Isole galleggianti è una preziosa antologia di sessant'anni di poesia femminile sudafricana che raccoglie testi di dodici poetesse nate fra il 1915 e il 1971. Sono scrittrici ormai consegnate alla storia della letteratura o viceversa agli albori della carriera, che scrivono in inglese e/o in afrikaans: Ruth Miller, Elisabeth Eybers, Ingrid Jonker, Ina Rousseau, Jennifer Davids, Antjie Krog, Ingrid de Kok, Karen Press, Malika Ndlovu, Yvette Christianse, Gabeba Baderoon, Makhosazana Xaba. Si tratta, inevitabilmente, di personalità fra loro assai diverse per formazione, sensibilità o modalità espressive. Nell'appassionata introduzione Jane Wilkinson ricorda tuttavia che comune a tutte le autrici è il desiderio di forgiare una propria lingua poetica, capace di dar conto delle separazioni, esclusioni e divisioni che hanno in vario modo segnato il Sud Africa; una ricerca tenacemente condotta a costo di scontrarsi in particolare nel caso delle poetesse che si esprimono in afrikaans, l'idioma degli inventori dell'apartheid con la necessità di esprimersi nella lingua dell'oppressore. Da tali collisioni e incroci linguistico-culturali escono testi di grande vigore politico e consapevolezza poetica, come Il bambino ucciso dai soldati a Nyanga (1960) di Ingrid Jonker, che Nelson Mandela recitò, in afrikaans, quando rivolse al parlamento nazionale il suo primo discorso ufficiale da presidente, nel 1994. Un testo visionario e utopico che sottrae alla morte biologica la giovane vittima delle violenze razziste per farne l'emblema dell'unità africana e della fratellanza universale: "il bambino diventato uomo percorre tutta l'Africa / il bambino diventato gigante viaggia in tutto il mondo // Senza il lasciapassare". La discriminazione razziale e le divisioni interne, ancor più sofferte da chi alla soperchieria su base etnica deve aggiungere le sofferenze dovute ai pregiudizi di gender, incidono ferite profonde nelle poesie di molte fra queste autrici, spesso percorse da violente immagini espressioniste e animate, per dirla con Yeats, da una bellezza terribile: "Solo la bellezza può apparire così torva" (Miller); "Il sole sarà oscurato da noi / il sole nei nostri occhi per sempre oscurato / da nere farfalle" (Jonker); "destinato a una lenta decadenza, / il giardino mancato?"; "una crosta leziosa e nauseante / un inferno viola e lillà" (Rousseau); "Cercai / fino a sanguinare / trovai / un fiore / col volto / nero come il sole"; "la nera / location del cielo" (Davids); "la luce è un lebbroso"; "un osso del desiderio / butterato da formiche pointilliste" (de Kok); "quanti piccoli portatori per una bara? (
) neonati / distesi a pancia in su, inermi come scarafaggi (
) improvvisamente un giorno sentirai / il cielo nero avvampare in silenzio (
) siamo alla fine, siamo alla fine" (Press). Il dolore è psichico quanto fisico, comunque espresso con intensità lacerante. Sono del resto, per la maggior parte, poesie pensate con il corpo: "Sappiamo / perché il corpo duole" (Christianse); "La parola è carne" (Miller). Tendono a oggettivare nell'esteriorità i paesaggi interiori, lasciano che emozioni e tormentate idee camminino nel mondo, attaccandosi ai corpi, alle cose, a scorci naturali mai di maniera. Difficilmente la retorica qualunque tipo di retorica, quella letteraria dello "scriver bene", o quella ideologica del "pensare bene", pensare come vogliono gli standard dell'establishment o quelli delle sue antitesi, a volte non meno conformiste appesantisce versi invece quasi sempre intensamente "vissuti", consapevoli senza ostentazione. La cultura cui queste autrici si rifanno è, in primo luogo, quella delle donne. È sapienza delle madri, spesso trasmessa oralmente (l'oralità è, del resto, solitamente una condanna più che una scelta, come ci informa Ruth Miller mostrandoci i neri che scrutano i dorsi dei libri per loro irraggiungibili sugli scaffali di una biblioteca a Johannesburg). Elisabeth Eybers dichiara di ricercare la voce di sua madre nelle filastrocche che udiva nell'infanzia e accetta "il debito fecondo" contratto nei suoi confronti. Miller deriva il titolo di una propria raccolta, Isola galleggiante, da una poesia di Dorothy Wordsworth, sorella del più canonico fra i poeti romantici e "madre" storica delle poetesse contemporanee. Makhosazana Xaba, nel lungo componimento posto in explicit al volume, Le lingue delle madri, progetta un poema epico sulle donne del passato di cui ancora non riesce a raccontare le tremende esistenze: un poema che celebri ad esempio Sarah Baartman, la Venere ottentotta esibita nei freak shows europei come esempio di animalesca bellezza africana, o Victoria Mxenge, assassinata dai sicari del governo dell'apartheid. E proprio questa ostinata e dolorosa ricerca della parola capace di dire l'indicibile avvalora ai nostri occhi il percorso poetico di questa autrice e delle sue compagne di strada. Fausto Ciompi
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