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Sebbene sia tra i miei libri preferiti in assoluto, molto avrei da discutere su questo romanzo, perchè io e l'autore la pensiamo decisamente in modo diverso e di certo il suo scetticismo non combacia con il mio ottimismo moderato, ma certe sue prese di coscienza le condivido, seppur con le dovute cautele, come questa :<<...La gente non capisce, e non è nemmeno che facciano apposta: proprio non ci arrivano e basta...>>; Certamente, Enrico ha svolto un bello spaccato dell'adolescenza di una parte della mia e sua generazione ('74-'75), ma si badi bene, - di una parte soltanto -. Lo stile di scrittura tutto suo della narrazione che però mostra apporti da Salinger, da Andrea de Carlo e da Tondelli (radici che Brizzi non mai nascosto) è davvero intrigante e ti inchioda alla lettura! Se vogliamo poi sorvolare sull'uso massiccio di parole "colorite", il sapore di "favola metropolitana", raccontata con una maestria unica, riesce sempre ad affascinarmi profondamente, anche ora che ho 35 anni. Tanti comunque si ricorderanno di quel periodo così strano, leggendo questo racconto: le fughe da scuola, gli amori, le interrogazioni da panico, le serate spensierate, etc. E' riuscito a catturare molto della bella Bologna degli anni '90 (che ora ahimè mi pare alquanto cambiata...) e ne ha fatto un teatro stupendo per la sua storia, mostrandone la bellezza con pennellate "cinematografiche" molto efficaci, come quella indimenticabile della prima pagina: <<...in quei giorni il cielo di Bologna era espressivo come un blocco di ghisa sorda...>>. Questo racconto nasce e resta un romanzo adolescenziale, con tutti i limiti del caso, ma la freschezza e la confidenzialità con cui fu scritto ne ha fatto un classico contemporaneo. Forse sta propro qui il suo fascino e la sua forza: è un romanzo che, volente o nolente, ti fa entrare in un dialogo e non ti lascia finchè non ti ha detto tutto.
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