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1998
1 gennaio 1998
240 p.
9788826312552

Voce della critica


recensioni di Bonaminio, V. L'Indice del 1999, n. 07

Il titolo suggestivo e semanticamente appropriato non delude le aspettative suscitate da questo denso volumetto, che raccoglie quattordici saggi di alcuni psicoanalisti che hanno, appunto, lavorato con il pensiero di Bion e che offrono un quadro di quella "pluralità di voci (...) che la psicoanalisi italiana ha prodotto" negli ultimi venti anni a partire dal suo contributo. "Lavorare con Bion", dunque, ma anche "lavorare Bion". Una elaborazione appassionata, originale, non certo una presentazione scolastica, è infatti il senso che si ricava dalle riflessioni, dalle idee, salutarmente anche dalle critiche, dagli approfondimenti presentati dai singoli autori, che sembrano, però, accomunati dal desiderio di offrire ognuno un proprio uso – teorico e clinico – di Bion.

Il significato di "Bion in Italia", vale a dire il modo originale in cui sono state recepite ed elaborate alcune idee di questo autore, e più in generale una sua "particolare visione", "post-moderna", della psicoanalisi, è illustrato all’esordio della raccolta da Claudio Neri. A sua volta, Neri esordisce rievocando un seminario che Bion tenne a Roma nel 1977, due anni prima della morte: sarebbe stato l’ultimo di una serie di incontri in Italia, che certo hanno contribuito, per quella qualità ieratica di Bion di stare nei gruppi, a rendere particolarmente recettiva una parte della comunità psicoanalitica italiana al suo apporto teorico.

All’inizio degli anni settanta erano praticamente già tradotti dalla casa editrice Armando (grazie soprattutto a Francesco Corrao) i suoi libri principali, a incominciare da Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico (1967) fino ad Attenzione ed interpretazione (1970), che chiude un decennio per lui eccezionalmente produttivo e creativo sul piano teorico: la trilogia composta da Apprendere dall’esperienza, Gli elementi della psicoanalisi, Trasformazioni era stata pubblicata in sequenza (1962, 1963, 1965), dopo che nel 1961 era stata presentata Esperienze nel gruppo.

Ma la produttività scientifica di Bion non si ferma al 1970, al pure fondamentale Attenzione ed interpretazione. Come anche i curatori osservano opportunamente, un tratto saliente di questo Lavorare con Bion è che gli psicoanalisti italiani che vi hanno contribuito non si sono limitati alla sua produzione più classica e integrata nei modelli più consuetudinari, ma hanno invece spaziato ampiamente in tutta quanta la sua opera; anche al Bion, cioè, del decennio successivo, degli anni settanta, dei seminari e delle discussioni cliniche a New York, a San Paolo, a Los Angeles, dei già citati seminari italiani, della trilogia Memoria del futuro (Cortina, 1993-1998) – dialogo polifonico fra personaggi dello spazio mentale (compreso P.A. psicoanalista) che appartiene al genere della fiction, della finzione-invenzione più che a quello della scienza; fino a Cogitations – pubblicato postumo nel 1992 da Armando, e tradotto in modo eccellente in italiano da Parthenope Bion e Gianni Nebbiosi –, un libro sui generis, costituito da appunti clinici e teorici, riflessioni, pensieri, spesso frammentari e incompleti, che vanno dal 1958 al 1979, e sul quale Franco Borgogno e Silvio Arrigo Merciai si interrogano chiedendosi se esso non debba essere considerato un "nuovo diario clinico" – con esplicito riferimento a quella fonte eccezionale di impressioni e riflessioni dal di dentro dello psicoanalista che è il Diario clinico di Sandor Ferenczi.

Al saggio di Borgogno e Merciai va riservata un’attenzione particolare per il modo in cui si costituisce anche come resoconto del percorso personale nell’accostarsi a Bion, delle aspettative nei confronti del suo pensiero, delle pressioni a "santificarlo" in modo codificato, delle delusioni, delle riscoperte. Questi due livelli di argomentazione, quello della disamina storico-critica delle Cogitations come documento del percorso travagliato di Bion, e quello del proprio percorso, del proprio travaglio di fronte alla complessa, ma spesso anche misteriosa, oscura, sempre comunque ineludibile opera di Bion, sono intrecciati nel saggio di Borgogno e Merciai senza confondersi e sovrapporsi.

Il saggio di Parthenope Bion Starsene acquattati e non dire (quasi) nulla, che per la prima volta in un suo scritto pubblicato, credo, oscilla tra la rievocazione biografica, alcuni ricordi del padre e osservazioni e riflessioni sulla propria pratica psicoanalitica, costituisce in ciò anche una sorta di imprevista testimonianza, prima della sua morte prematura, del significato di essere la figlia psicoanalista di un padre così psicoanaliticamente importante: "mio padre", "papà", da un lato, e "Bion" dall’altro, come ella stessa accenna all’inizio del saggio.

Nel loro scritto, Incontrare Bion, Borgogno e Merciai si riferiscono alla lettura e all’incontro intellettuale con Bion, inevitabilmente mediato anche dall’incontro con Parthenope, dalla sua presenza a Torino nel medesimo entourage psicoanalitico, e dalla loro aspettativa che gli venisse restituito un Bion vivo, al di là della "moda Bion", della sua "trasformazione in un ingombrante maître à penser, della "sacralizzazione istituzionalizzata" della sua opera. È nei già citati seminari che gli autori individuano il Bion della "svolta"; "non più guru, ma terreno e bonario e meno al limite e provocatorio: ciò che adesso può stupire non sono più i voli pindarici o le acrobazie intellettualizzanti, ma, all’opposto, la frequente semplicità nell’andare direttamente al
sodo e al cuore delle cose e l’essere realmente disponibile e paziente verso i propri e gli altrui balbettii".

Cogitations, da un lato, e Memoria del futuro, dall’altro, costituiscono i due testi postumi di Bion che sembrano aver stimolato maggiormente i vari contributors di questa raccolta a cimentarsi con il suo pensiero "non ufficiale", quello più informe e in statu nascendi, o a esplorare connessioni impreviste, come nel contributo di Paola Galli, a proposito del concetto di spazio e di memoria con la teoria dei frattali.

La trilogia Memoria del futuro secondo Alberto Meotti stimola a interrogarsi sull’esistenza di "aree di sofferenza molto intensa nella parte più schiava ed asservita della mente non ancora raggiunta dai mezzi della psicoanalisi".

Francesco Conrotto, considerando Memoria del futuro un testo accostabile, per invarianze e differenze, alla Sintesi delle nevrosi di traslazione di Freud, a partire dalla quale è possibile comprendere il suo metodo di costruzione delle teorie, ritiene che Bion, attraverso i concetti di immaginazione speculativa e di ragione speculativa, sia l’autore che più brillantemente di ogni altro ha intuito e sviluppato il modello freudiano della costruzione teorica. Conrotto ritiene che l’intera opera di Bion abbia un intrinseco valore metapsicologico, svincolata da questo punto di vista dalla sua originaria matrice kleiniana.

Su un piano argomentativo differente, una linea di sviluppo da Freud, a Klein, a Bion, viene invece sottolineata da Emanuele Bonasia, che mette in evidenza, in modo critico, alcune contraddizioni implicite nell’opera di Bion a proposito della morte e, più in generale, dell’angoscia di morte, "per lo più denegata dalla psicoanalisi tramite l’utilizzazione di teorie diverse tra cui quella dell’angoscia di castrazione e quella di pulsione di morte".

Da un angolo visuale più focalizzato su alcuni concetti clinici di Bion, Pierandrea Lussana considera gli "elementi della psicoanalisi", in particolare la relazione dinamica tra "contenitore e contenuto", come teoria delle emozioni o delle esperienze emozionali, sottolineando la trasformazione che, da un altro punto di vista, introduce anche l’appassionante lavoro di Giovanna Goretti Regazzoni nel quale le categorie concettuali dell’identificazione proiettiva vengono individuate e commentate ripercorrendo alcuni passi (le strategie discorsive) della versione shakespeariana della tragedia di Otello.

Il passaggio bioniano da un modello intrapsichico a uno intersoggettivo, messo in evidenza da Goretti e da Lussana a proposito del concetto di identificazione proiettiva, trova un ulteriore approfondimento nel lavoro di Michele Bezoari, che sottolinea come l’opera di Bion, "aiuti a rendere meglio pensabili e praticabili quegli aspetti dell’esperienza analitica" per la quale risulterebbero "inadeguati i tradizionali strumenti teorici e tecnici basati su una concezione della mente individuale e su una combinatoria di relazioni tra soggetti-oggetti". Secondo questo autore, l’esperienza di Bion con i gruppi costituisce lo sfondo, il background in cui sono stati sviluppati, grazie alla strada aperta da Bion, il ripensamento del processo della funzione analitica in termini bi-personali e transpersonali all’interno di una concezione della configurazione della situazione psicoanalitica stessa secondo un modello di campo.

"La laboriosa tolleranza [dell’analista] perché aperture inedite si producano nel campo [analitico]" è ciò che Eugenio Gaburri cerca di evidenziare nel suo lavoro attraverso la presentazione di un frammento clinico per mostrare come la funzione di rêverie postulata da Bion possa essere per l’analista un compito particolarmente complesso.

In questo rapido sguardo d’insieme, last but not least il lavoro di Antonino Ferro. Il suo contributo, anch’esso ricco di documentazione clinica, dal suggestivo titolo La sessualità come genere narrativo, o dialetto nella stanza d’analisi, si segnala per l’implicita e understated radicalità nell’affrontare un tema centrale e fondante della psicoanalisi, come quello della sessualità, che viene visto, nella stanza d’analisi, quale "un tentativo di utilizzare le comunicazioni di sessualità come tramite per approfondire il funzionamento della mente umana".



recensioni di Brosio, C. L'Indice del 1999, n. 07

"È una caratteristica di alcune forme di genio scientifico modificare non solamente ciò che vediamo, ma come lo vediamo".

Così scrive David Armstrong nella prefazione a Bion’s Legacy to Groups, raccolta di saggi curata da Parthenope Bion Talamo, Franco Borgogno e Silvio Merciai per Karnac Books. Un’antologia che testimonia quanto il pensiero di Bion abbia consentito un punto di vista nuovo su uno scenario, quello della psicodinamica dei gruppi, considerato spesso selvaggio e impraticabile dalla psicoanalisi classica. Se la psicoanalisi, come ci ricorda Bion, è un processo che allarga il campo che esplora, questo volume di contributi presentati all’International Centennial Conference del luglio 1997 per celebrarne la sua nascita ne è la prova.La prova dell’esistenza di una psicoanalisi viva e curiosa che affronta con libertà e apertura mentale il tema delle relazioni di gruppo e del cambiamento istituzionale uscendo dalla stanza d’analisi per affacciarsi a questo nuovo millennio senza eludere gli interrogativi che il mondo ci pone.I lavori sono stati selezionati secondo un criterio soggettivo di aderenza emotiva, più che contenutistica, allo spirito dell’impresa bioniana di spingersi "oltre i confini" del noto, dell’ordinario. Bion è un pensatore che ha in mente il contesto, l’ambiente, il tessuto di relazioni e la trama emotivo-affettiva su cui si dispiega il pensiero individuale: questa premessa appare essenziale per comprendere non solamente le sue teorie sui gruppi e il loro funzionamento, ma tutta intera la sua opera.

In Esperienze nei gruppi (1961), Bion opera un salto di continuità rispetto alla tradizione psicoanalitica precedente e alle vicende teoriche nelle quali era immersa la psicoanalisi inglese. Quest’opera, che ispirerà tutto il pensiero psicoanalitico sui gruppi, inaugura, nella sua apparente ingenuità teorica, un approccio che contiene il germe di una profonda intuizione che i lavori antologizzati hanno saputo far crescere: la nascita del pensiero, pur essendo modulata da elementi pre-individuali impregnati di emotività, avviene all’interno di un ambiente che lo rende possibile e partecipe della sua stessa configurazione.Tratto comune agli autori ispirati dal lavoro di Bion è l’attenzione agli aspetti facilitanti o inibenti che provengono dall’ambiente gruppale in cui nasce e si manifesta il pensiero.

I contributi riguardano diversi temi della ricerca psicoanalitica ma sono fra loro legati da una tensione etica e civile, nel senso di un impegno verso il miglioramento della condizione umana attraverso la comprensione delle dinamiche soprattutto distruttive che inquinano i rapporti fra i gruppi: la psicoanalisi è, infatti, una filosofia che non può però sfuggire alla sua pratica, la cura.

P. Hoggett si occupa della distruttività declinata nei suoi aspetti psico-sociali di razzismo e odio etnico.L’autore, proponendo una visione binoculare cara a Bion, evidenzia una struttura sociale interna, propria di ogni uomo, che interagisce nella costruzione del-
la società esterna: questo fenomeno immanente fornisce una struttura profonda sia per la vita della mente sia per quella sociale.
R.P. Lipgar affronta il tema della necessità di utilizzare, nel lavoro clinico con i gruppi, un metodo per testare e convalidare i dati dell’esperienza soggettiva in termini di comunicabilità di ciò che apprendiamo nel nostro specifico campo di lavoro. Secondo Eric Miller lo specifico dei processi di gruppo, così come sono stati definiti da Bion, si perde se non si considerano gli aspetti innati della gruppalità e del sistema proto-mentale legati alla dimensione istintuale.In questo modo, la riflessione psicoanalitica odierna riporta in scena la tematica antinomica del rapporto fra innato e relazionale, che, lungi dall’essere risolta, costituisce ancor oggi uno stimolante punto di confronto fra modelli diversi della mente. W. Gordon Lawrance e David Armstrong discutono con vivezza e sguardo attento ai conflitti della società contemporanea il tema dell’organizzazione del lavoro e degli aspetti psicotici del pensiero che in questa area si concentrano inibendo i processi creativi. Il lavoro di D. Hatcher Cano tenta di cogliere aspetti delle dinamiche emotive connesse all’emergenza, prodotta dall’impatto della tecnologia delle comunicazioni attuali, di gruppi che utilizzano la rete Internet e le relative mailing list. Per Marvin Skolnick la descrizione dell’universo psicotico modulato dalle dinamiche di gruppo è esperienza del mondo, anche nostro: può essere compresa parzialmente, contenuta e alfine modificata. È però necessario, come traspare dal tono generale del lavoro, profondo rispetto, fiducia e dedizione per la persona malata. Chiude l’antologia Hanna Biran. Attraverso l’utilizzo della teorizzazione bioniana degli elementi
a e b e dei fenomeni di
splitting, la Biran affronta il tema planetario del terrorismo.Il lavoro analizza, come situazione paradigmatica, l’omicidio di Rabin: l’autrice ci indica il meccanismo di splitting diffuso nella società israelitica che non consente l’instaurarsi di una funzione sociale a di metabolizzazione e digestione degli elementi b (non "pensabili" e disturbanti).L’indagine psicosociologica appare convincente nella sostanziale premessa secondo cui l’individuo e la società sono, al tempo stesso, microcosmo e macrocosmo.

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