto e invenzione spontanea si intrecciano. Chartier scarta subito l'ipotesi di mettere in piedi una tipologia chiara delle feste nella Francia d'antico regime che le organizzi distinguendo quelle popolari da quelle ufficiali, quelle basate sulla partecipazione e quelle offerte come spettacolo per un pubblico di spettatori. Il fatto è che la festa è una pratica culturale composita: quelle manifestazioni che la chiesa condanna tra '500 e '600 perché le considera pagane e superstiziose sono già state profondamente rielaborate da vari interventi (per es. per piegarle a trasmettere messaggi politici di legittimazione delle oligarchie cittadine, che vi profondono finanziamenti a questo scopo). Se il controllo della festa è l'obiettivo dei poteri politici e religiosi, bisogna riconoscere che non è stato facilmente raggiunto e che, anzi, all'interno di uno spazio festivo costantemente rimodellato si è mantenuta aperta la possibilità di riappropriazioni spontanee di quel linguaggio per usi imprevisti dal potere. Il rapporto tra "disciplina" e "invenzione" non è riducibile ad uno schema: è qualcosa che muta imprevedibilmente.
Una volta individuato il progetto di chi vuol "disciplinare", si tratta di capire a quale pubblico si riferisce e di ricostruire quello che effettivamente raggiunge e poi di verificare quali reazioni susciti. In questo, la proposta di Chartier differisce sostanzialmente da quella degli studiosi che si richiamano a G. Oestreich nell'indagine sui processi di Sozialdisziplinierung; la proposta della storiografia tedesca è più attenta alle istituzioni, ma è anche meno interessata alle forme di appropriazione presupponendo in qualche modo che il progetto disciplinante del potere raggiunga comunque i suoi scopi. Per sua natura, la traccia perseguita da Chartier è particolarmente avvertibile nelle fonti libresche: il libro, posto all'incrocio tra le intenzioni dell'autore e il mercato librario, dove il genere letterario e le strategie editoriali predispongono e condizionano il pubblico dei lettori, è la fonte più adatta per decifrare l'intrico di progetto e di casualità che caratterizza i tentativi di governare le società coi precetti messi per iscritto e divulgati. Si va dalle arti del ben morire a quelle del ben vivere, che dominano la produzione libraria tra '400 e '700 e tendono le loro fragili reti di suggerimenti e di norme intorno ai comportamenti umani. La lettura per grandi serie di questo genere di libri mostra come l'organizzazione dei comportamenti davanti alla morte passi da toni di drammatica sensibilità (tra '400 e '500) ad una pedagogia più distesa e attenta ai doveri sociali del morente; il che ci serve a capire spostamenti non secondari nel rapporto che la chiesa costruiva coi cristiani dell'epoca. .
Più complesso è il gioco che si disegna tra libri e pratiche nel caso delle arti per distinguersi nella vita sociale, o libri di 'civilités' o galatei; il progetto che, da Erasmo in poi, ispira alcuni tra i più importanti autori di questo genere di letteratura è quello di condurre tutti ad un livello di autocontrollo e di rispetto degli altri più elevato offrendo modelli definiti come universalmente validi, non legati ad una classe particolare. Invece, un'altra tradizione che ha i suoi capostipiti nell'Italia di monsignor Della Casa e di Baldassarre Castiglione (non quell'ignoto G. B. Castiglione, autore di un improbabile Corteggiano di cui si legge qui a pag. 34) si propone di creare un modello riservato a distinguere una minoranza eletta. La sensibilità barocca aggiunge a questi due fili quello della divaricazione tra essere e apparire: il rapporto tra sentimenti del cuore e convenienza sociale si fa conflittuale, le regole della 'civilité' appaiono un inganno deliberato, un velo ipocrita steso a coprire la verità. Infine, nel momento stesso in cui il pubblico popolare viene raggiunto e conquistato da testi di 'civilité' stampati in centinaia di migliaia di copie dagli editori della "Bibliothèque bleue" tra '600 e '700, il valore di quelle norme di condotta si svaluta e si impoverisce agli occhi della cultura delle classi dominanti. Il conflitto tra distinzione e divulgazione inerente al progetto di disciplinare la società attraverso l'imposizione di norme di comportamento valide in generale, non trova mai una conclusione.
Per cercar di capire l'effetto di quelle strategie di persuasione che passano attraverso i libri, bisogna chiederci prima di tutto come funzionava allora e come è mutato nel tempo il rapporto tra libro e lettore. Bisogna insomma fare una storia della lettura, abbandonando l'anacronismo ingenuo su cui si regge ogni storia della recezione del libro (anche quella praticata da H. R. Jauss) e che può essere così formulato: la lettura è il percorso silenzioso degli occhi sulla pagina scritta. In realtà, questa è la nostra lettura, che noi proiettiamo automaticamente in un passato di cui sappiamo ben poco. Nemmeno possiamo riordinare prospetticamente il passato disegnando un processo lineare di affermazione della lettura silenziosa a partire da un'originaria lettura ad alta voce e magari segnando meccanicamente il momento di passaggio dall'una all'altra in coincidenza con la diffusione del libro a stampa agli inizi del '500. Le testimonianze che Chartier raccoglie e discute non permettono in realtà di arrivare alla verità di fatto di un ipotetico processo evolutivo delle forme di lettura; essi ci permettono piuttosto una serie di incursioni affascinanti sui modi in cui ci si è raffigurata la lettura in epoche e ambiti sociali determinati.
Il gioco delle immagini è particolarmente complicato per quel che riguarda il rapporto col libro da parte dei contadini idoleggiato come un mondo patriarcale dove la voce del capofamiglia offre la mediazione agli insegnamenti morali della pagina scritta oppure raffigurato come il luogo dell'ignoranza e del disprezzo per il libro, il mondo delle campagne resta a lungo lo specchio delle speranze e dei pregiudizi di un mondo cittadino, sia che si tratti di avviare campagne missionarie da parte di ecclesiastici sia che si progetti l'espansione dei lumi oltre le cerchie urbane. Certo, le ricerche di Chartier si offrono a integrazioni e correzioni: c'è ad esempio un'idea un po' sommaria dei paesi della Controriforma come luoghi dove la lettura è scoraggiata (p. 170). Qualcosa si potrebbe anche dire su quella particolare modalità del rapporto tra lettore e pagina scritta che riguarda la preghiera: basterebbe ricordare le intense discussioni sorte in margine alla predicazione di Lutero su quella speciale preghiera che si fa, come diceva una donna spagnola, intorno al 1530 "sin mover los labios".
Ma quel che resta un'acquisizione fondamentale di queste ricerche di Chartier è la sua attenzione costante al nodo iniziale delle pratiche culturali, quello dove soggetti e oggetti entrano in relazione, e si scambiano i ruoli, proiettano i loro programmi sui mezzi di cui si servono, sono testimoni inconsapevoli di processi storici più ampi senza cessare di agire consapevolmente sulla realtà. Questa sua lettura fine della storia intellettuale attraverso i molti fili che la compongono è una lezione di metodo.

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