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recensione di Gemelli, G., L'Indice 1987, n. 1
"Il principio del mio lavoro è un'appassionata sottomissione all'oggetto che mi tiene occupato... a cui appartiene il mio amore - scrive Rilke nel "Testamento" - Forse per un cuore che deve destreggiarsi in simili rapporti l'essere amato sarà sempre funesto... L'esperienza amorosa appare come una forma... minore, inetta dell'esperienza" In questa tensione irrisolta tra creazione e amore, tra poesia e passione, si trova la chiave dei tormentati rapporti che Rilke ebbe con le "amate". I carteggi del poeta disegnano così il succedersi - lento ma incessante - delle "vittime" che di questo tormento furono le inconsapevoli complici.
La galleria delle donne amate dal poeta non si pone certo su di un piano di equivalenza: ci troviamo cioè di fronte ad epistolari diversi per intensità estensione e durata. Per accertarsene basta mettere a confronto la corrispondenza tra Rilke e Lou Salomè pubblicata in Italia due anni orsono dalle edizioni La Tartaruga, col tenue ed ingenuo libretto che raccoglie le "Lettere" inviate dal poeta ad un'amica veneziana tra il 1907 ed il 1912. Ad esse Rosellina Archinto (che le ha anche tradotte) ha affidato con felice intuito manageriale il lancio di una nuova impresa editoriale - "Lettere" - che pubblica o ristampa, appunto, corrispondenze famose con l'intento di colmare, in una civiltà assai ostile alla trasmissione grafica di sentimenti ed emozioni, la nostalgia segreta e repressa della vertigine introspettiva prodotta dalla parola scritta.
Peccato che questo grazioso libretto, che contiene una trentina di brevi lettere intrecciate a messaggi di commiato o a richieste di incontro, talmente aerei e delicati da apparire quasi banali ed un po' stucchevoli, ci sia stato presentato in una veste scarna : la stessa, comunque, con cui è stato presentato lo scorso anno nell'edizione francese di Gallimard, anche se si deve aggiungere che Rilke è molto più conosciuto e frequentato in Francia che nel nostro paese. A mio avviso ciò contribuisce a rendere ancora più evidente la leggerezza della materia : un'introduzione, seppure altrettanto aerea, avrebbe forse permesso non solo di inserirla nel contesto rilkiano, ma di disegnare in modo più circostanziato il volto della splendida veneziana di cui a viene offerto il ritratto sensuale e quotidiano nel tenero gesto di servire il thè, tra le delizie della "casa rosa" e la distinzione dei suoi abituali frequentatori. Certo la vaghezza del quadro lascia piena libertà all'immaginazione del lettore, catturato come Rilke dal fascino vagamente misterioso e certo molto dannunziano della bella Mimì Romanelli (pare infatti che tra Rilke ed il divino vate si scatenasse una tenzone a distanza per la sublime creatura).
Certo Mimì appare molto lontana dall'ideale femminile teorizzato da Rilke nei profili biografici delle grandi amanti: la religiosa portoghese, Gaspara Stampa, Julie de Lespinasse, la schiava circassa Aissé. Figure di donne abbandonate che nella solitudine compirono la suprema metamorfosi, elevandosi all'assoluto, pura contemplazione dell'amore, indifferente al proprio oggetto e vicino alla poesia proprio in quanto privo dell'ansia del possesso, tanto temuto da Rilke. Ma Mimi la bella Mimi, questo possesso lo esigeva con tutte le sue forze, se non altro come doveroso tributo alla sua persona e non esitava a denunciare candidamente quella contraddizione di cui le altre amate (dalla dolcissima Benvenuta, alla pittrice Blandine Klossowska) si erano fatte complici.
Eppure la passione, il contatto evocatore di eternità erano bisogni altrettanto connaturati all'anima del poeta. Il documento più evidente della forza di questa tensione è la corrispondenza appassionata con la pittrice Blandine Klossowska, la Merline delle "Lettere". I due anni del lungo carteggio con Merline corrispondono al momento di più forte tensione creativa che accompagn• la stesura del "Testamento" e il completamento delle "Elegie", mentre quelli dell'incontro con Mimì segnarono una forte crisi dell'ispirazione poetica di Rilke. I due carteggi, diversi per ispirazione ed intensità, hanno tuttavia in comune il vettore della comunicazione: la lingua francese.
Il particolare non è affatto irrilevante, benché le curatrici dell'edizione italiana del volumetto non vi facciano il minimo accenno. Certo la nutrita produzione francese di Rilke è ancora largamente sconosciuta nel nostro paese, ma forse proprio per questo era maggiormente necessario sottolineare il significato profondo di questo straordinario radicamento culturale e linguistico del poeta in terra di Francia. In esso emerge infatti il nodo esistenziale più complesso e drammatico della psicologia rilkiana che travalica il rapporto col mondo parigino, realtà amata-odiata, in quanto potentemente creatrice ed insieme dispersiva, annientante. La lingua francese è così profondamente intrisa di legami avvolgenti e di un vissuto ambivalente innanzitutto in quanto lingua materna. Phia Rilke proveniva infatti da una famiglia di notabili praghesi che vantava, a torto o a ragione, ascendenti alsaziani. Assetata di un prestigio sociale che l'impiego del marito non bastava a garantirle, non soltanto Phia era solita rivolgersi al figlio nella lingua dei presunti avi, ma gli aveva addirittura imposto un nome francese, Ren‚.
Fu soltanto seguendo i consigli di Lou Salomè che il timido e tormentato Ren‚ assunse l'identità più teutonica e virile di Rainer. Quando incontrò il poeta, Lou era una donna di trentasei anni, bella, già famosa, estremamente intelligente e serenamente indipendente, materna ma al tempo stesso piena di vitalità infantile. Certo neppure lei riuscì a sottrarsi completamente alla sofferenza empatica prodotta da quella sorta di "innesto metafisico" che Rilke aveva il potere di suscitare nell'animo femminile. Tuttavia, a differenza delle altre "amate" ella comprese fino in fondo l'origine della nevrosi che attanagliava il poeta. Dopo un periodo di intensità passionale e simbiotica, Lou riconobbe, nel suo "Ultimo Appello" a Rainer, l'inanità del compito di trasmettergli un'immagine solare ed onnipotente dell'erotismo, luminosa e serena compenetrazione dell'egoismo più appassionato e dell'altruismo più sconsiderato, per cui l'amante diviene un mondo per l'amata, pur restando prepotentemente se stesso. Ma riconobbe anche le potenzialità creative di quella nevrosi che impediva l'armonica compenetrazione di creatività ed amore. Decidendo di assumere il ruolo dell'"amico silenzioso", Lou accettò di lenirne gli effetti più pericolosi senza neutralizzare la forza che da essa scaturiva.
Se cerchiamo dunque di inserire la bella veneziana nel mondo intenso e drammatico delle grandi passioni rilkiane, viene il sospetto che il vero mistero di Mimì consista nel non averci svelato se e come riuscì a rimanere immune da tanto tormento. Nessuno ha pensato ad intervistarla, n‚ lei, avvolta dal tepore della casa rosa, ha voluto svelarci le sue trepidazioni. Ammesso che durassero più di un battito d'ali
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