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Kant. Una biografia - Manfred Kuehn - copertina

Descrizione


La ricca aneddotica fiorita sulla figura di Immanuel Kant (1724-1804) trasmette l'immagine caricaturale di un uomo interamente votato alla monotona esistenza di studioso e professore, abitudinario sino all'ossessione, isolato anche sul piano personale. Nel proporre questo nuovo libro sulla vita, le opere e il pensiero del filosofo di Königsberg, Kuehn sgombra il campo da tutti i facili cliché e restituisce il ritratto di un gentiluomo elegante e ricco di spirito, che svolse un ruolo importante nella vita sociale della sua città natale. E fu anche un uomo del suo tempo, capace di recepire e trarre ispirazione dagli avvenimenti intellettuali, culturali e politici dell'epoca, dal culto del genio dello Sturm und Drang agli scritti di Hume e Rousseau e alle idee della Rivoluzione francese.
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Dettagli

2011
22 settembre 2011
664 p., Rilegato
9788815149312

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gianni
Recensioni: 2/5

A metà fra vita e opere, un libro solo a brevi tratti interessante, noiosetto. Stile non brillantissimo, forse non impeccabile la traduzione. Kuehn dichiara, all'inizio, di volersi distaccare dalla famosa vita di Kant del trio coevo (Jachmann & company), ma, alla fin fine, li cita continuamente. Fra le biografie di filosofi, ho letto molto di meglio, a dirla tutta.

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Voce della critica

  I primi studi biografici che compaiono all'indomani della morte di Kant, nel 1804, sono perlopiù tentativi di mettere in questione l'onestà umana e intellettuale di quello che era stato il filosofo più influente del tempo, e di ingenerare sospetti sulle sue convinzioni religiose e politiche. Per arginare l'influenza di quel genere di pubblicazioni e per presentare una versione meno tendenziosa della vita di Kant, Ludwig Ernst Borowski, Reinhold Bernhard Jachmann ed Ehregott Andreas Christoph Wasianski, tre amici che lo avevano frequentato in momenti diversi della sua vita, ne tracciarono un efficace ritratto. Questi tre biografi, tuttavia, forse perché tutti teologi, non erano propensi a dipingere Kant come il filosofo libertino "onnistritolante", l'allerzermalmender Kant che emergeva dalla descrizione di Moses Mendelssohn. Sicché domandarsi chi fosse Immanuel Kant non è affatto, ora come allora, una questione piana. In Kant. Una biografia (ed. orig. 2001, a cura di Stefano Bacin, pp. 663, € 60, il Mulino, Bologna 2011), Manfred Kuehn, studioso tedesco che insegna da anni negli Stati Uniti, si propone di rispondere alla questione andando oltre i molti stereotipi che circondano la figura di Kant; non occorre infatti essere conoscitori esperti della filosofia critica per aver sentito parlare delle consuete passeggiate di Kant, su cui si regolavano gli orologi di tutta Königsberg. L'analisi accurata della documentazione storica e la profonda conoscenza degli scritti kantiani sta alla base della presentazione di Kuehn, la quale si presenta come uno strumento fruibile anche da chi desideri semplicemente farsi un'idea di chi fosse questo grande personaggio della storia della filosofia. In questa sua presentazione Kuehn lascia parlare insieme l'uomo e il pensatore, alternando alle scene di vita quotidiana, ai banchetti e ai colloqui privati, le riflessioni filosofiche e le dispute con altri grandi pensatori. La stretta connessione tra vita e riflessione determina la scelta di introdurre l'esposizione della filosofia trascendentale ben oltre la metà del libro; la Critica della ragion pura era stata propriamente un'opera della maturità: Kant l'aveva pubblicata quasi all'alba dei suoi sessant'anni. Così, da principio, si fa la conoscenza del giovane Kant, della sua vita domestica nella Königsberg prussiana (l'attuale città di Kaliningrad, sul lembo di terra russo sul mar Baltico, tra la Lituania e la Polonia), del rapporto con i fratelli, della sua frequentazione di una scuola di orientamento pietista, dell'iscrizione all'Università Albertina di Königsberg. Arrivano quindi i tempi in cui Kant, come precettore, si allontana dalla sua città natale: sarà la prima e unica volta che Kant lascerà Königsberg per un periodo relativamente lungo, dal 1748 al 1754, quando tornerà per redigere lo scritto per l'abilitazione all'insegnamento. Il giovane magister impartisce in quegli anni le proprie lezioni privatamente, vive, secondo l'uso del tempo, dei soli compensi che riesce a racimolare dai suoi studenti: nelle sue lezioni non si impara la "filosofia", ma "a filosofare: non a ripetere i pensieri, ma a pensare". Sono gli anni i cui nasce l'immagine del galanter magister: Kant è attento al proprio aspetto e alla maniera, fiero protagonista dell'alta società regiomontana. Kuehn fa risalire la prima grande svolta nella vita di Kant al 1764, quando il filosofo compie quarant'anni. Come Kant stesso scrive nell'Antropologia del 1798, è solo a quest'età che un uomo raggiunge la maturità e si forma un carattere stabile. Quest'idea sembra valere per la vita del filosofo: in quegli anni Kant affianca al razionalismo puro di stampo wolffiano uno spiccato interesse per l'empirismo newtoniano. Solo nel fatidico 1769, Hume arriva a svegliarlo dal "sonno dogmatico della ragione", come avrà a dire diversi anni dopo nei suoi Prolegomeni. Il futuro fondatore della filosofia critica si presenta, a quest'epoca, come un pensatore eclettico e indipendente, un autentico Selbstdenker. Questa grande svolta viene coronata nel 1770 con la nomina a professore ordinario di logica e metafisica, dopo gli insuccessi delle candidature del 1756 e del 1758, e svariati rifiuti di cattedre che lo avrebbero allontanato dalla sua Königsberg (come nel caso della cattedra a Erlangen nel 1769 e quella a Jena nel 1770). Neppure quando, nel 1778, gli si propone l'opportunità di andare a Halle, con uno stipendio migliore e in un'università più prestigiosa, sulla cattedra che era stata di Wolff, Kant si risolverà a partire. Alla base della sua riluttanza Kant adduce cause oggettive: l'età, la salute cagionevole; tuttavia sembra proprio l'ansia di cambiamento ad aver rivestito un ruolo preminente nelle sue scelte. Nel 1770, Kant presenta la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, che contiene in nuce molti dei temi della filosofia critica. I risultati di una lunga ulteriore riflessione su questi temi vedranno la luce solo nel 1781, nella Critica della ragion pura. Il decennio trascorso è assolutamente silenzioso: Kant conduce una vita sobria e severa, lavora incessantemente all'elaborazione della propria filosofia. Non pubblica nulla e in soli cinque mesi mette insieme il testo della prima Critica. Ciò ha dato origine a una serie di interpretazioni divergenti sulla natura dell'opera, la quale, secondo Kuehn, non è stata scritta di getto, ma composta in maniera rapida sulla base di svariati appunti accumulati negli anni. A differenza di molti altri studiosi, Kuehn ritiene che nella stesura dell'opera sia stato particolarmente rilevante il ruolo di Joseph Green, un rispettato commerciante della colonia inglese di Konigsberg, amico di Kant, il quale non si preoccupava "tanto di seguire i propri affari quanto piuttosto di leggere i libri inglesi su nuove scoperte e invenzioni", e che "conduceva una vita da eremita". Kuehn racconta di come Kant abbia discusso con Green l'intera Critica prima di affrontare la stesura: cosa, questa, che sembra trovare riscontro nella presenza di "molte espressioni (…) che si possono far risalire al linguaggio dei commercianti, come 'prestito', 'capitale', e altre". Il peso esercitato dall'influenza di Green è questione dibattuta all'interno della ricerca kantiana; indubbiamente, però, Kuehn ha ragione a ricordare che lo stereotipo della puntualità maniacale da cui è derivata l'immagine già menzionata dell'"orologio regiomontano" riguardava Green e non Kant: è il commerciante inglese quello che procede per massime immutabili e che fornisce a Hippel, il futuro sindaco di Königsberg, il modello della sua pièce L'uomo dell'orologio. Nell'esposizione della filosofia critica Kuehn prende l'avvio da quella che ritiene esserne la questione centrale: che cosa possiamo conoscere a prescindere da ogni rapporto con l'esperienza? La risposta di Kant è chiara: non si può affermare nulla circa il mondo senza appoggiarsi alla nostra esperienza. Pur senza addentrarsi nel dettaglio, Kuehn riesce a presentare l'ostica filosofia kantiana in maniera piena e senza mai ricorrere ai consueti stereotipi banalizzanti. Dimostrandosi un'altra volta ancora un attento studioso dell'illuminismo, Kuehn mostra come la via della riflessione critica sia – per Kant e oltre Kant – un cammino in salita: tanto nella fase della sua elaborazione quanto nel corso della sua ricezione Kant e i suoi accoliti sono ripetutamente intervenuti a precisare e chiarire il significato di questa grande rivoluzione filosofica. Una seconda svolta importante nella vita del filosofo interviene, secondo Kuehn, nel 1783, quando Kant acquista la casa in cui vive: nonostante i profondi mutamenti nel suo tenore di vita egli continua a condurre, a differenza dei suoi colleghi, una vita sociale molto intensa. Anche in questo caso Kuehn riesce a smentire l'immagine diffusa di un Kant solitario e isolato, sostituendo a essa quella di "una persona molto socievole e amante della compagnia". Quanto alla vera e propria riflessione filosofica Kuehn non dimentica affatto di sottolineare che Kant non è stato soltanto il critico radicale della metafisica dogmatica, ma anche uno dei riformatori più rivoluzionari in fatto di etica: nel 1785, l'anno in cui esce la Fondazione della metafisica dei costumi, Kant presenta al mondo filosofico l'imperativo categorico, la volontà buona, la dignità umana, la libertà intesa come autonomia dalla volontà dalle sollecitazioni dei sensi, e altre sue concezioni che rivelano la modernità kantiana in ambito morale. Purtroppo, anche Kuehn cade nel difetto della ricerca morale kantiana in ambiente anglofono, e trascura eccessivamente la Critica della ragion pratica. A questa presentazione della riflessione metafisica e morale Kuehn fa seguire quella di un Kant "filosofo dell'illuminismo", paladino della libertà di espressione e critico del clericalismo sterile e prossimo al feticismo. In questo contesto si inseriscono le polemiche di Kant contro la politica religiosa di Federico Guglielmo II: la Religione nei limiti della semplice ragione (1792) non viene pertanto intesa semplicemente come un contributo di filosofia della religione, ma come una vera e propria presa di posizione politica a favore della libertà di pensiero. Kuehn ricorda che Kant saluta con grande favore le notizie della Francia rivoluzionaria, ancorché egli non ne condivida gli esiti irrazionali. Anche lo scritto Per la pace perpetua (1794), in cui Kant dà voce all'esigenza di costituire un ordine globale pacifico, viene presentato entro questo contesto. Pochi anni prima, nel 1790, la Critica della capacità di giudizio aveva completato la "trilogia critica": le considerazioni sul gusto e sull'organizzazione della natura. Sono ormai agli anni della vecchiaia: il 1786, l'anno della morte dell'amico Green, segna la terza e ultima svolta nella vita del filosofo. La decisione di ritirarsi in una vita più defilata avviene proprio nel momento in cui le sue idee incominciano a diffondersi in maniera quasi egemonica in Germania e altrove, inaugurando gli anni della cosiddetta aetas kantiana. Molti filosofi, ma non solo filosofi, si dirigono a Königsberg per far visita a Kant. Nella seconda metà degli anni novanta, i suoi conoscenti riportano l'immagine di un uomo assai cambiato: le sue facoltà mentali sono in rapido declino e sembra assai improbabile che egli possa ancora fornire qualche contributo al dibattito filosofico. Kuehn osserva che, effettivamente, in questi anni Kant non scrive più nulla di nuovo; tuttavia, sia la Metafisica dei costumi (1797) sia l'Antropologia da un punto di vista pragmatico (1798) rappresentano importanti tentativi di raccogliere e ordinare materiali e carte su cui Kant aveva lavorato per un tempo lunghissimo. Seguono gli scritti tardi: il Conflitto delle facoltà del 1798, i volumi curati dai suoi collaboratori quando il filosofo era ancora in vita (la Logica del 1800, la Geografia fisica del 1802 e la Pedagogia del 1804) e, infine, l'Opus postumum (una gran mole di schizzi, bozze e appunti su questioni cui Kant stava lavorando nei suoi ultimi anni di vita). Kant muore nel 1804; due mesi dopo avrebbe compiuto ottant'anni. Probabilmente morì soddisfatto della vita che aveva vissuto: sì disciplinata e dedita allo studio, ma mai – come Kuehn mostra bene – chiusa nel solo lavoro; neppure quando, nel 1803, scriveva: "Secondo la Bibbia, la nostra vita dura settant'anni, o al massimo ottanta, e quando fu ottima, non è stata che fatica e lavoro". Antonino Falduto

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