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Jung parla, interviste e incontri - copertina
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Jung parla, interviste e incontri
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Jung parla, interviste e incontri - copertina

Descrizione


C.G. Jung amava definirsi un «introverso», il che non significa che non sapesse trattare con il mondo e in particolare con quella insidiosa manifestazione del mondo che è lintervista. Lungo tutto larco della sua vita, accettò di parlare di se stesso e del suo pensiero con i più svariati interlocutori, alcuni dei quali oscuri, altri illustri come Victoria Ocampo, Alberto Moravia, Mircea Eliade, Charles Baudouin, Miguel Serrano. Ed è sorprendente il fatto che ogni volta, fra le maglie di una forma così aleatoria e sfuggente, Jung abbia voluto e saputo lasciar filtrare delle verità che nei suoi libri rimangono talora celate come in uno scrigno. Queste interviste rappresentano dunque un prezioso controcanto a tutta lopera di Jung, indispensabile sia per chi si accosti ad essa per la prima volta, sia per chi la conosca in profondità. Le novità appariranno insomma equamente divise, anche perché in Jung allo sforzo per chiarire le proprie idee ed esporle in modo piano si accompagna sempre la formulazione imprevista, quasi il guizzo di un ironico sciamano.
La presente raccolta fu pubblicata per la prima volta nel 1977.
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Dettagli

1995
22 febbraio 1995
591 p., Brossura
9788845911088

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leaby
Recensioni: 3/5

Questo libro ha segnato l'inzio della mia storia d'amore con il mio attuale marito, dieci anni fa. Dopo questa nota personale, posso dire che è un libro che consiglio. Mi ha aiutato a comprendere meglio certi meccanismi mentali. E' molto interessante.

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Voce della critica


recensione di Baldisserotto, E., L'Indice 1995, n.11

Un'antologia di scritti inediti, che introducono vari elementi di novità e di sorpresa. Una raccolta che comincia subito dopo la morte di Jung, per fermare e conservare le tracce lasciate nella memoria degli uomini dal "grande uomo". Un prezioso "pacchetto" di notizie, aneddoti e curiosità, tuttavia non un'opera scientifica. Per quanto ben curati dall'editore e dal traduttore dei "Collocted Works", i contributi, numerosissimi tra interviste, dichiarazioni, articoli, pagine di diario, appunti di conferenze, commemorazioni, e altro ancora, non possiedono valore di documento. Già l'introduzione di McGuire infatti mette in guardia sulla relativa fedeltà di molte trascrizioni e sulla scarsa attendibilità storica di quanto riportato nelle "testimonianze" dall'indubbio taglio soggettivo.
Esclusa l'utilità filologica, resta una grande attrattiva, che è quella di disegnare un quadro molto vivo, c perciò appassionante, della figura di Jung, dell'impatto provocato dalla sua presenza, della sua gestualità, della sua modalità comunicativa, del suo "parlare", appunto.
Se, inoltre, estrarre dall'insieme un quadro teorico organico non e possibile, è però impossibile sottrarsi alla miriade di suggestioni, idee, spunti e intuizioni che da questi scritti si diramano e che suscitano stupore, interrogativi, associazioni, emozioni e conflitti.
Dal momento che non scrive, non riflette in solitudine, ma, nell'immediatezza dell'incontro, "Jung parla", si ha l'impressione di poter instaurare un dialogo con lui, o meglio, di entrare, attraverso la lettura, in una rete dialogica intessuta dallo psicoanalista svizzero e dai suoi interlocutori di cui noi diventiamo parte integrante e strumento di ulteriori rinvii. Le domande aprono strade che le risposte non chiudono, poiché evocano altre domande, in un gioco ininterrotto e fecondo di produzione di idee e scambio di emozioni.
Le parti più gradevoli sono sicuramente i reportage degli scrittori (Victoria Ocampo, Elizabeth Shepley, Alberto Moravia, ecc.) non solo perché sono scritti meglio, ma anche perché è probabile che a persone per le quali la forma espressiva artistica era usuale e congeniale risultasse più comprensibile un uomo che considerava come massimamente terapeutica la manifestazione dei propri impulsi creativi. Sovente, infatti, tra i molti argomenti trattati, ricorre in queste pagine il tema dell'arte, collegato a quello della natura e della nevrosi. Ciò induce a una considerazione: poiché l'urgenza comunicativa opera una selezione nel pensiero, in parte per le richieste dell'interlocutore, in parte per il bisogno interiore di esprimere sinteticamente il nocciolo della propria teoria nei suoi aspetti più fruibili e vantaggiosi, viene da pensare che per Jung quello dell'arte fosse uno dei messaggi centrali della sua psicologia. Resta la difficoltà di capire chiaramente che cosa intendesse dire, nonché quella di seguire il filo delle numerose implicazioni che il suo discorso comporta.
Tuttavia, provando ad annotare ciò che emerge, veniamo colpiti dall'idea che l'uomo primitivo, "il selvaggio ululante", secondo l'espressione di Elizabeth Shepley, abiti tuttora dentro di noi, e sia, originariamente, artista e sacerdote. Veniamo a sapere che allontanandoci da lui, nel processo di civilizzazione, ci siamo allontanati dalla fonte della nostra creatività e che ciò che rischiamo di soffocare nella nevrosi è la natura con tutti i suoi istinti primari: non solo le pulsioni biologiche, ma anche le inclinazioni artistiche e religiose. Secondo questa prospettiva, la cura analitica mirerà non già a rendere conscio l'inconscio (Freud), quanto a far si che il conscio acquisisca gli strumenti espressivi adeguati a veicolare i contenuti inconsci. Le fantasie, gli impulsi e i desideri della matrice inconscia non andranno eliminati, bensì "sviluppati ed elaborati". A ciò provvederà la coscienza che, quale canale di comunicazione tra l'interiorità profonda e il mondo, invece di prenderne il posto, dovrà far posto all'inconscio. Dove far posto non significa tirarsi da parte; abdicare, ma allargarsi per ospitare.
Proseguendo nella lettura riscontriamo che la potenzialità creativa è una delle componenti psichiche maggiormente soggette a rimozione e che ciò, al pari della rimozione di qualsivoglia istinto primario, comporta le più spiacevoli conseguenze: "Nel nostro mondo meccanizzato, il bisogno di creazione artistica è rimosso durante il giorno dalle nostre occupazioni, sempre molto monotone, e perciò provoca spesso disturbi psichici. Bisogna dunque richiamare dall'oscurità del subconscio l'artista dimenticato e dare uno sbocco al bisogno di espressione artistica, senza preoccuparci del valore estetico delle nostre produzioni".
Che i valore estetico sia disdegnato può sollevare numerosi interrogativi, uno dei quali è: -"Che cosa dunque la produzione di cui si parla ha a che vedere con l'arte?". Il processo e non il risultato, potrebbe essere la risposta. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto è opportuno sottolineare che il dubbio circa il valore estetico di un'opera, o addirittura la certezza della sua assenza, non deve fungere da inibizione circa una qualsivoglia espressione creativa. Questo perché i suoi effetti sulla psiche sono troppo benefici per potervi rinunciare. Non dimentichiamo che l'occhio di Jung è puntato sulla terapia. E da un punto di vista terapeutico ciò che conta è "ripulire e sgravare la psiche", avvantaggiarsi cioè dell'effetto catartico dell'estrinsecazione dei propri contenuti inconsci, nonché di una maggiore comprensione o familiarizzazione con essi attraverso la loro trasformazione in "oggetti".
Inoltre il vissuto di un momento creativo conduce a una dimensione psicologica di pienezza, di appagamento, di contatto e di armonia con la natura: è un'esperienza di rivelazione del senso e del sacro della vita; tutto ciò è impagabile e talmente rilevante per l'assetto del mondo interno dell'individuo e per la sua salute psichica, da porre in secondo piano il problema del valore dell'opera d'arte. O per meglio dire, induce a effettuare una distinzione tra valore soggettivo e valore oggettivo della produzione artistica. Laddove l'autentica opera d'arte possiede una prerogativa di universalità, parla al mondo e oltrepassa le barriere dello spazio e del tempo, l'opera d'arte minore riguarda l'individuo e la sua interiorità.
Il valore soggettivo consiste nel dare espressione alla fantasia e all'immaginazione, nel valorizzare il proprio patrimonio simbolico e nel saperlo continuamente integrare e rinnovare. Ciò non può significare altro che condursi al di là dei propri limiti espressivi, ovvero operare, di volta in volta, al massimo delle proprie possibilità attuali e un poco oltre quelle immediatamente precedenti. Solo così la produzione delle immagini può coincidere con la scoperta del nuovo, di quanto non previsto, di quanto esula dalla ripetitività.
Ma "fare spazio al libero gioco della fantasia" vuol dire concedergli il luogo marginale del relax e dell'evasione o vuol dire conferirgli serietà e dignità di centro intorno al quale la personalità si costruisce? E lo spazio ricavato, il pezzo di terra su cui la natura può rigogliosamente fiorire, va coltivato o lasciato incolto?
Non aspettiamoci di trovare qui delle risposte; Jung sembra piuttosto disposto a seminare inquietudini, a lanciare scintille di idee che ad altri spetta sviluppare. A noi basta rilevare che queste parole informali, colte nella loro fugacità, hanno una capacità di colpire che scritti meditati non possiedono.

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