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Le isole dei senza memoria - Victor Segalen - copertina
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Le isole dei senza memoria
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Le isole dei senza memoria - Victor Segalen - copertina
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Descrizione


I "senza memoria" sono gli ultimi pagani delle isole della Polinesia, i Maori ormai dimentichi dei loro costumi, del loro sapere, delle loro divinità familiari. In questo romanzo Segalen rovescia in modo radicale lo stereotipo della scrittura antropologica: a parlare non è più lo studioso ma un vecchio tahitiano, Terii a Paraurai, Capo-dall'alto-parlare, che mentre racconta la perdita della propria storia, si interroga sul significato della colonizzazione condotta dagli europei in nome della religione cattolica, il cui esito è stato la morte di una cultura e la scomparsa di un popolo.
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Dettagli

2000
4 febbraio 2000
208 p.
9788883530142

Voce della critica


recensioni di Maubon, C. L'Indice del 2000, n. 09

Giovane medico della marina francese, Victor Segalen giunse a Tahiti, il 23 gennaio 1903, al termine di un viaggio che si configura retrospettivamente come un rito di passaggio. Per raggiungere il cielo "immaginato chiaro" della Polinesia, aveva lasciato, in una Parigi "cupa" e "vischiosa", gli ambienti rarefatti del simbolismo, nei quali, malgrado esordi promettenti, si sentiva stretto. Più della vita sedentaria degli amati maestri - Huysmans, Gourmont, Saint-Pol-Roux -, lo attraeva il destino errante di Gauguin, perso in Oceania come, anni prima, Rimbaud in Abissinia. Superati i rischi mortali di una grave febbre tifoidea, aveva abbandonato, con San Francisco, l'ultima sponda di una civiltà da cui intendeva prendere la massima distanza. Davanti a lui, incarnato dalla "sagoma trionfale e profumata" di Tahiti, si era finalmente aperto lo spazio illimitato dell'altrove.
A Tahiti, che rimarrà il luogo privilegiato dell'incontro reale-immaginario, del rapporto soggetto-oggetto, Segalen sentì per la prima volta risuonare l'eco dello shock alla ricerca del quale dedicherà da allora la sua esistenza di "esota": "ci sono, nel mondo, dei viaggiatori-nati; degli esoti. Questi riconosceranno gli indimenticabili sussulti provocati dal momento d'esotismo: l'ebbrezza del soggetto nel concepire il suo oggetto, nel sentire il Diverso". Eppure l'incontro avvenne sotto i peggiori auspici. Un violento ciclone aveva devastato poco tempo prima gran parte dell'arcipelago. Segalen sbarcò appena in tempo per prendere parte alle operazioni di soccorso ai sinistrati. Fu un impatto violento che segnò per sempre la sua percezione della realtà polinesiana. Nulla, nemmeno le parole riparatrici degli Immémoriaux, poté rimarginare questa ferita originaria.
Sconvolto da tutto ciò che vedeva, Segalen cominciò un diario (Sotto un cielo diverso. Giornale di un viaggio in Polinesia, La Casa Usher, 1990) nel quale non descrisse il paradiso terrestre ma, difficilmente riscattato dal felice carattere delle popolazioni maori, lo spettacolo della desolazione: paesaggi distrutti, ammassi di rovine, epidemie, miseria. Uno stato di emergenza dietro il quale emergeva un male ancora peggiore, endemico: la civilizzazione. Più sconsolato di quello del medico (vaiolo, morbillo, sifilide, tisi, oppio), affiorò lo sguardo dell'esota, il quale, dal suo punto di vista, non vedeva rimedi al disastro circostante. Per quanto vi fosse preparato - non si era certo lasciato abbagliare dalla propaganda coloniale -, Segalen dovette misurarsi con la concretezza dei fatti, la loro crudeltà: fisiologicamente e moralmente, la razza maori stava morendo e, direttamente o indirettamente, gli europei erano all'origine di questa catastrofe.
A questa decisa quanto terribile diagnosi, lo scrittore reagì però subito. In poco più di un mese, elaborò il progetto degli Immémoriaux, libro delle origini e della loro perdita, libro di lutto, felicemente riofferto ai lettori nella nuova traduzione di Michela Baldini; della lontana ma pure ottima edizione di Sergio Sacchi rimpiangiamo, se non altro, il titolo di copertina, Gli Immemoriali, in perfetta sintonia stilistica e ideologica con quello francese. Fuorviante e riduttiva appare la scelta di Le Isole dei senza memoria, che rischia di evocare tutto ciò contro cui, fin dall'inizio, si è iscritto il progetto segaleniano di una estetica del diverso, gli "orpelli" ("palme", "cammello", "casco coloniale", "pelli nere", "sole giallo") che ingombravano la parola "esotismo" e ne alteravano il senso genuino.
Pubblicato nel 1907 a spese dell'autore sotto lo pseudonimo di Max Anély, Les Immémoriaux passò pressoché inosservato agli occhi dei lettori contemporanei, smarriti davanti a un'opera che sfuggiva a qualsiasi tipologia letteraria. Inatteso ibrido di fiction e di archeologia etnografica, il volume diffidava della letteratura di stampo esotico-coloniale alla Pierre Loti, nel suo sistematico rifiuto di soddisfare i fantasmi dell'altrove alimentati dalla brama espansionistica di fine secolo. Eppure il testo trovò allora, con l'ardita espressione di "romanzo etnografico", quella che rimane forse la sua più giusta definizione: "un'opera che, pur non scritta in modo romanzesco, è il romanzo di una nazione". Una nazione in via di estinzione, alla quale, in un disperato intento di salvezza, Segalen riuscì a restituire la propria voce.
In meno di un mese, sorretto dalla trascrizione diaristica, il progetto del libro prese corpo. Segalen iniziò sul posto la raccolta dell'imponente materiale che sottende la redazione del volume corredato da tutte le fonti che dovevano garantirne il valore scientifico: dal lontano Bougainville (1771), al recentissimo Wedel (1901) con particolare riferimento alle fondamentali Polynesian researches di Williams Ellis. Meno felice, benché ostinata, si rivelò la caccia alle "vecchie cose": "Consueta ricerca del Passato e come di consueto indagine infruttuosa". In realtà, giunta troppo tardi, l'etnografia fallì laddove la letteratura trionfò.
Bisogna a questo punto precisare che il progetto degli Immémoriaux non sarebbe maturato così felicemente senza l'incontro con la pittura tahitiana di Gauguin, il vero intercessore, l'iniziatore alla civiltà maori: "Posso dire di non aver visto nulla del paese e dei maori prima di aver percorso e quasi vissuto gli schizzi di Gauguin". Nei quadri come negli scritti scoperti, pochi mesi dopo la morte del pittore, ad Atuana, nella "Casa del Godere", Segalen colse non solo il segreto dei maori ma una lezione di libertà espressiva per lui decisiva. Quello che finora aveva sentito intuitivamente - di realtà c'è soltanto quella del soggetto, di verità soltanto l'autenticità della creazione - trovò nell'esempio di Gauguin una clamorosa conferma: solo la scrittura sarebbe stata in grado di far emergere ciò che era sepolto nel passato.
Una scrittura però che si sarebbe decisamente distaccata dalla tradizione letteraria eurocentrica, così come viene precisato in alcune note dell'Essai sur l'exotisme: "Hanno detto [i vari Loti, Claudel, ecc.] ciò che hanno visto, ciò che hanno provato di fronte alle cose e alle persone inattese di cui andavano a cercare lo shock. Hanno rivelato invece ciò che, dentro di sé, queste cose e queste persone pensavo di se stesse? Perché vi è, forse, dal viaggiatore allo spettacolo, un altro shock di ritorno di cui vibra ciò che vede. Con il suo intervento, a volte così sfortunato, così avventuroso, il viaggiatore non rischia infatti di perturbare l'equilibrio stabilito da secoli? (...) Tutto ciò, reazione non più dell'ambiente sul viaggiatore ma del viaggiatore sull'ambiente vivo, ho tentato di esprimerlo per la razza maori".
Con una suggestiva inversione di prospettiva, Segalen ha affidato la narrazione del male a un anziano maori che racconta e commenta dal "suo" punto di vista e con la "sua" voce l'effetto devastatore della civiltà europea e della religione cristiana. Al di là del sicuro effetto di spaesamento spazio-temporale, perfettamente riuscito risulta l'intento "arcaico" di dipingere il mondo altro ma già contaminato dei maori tramite un impasto linguistico esoticamente inedito in cui, come nei quadri di Gauguin, forme del contenuto e forme dell'espressione si confondono. Così, ad esempio, numerosi vocaboli maori importanti nell'economia del romanzo ("haèré-po", "fari", "arioï", "atua") sono trapiantati nel tessuto narrativo senza che ne sia dato un preciso equivalente occidentale. Colmo dell'esotismo e della ricerca del "colore locale" ma anche dell'incomprensione delle civiltà a confronto appaiono, in questo senso, le trasposizioni tahitiane di termini europei o, in mancanza di qualsiasi forma di equivalenza, la loro pura e semplice trascrizione fonetica.
Con riferimento a un momento storico preciso, riconducibile allo sbarco a Tahiti di James Cook alla fine del XVIII secolo e all'inizio dell'evangelizzazione dei missionari metodisti inglesi, il racconto inizia con un lapsus che, per Segalen, ha la forza di una scena primaria. Terii, il giovane sacerdote, recita con gesti cadenzati la genealogia del popolo maori quando, all'improvviso, si mette a balbettare, in preda a un'inquietudine che gli impedisce di portarla a termine. Prima di descrivere gli effetti nocivi sui corpi e il declino delle proprie ancestrali tradizioni, la coscienza primitiva percepisce la minaccia, il presagio nefasto, nell'impossibilità di ritrovare la parola perduta, nella defezione dei segni.
La memoria e la parola vengono a mancare e, in quel preciso momento, malgrado la colpa e la perdita, nasce lo scrittore, suggeritore funebre che permette al racconto delle origini di proseguire attraverso la narrazione della sua perdita. In queste prime pagine del suo primo libro che si apre su una notte, "come tante altre notti talmente numerose che non vi si poteva pensare senza confonderle", Segalen ci dice ciò che diverrà la sua opera: un grande sogno a partire dalla confusione delle parole e dei nomi, dal racconto perturbato delle origini.

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Conosci l'autore

Victor Segalen

Victor Segalen (1878-1919) è stato uno dei più importanti poeti francesi di inizio Novecento. Medico di Marina, archeologo e scrittore, amico e collaboratore di Claude Debussy, le sue due opere poetiche più importanti sono Odes e Thibet.

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