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1999
VIII-200 p., ill.
9788822106520

Voce della critica


recensione di Alfieri, F., L'Indice 1989, n. 9

"Il Progetto certamente è una grande innovazione. Di esso c'è tanto bisogno da avere l'impressione di non fare niente di particolare: abbiamo fatto e stiamo facendo proprio quello che ordinariamente si dovrebbe fare". Questo è il commento di uno degli insegnanti di scuola elementare che ha partecipato ai due progetti triennali portati avanti congiuntamente dai Comuni di Riccione, Misano Adriatico, San Clemente. Il primo si svolse negli anni 1983-86 e portava il titolo "Educazione alla salute"; l'altro si è concluso lo scorso anno scolastico e si chiamava "Scuola - beni naturali, ambientali, culturali". Il coordinatore scientifico dei due progetti è stato Francesco De Bartolomeis, che ne riferisce in modo esemplare nel suo ultimo libro, edito dalla Nuova Italia.
Il disarmante commento sopra citato rappresenta, mi pare, il migliore apprezzamento dell'esperienza documentata nel libro. In essa, infatti, sono andate a confluire le più significative innovazioni, scoperte, teorie che la pedagogia italiana ha prodotto negli ultimi decenni ed è per questo che si è operato come sarebbe finalmente giusto e onesto che la nostra normativa prescrivesse di fare e le nostre istituzioni garantissero che si facesse.
I tre comuni costituirono, all'inizio dell'esperienza, un comitato scientifico - formato da dirigenti scolastici, insegnanti, esperti disciplinari, pedagogista (l'autore), metodologi, assessori, funzionari - che a sua volta creò un sistema di servizi e di strumenti, a disposizione delle scuole di ogni ordine e grado dei tre comuni, capace di fornire alle ricerche condotte i supporti necessari per uno svolgimento qualificato e per una costante interazione con l'ambiente sociale, culturale, politico. Leggere questo libro è come ripercorrere le 'stazioni' più importanti della migliore avventura educativa italiana: quella che alcuni di noi hanno avuto la fortuna di vivere, almeno in parte, grazie anche agli insegnamenti di Francesco De Bartolomeis.
La prima stazione è intitolata al "metodo della ricerca", che anche qui, fedelmente, viene posto dall'autore al centro dell'attenzione. All'interno dei due grandi progetti, le unità costitutive sono appunto le ricerche (ne vengono schematicamente descritte 127 e mancano quelle dell'ultimo anno!) che i bambini delle scuole materne ed elementari e i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori hanno svolto nei sei anni di lavoro. Contrariamente però a quanto avviene normalmente, gli insegnanti aderenti ai Progetti non hanno agito senza rete, rischiando di persona e trovando porte chiuse e strade sbarrate, ma hanno fruito di corsie preferenziali, di mezzi economici, di supporti formativi.
La seconda stazione, meno nota della precedente, riguarda la "dimensione reale" che viene attribuita ai problemi che le ricerche affrontano. Grazie al Progetto, che vede la scuola operare in sintonia istituzionale con il mondo esterno, è stato possibile affrontare direttamente questioni come la salute, l'alimentazione, l'inquinamento, le leggi di tutela, i piani di risanamento, la rilocazione industriale, il verde pubblico, la casa, i trasporti, le attività di lavoro, i servizi, i beni culturali. Anche con i bambini di scuola materna? Sì, anche con loro.
La terza stazione è la conseguenza naturale della precedente ed è dedicata al "sistema formativo allargato", slogan di moda che il Progetto ha trasformato finalmente in atti concreti. Si tratta di una teoria che trasse spunto da esperienze del tipo "La Città ai Ragazzi" che il comune di Torino avviò negli anni 1975-'80. Partendo dalla convinzione che una scuola adeguata abbia bisogno del sostegno dell'intera comunità, quella amministrazione mise a disposizione delle scuole molte diverse risorse culturali reperibili nella città: dai teatri ai musei, dai servizi pubblici alle strutture produttive, dai centri di informazione alle iniziative ecologiche. Successivamente si rese conto che non si trattava tanto di riversare sulle scuole enormi quantità di occasioni formative, in modo indiscriminato, quanto di mettere a disposizione dei giovani cittadini progetti consistenti in attività educative tanto scolastiche quanto extra-scolastiche. Il problema non ancora risolto è se la gestione di quei progetti deve essere comunque sempre della scuola o se si può pensare di mettere in atto sistemi formativi integrati che vedano collaborare alla pari famiglie, scuole, enti locali, associazioni, realtà produttive. I Progetti di De Bartolomeis si sono attestati sul livello del "sistema formativo allargato" e non ancora "integrato". Date le ottime condizioni di partenza esistenti nei tre comuni, sarebbe interessante che l'esperienza dei Progetti evolvesse in futuro nella direzione del superamento della assoluta centralità della scuola.
Raggiungiamo ora la stazione del "laboratorio", un'altra idea forte dell'autore. "Il laboratorio è concetto subordinato a quello di attività produttiva ". È inutile disturbare un termine così impegnativo se non si lavora davvero e se davvero non vi si produce. I prodotti possono essere molti e diversi, ma nessuno di essi può nascere se non in un luogo attrezzato dove si pensa e si fa, utilizzando gli strumenti giusti e disponendo del tempo necessario. A chi obietta che in questo modo si rischia di parcellizzare l'attività educativa, l'autore risponde con il "paradosso della determinatezza ". Se il particolare viene visto come "problema" e dà luogo a una ricerca produttiva, non può che originare processi estesi e profondi. "Nessun tema, qualora venga affrontato con la ricerca, è tanto piccolo da non spaventare per la sua ampiezza".
L'accentuazione che l'autore pone sul fare e sul produrre lascia in ombra il problema del capire. Non c'è riferimento nel libro alle conseguenze pedagogico-didattiche che si stanno traendo dai progressi compiuti dalla nuova scienza della mente e anche questo aspetto mi parrebbe costituire un'interessante possibilità di sviluppo dell'esperienza in futuro.
In un'altra stazione troviamo una concezione molto stimolante dell'aggiornamento degli insegnanti. A loro il Progetto ha parlato poco in termini pedagogici puri; ha preferito far intervenire esperti disciplinari su: scienza dell'alimentazione, ambiente, archeologia medievale, cultura materiale, museo territoriale, analisi di laboratorio, comunicazione visiva, grafica. E, sulla scorta della lunga esperienza che l'autore ha svolto a Torino nei laboratori espressivo-comunicativi rivolti agli studenti universitari, sono stati offerti agli insegnanti corsi a carattere tecnico su come fotografare, registrare, realizzare audiovisivi, girare video-film.
In una tappa successiva incontriamo un altro caposaldo della nostra avventura pedagogica: il rilievo dato alla documentazione/informazione, che deve essere all'altezza dell'epoca in cui viviamo. Il Progetto significa anche garantire la disponibilità della documentazione in entrata (consistente non solo in libri e banche dati ma anche nella capacità di servirsene), l'accuratezza della documentazione in uscita, la possibilità che la raccolta sistematica dei prodotti sia fonte a sua volta di nuovi progetti. Rientrano in questo campo anche le annuali "rassegne finali" e le mostre interattive che i Progetti hanno prodotto e che non hanno mai assunto il tono di mostre scolastiche ma, al contrario, hanno teso alla dignità e alla serietà di iniziative culturali di largo respiro.
L'ultima stazione è la più toccante di tutto il viaggio. La potremmo intitolare: "lavorare per progetti serve". Vi troviamo le molte trasformazioni, non tanto della scuola quanto della vita dei territori interessati, che sono avvenute sulla spinta dei Progetti. Leggiamo da due cartelloni dei bambini della scuola elementare di Fontanelle, esposti nelle rassegne annuali: "1985: Il Rio Melo sta male. Percorrendo il Rio Melo sentiamo un odore sgradevole, l'acqua è scura, torbida, quasi grigia. Risalendo il fiume preleviamo ed analizziamo alcuni campioni d'acqua: contengono poco ossigeno e molta ammoniaca. Come mai il nostro fiume è in questo stato? Risalendo ancora il fiume arriviamo nei pressi di una lavanderia che scarica acqua blu inquinata. Ne discutiamo con gli esperti che provvedono a denunciare il fatto". "1986: Il Rio Melo sta meglio. Torniamo alla lavanderia e constatiamo che è stato installato il depuratore con tre vasche. Corriamo a guardare il Rio: l'acqua è chiara, trasparente. Non fa puzza, c'è qualche pesce. Successivamente controlliamo la quantità di ammoniaca: è notevolmente diminuita rispetto all'anno scorso. Concludiamo: il depuratore installato nello scarico della lavanderia è servito a migliorare l'acqua del nostro Rio". Non è proprio questo ciò che a scuola "ordinariamente si dovrebbe fare"?

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