Italia cortigiana. Passato e presente di un modello di potere

"La partecipazione alla politica dei Romani" assomigliava più "a quanto avviene nei sistemi anglosassoni" che "a quanto capiti oggi in Italia": il politico italiano attuale "prova semmai ad assomigliare al cortigiano della curia o della famiglia papale". Su quest'ipotesi è costruito il saggio di Benini, più pamphlet che saggio a dire il vero, con tutte le virtù di un'ispirazione davvero machiavelliana: al modello immutabile del sistema clientelare italiano, trasferito dal Rinascimento al familismo e al corporativismo odierni, l'autore contrappone infatti il "bene comune" e "i principi del diritto romano, il lavoro e le competenze", incarnati in un'"Italia dei mestieri, del lavoro produttivo, delle comunità operose e della responsabilità", capace di confrontarsi "con il cambiamento e il presente". Altrettanto machiavelliana è la prospettiva storica del volume, che segue da vicino "l'invenzione del clientelismo" a partire dallo sviluppo della corruzione politica nel tardo impero fino al suo perfezionamento nell'età dei papi: viene dal principe, non a caso, l'idea che la corte romana sia "una corte un po' particolare", estranea alle "dinamiche creative e volitive" della civiltà comunale e rinascimentale. Di fronte all'Italia cortigiana dei partiti e al costo sociale di questa "confusione tra sfera politica e amministrativa" che non distingue "il ruolo della rappresentanza politica dal funzionamento dello Stato", l'unica via d'uscita è quella di "premiare il saper fare" liberando gli italiani "dalla logica del patrono, per cui dobbiamo sempre ringraziare qualcun altro". L'autore propone insomma un ritorno ai "principi dell'Umanesimo italiano", in nome della libertà individuale e dell'individuo "sacerdote di se stesso": un provocatorio contromodello di marca protestante, che neutralizzi la cultura dell'amico e del cliente. Rinaldo Rinaldi