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La scena mondiale è sempre più dominata dalla crescente incertezza del lavoro: il timore diffuso è che esso, dietro l'etichetta della flessibilità, diventi una merce "usa e getta". La tesi centrale del libro è che in generale i fenomeni di dis-adattamento al lavoro possano essere correttamente compresi solo assumendo un approccio relazionale, che osservi il lavoro come fenomeno morfogenetico e quindi come effetto emergente generato da agenti sociali. I progetti di vita di questi ultimi implicano relazioni significative che veicolano scambi sociali ai quali viene affidata la realizzazione del maggior benessere possibile di tutti coloro che sono coinvolti nella produzione di beni e servizi. La progressiva riduzione del lavoro fordista non determinerebbe quindi la tanto temuta "fine del lavoro", ma la sua ridefinizione nel "lavoro che emerge" come attività comunicativa di scambio in reti altamente differenziate. Quello che Donati vuole dimostrare è che le problematiche connesse al mondo del lavoro sono il prodotto di dinamiche complesse legate al passaggio a una nuova formazione storico-sociale. La sua proposta è alquanto stimolante. È solo liberando il lavoro dalle concezioni reificanti proprie delle culture postmoderne e abbandonando il vecchio linguaggio fatto di etichette quali "postfordismo" e "lavori atipici", ormai svuotate di significato, potremo afferrare ciò che ancor oggi sfugge a molti: il passaggio epocale da una "società (industriale) del lavoro" a una "società (reticolare) delle attività". Globalizzazione, tecnologie e finanziarizzazione dell'economia segneranno il nostro futuro: l'occasione storica è l'emergere di una società mondiale la cui economia esigerà sempre più una migliore qualità delle relazioni sociali tra produttori e consumatori.
Luca Bobbio
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