Il libro raccoglie una serie di contributi sul lavoro, sul rapporto impresa-dipendente e sul relativo ruolo dello stato, con l'obiettivo di occuparsi della "qualità umana del lavoro; a partire dall'idea che la vera ricchezza di un'azienda sia il suo capitale umano". Le discipline che possono intervenire in una riflessione di questo tipo sono diverse e il libro ne raccoglie il contributo, mostrando la varietà di problemi e prospettive coinvolte. Il diritto deve regolamentare i rapporti di lavoro, alla luce dei dettami costituzionali ma anche della storia di una nazione; l'economia aziendale si focalizza sull'organizzazione e sui suoi obiettivi, con forti interessi normativi; la sociologia vuole descrivere le motivazioni dei vari gruppi coinvolti, la psicologia si interessa più al singolo, e così via. A partire da interessi e linguaggi diversi (l'interdisciplinarità è sempre difficile da praticare), i vari articoli affrontano, più o meno direttamente, una serie di problemi comuni. L'organizzazione del lavoro, nella nostra epoca, è ancora assimilabile a quella della fabbrica basata sulla divisione del lavoro e sull'alienazione? Oppure l'epoca della complessità e l'economia della conoscenza cambiano il lavoro, e la natura del rapporto tra impresa e dipendente e le stesse strategie gestionali? Quale effetto ha la flessibilità sul benessere delle persone e sulla loro identità? L'eventuale adesione a una mentalità d'impresa può essere vista come una nuova forma di oppressione? Le risposte sono molto diverse, e creano un dibattito ideale che dimostra la difficoltà di tenere insieme, nella politica e nella pratica, tanti aspetti e obiettivi. Se non si riesce a mediare, se si pone l'attenzione su un punto di vista (quello economico o quello giuridico), bisognerà pagare un costo su un piano diverso (sociale, psicologico). Marco Novarese
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