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L' Italia dell'ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese - Graziella Priulla - copertina
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L' Italia dell'ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese - Graziella Priulla - copertina

Descrizione


L'Italia ostenta la propria collocazione tra le nazioni più ricche del mondo, ma non c'è una strategia che sostenga la crescita culturale dei cittadini, anzi si fa in modo che si riduca il consenso sociale intorno alla cultura. Tra le cose "sdoganate" ci sono la rozzezza e l'ignoranza. Si rottamano intellettuali, scrittori, artisti come pericolosi rompiscatole. Si tagliano a man bassa i fondi per la scuola, per l'università, per la ricerca. I nostri giovani sono "i nuovi poveri", e non solo sul piano materiale. Ne è prova il fatto che intere generazioni hanno deficit culturali inauditi, dispongono ormai solo di una versione rattrappita della lingua italiana. Meno del 20 per cento dei quindicenni è in grado di leggere correntemente. Molti neo-diplomati decifrano con difficoltà i titoli di un quotidiano, non sanno produrre senza errori un testo elementare. Sviluppare un'argomentazione ragionata esula ormai dalle capacità medie degli studenti, alle superiori come all'università. Questo libro elenca cifre impietose tratte da indagini nazionali e internazionali, riporta esempi e considerazioni che risultano da esperienze vissute, ma soprattutto s'interroga sul valore che la nostra comunità attribuisce all'istruzione, sulla qualità del contesto in cui vivono i nostri figli. Nella crisi del sistema educativo legge i segni di un disorientamento generale. Se l'attitudine ad elaborare idee e lo sforzo di interpretare la realtà si impoveriscono, la democrazia intera ne soffre.
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Dettagli

2011
27 febbraio 2012
208 p., Brossura
9788856840223

Voce della critica

È un libro sui giovani d'Italia, ma anche sugli adulti italiani e sulla larga macchia dell'illiteracy che li distingue vistosamente in Europa e che il titolo traduce in "ignoranza". Quell'ignoranza che però non è solo mancanza di conoscenze, bensì soprattutto incapacità di inferenze.
In verità, i temi su cui si alterna la narrazione dei fatti sono due, quello dell'ignoranza, appunto, e quello dei nuovi mezzi e modalità della comunicazione. Il punto di intersezione dovrebbe essere la scuola e così anche su di essa si snoda un racconto di fatti per lo più recenti che tutti conosciamo bene. Il libro è ricco di occasioni e di considerazioni gestite dallo sguardo accorto dell'insegnante che si interroga e confronta e discute tempi e paradigmi linguistici e comportamentali lontani da quelli di pochissimo tempo fa. Quella sulle conseguenze cognitive delle nuove tecnologie è un'area di discussione molto vasta. Esse comunque appaiono irreversibili, con il loro portato neurologico e con la diffusione di un sapere frammentato specchio del caos del mondo.
Ma, se non è novità il dibattito sulle nuove tecnologie, lo è invece ritornare a discutere di uno degli antichi mali italiani, quello dell'analfabetismo, dell'ignoranza e oggi dell'illiteracy, macchia che si è di nuovo allargata a dismisura e, come quella del petrolio in mare, minaccia di distruggere la vita sottostante. Relativamente ai cinque livelli di competenza nell'interpretazione di un testo, il 30 per cento è fermo al primo livello, un altro 30 per cento al secondo e solo il 9 per cento raggiunge i livelli quarto e quinto. Commenta puntualmente l'autrice: "La società del denaro appare sempre più povera", come l'opinione pubblica sempre più incompetente.
Quanto ci costa l'ignoranza nel largo raggio della vita pubblica partecipata, della società economica e dell'attenzione continua ai valori? Ne è evidente il deficit democratico e l'avvilimento etico, ma, se si vuole intristirsi nella sola ragione utilitaristica, come si ama fare con arie di razionalità, non bisogna allora rispondere che l'ignoranza costa sicuramente ore e ore di lavoro, di fatiche, di sviamenti? Si dice peraltro dell'ignoranza della massa senza mai distinguere adeguatamente e sottolineare con la forza dovuta quella dei quadri intermedi e dei dirigenti. "Solo il 32% delle imprese [italiane] sopra i dieci dipendenti realizza attività formative, a fronte del 92% della Gran Bretagna, 74% della Francia, 79% della Germania, 47% della Spagna". In Europa circa la metà della popolazione adulta è interessata da attività educative, in Italia si è sotto il 20 per cento. Come si lavora da noi, oggi, e quanto?
Nel linguaggio comune popolare spesso l'ignoranza è sovrapponibile alla stupidità. Quanto ci costa la stupidità sociale? Chi è chiamato a indicarla e a correggerla? È scoraggiante vedere quanto a lungo si è dovuto combattere per avere diritti, dignità e parità, istruzione, e in quanto poco tempo tutto ciò può essere compromesso e vanificato.
La scuola. Sempre si chiama in causa la scuola, e per fortuna. È questa forse la parte più amara del libro, con l'elenco delle doglianze. Certo non è possibile tornare alla centralità deamicisiana anche se la sua organizzazione è rimasta quella, come riconosce Graziella Priulla, in un perenne stato di lavori in corso. La scuola è diventata un enorme serbatoio di formalità con un linguaggio importato da un altrove estraneo che naturalmente spesso si traduce in finzione e in carenza di identità. Non esistono forme di valutazione dell'insegnamento e a ogni volgere di anno misuriamo la costante impreparazione degli insegnanti e dei dirigenti, il privatismo è destinato ad allargarsi; inesistente è una discussione sulla validazione dell'apprendimento esperienziale insieme a un piano serio di alternanza scuola-lavoro; e poi le decurtazioni che contribuiscono a favorire la scuola privata secondo un modello già sperimentato nella sanità. D'altronde, se la vita comune della società italiana è piena di banalità e al di sotto di esse di ingiustizie, la scuola non può che produrre banalità e ingiustizie.
Fausto Marcone

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