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Recensioni Io venìa pien d'angoscia a rimirarti

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Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l'attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, con delitti efferati, strane simbologie e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell'800 il racconto è l'esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano, ed è al contempo una variazione sul tema del doppio, "un apologo misurato ed elegante", ha scritto Lorenzo Mondo, "sulla faccia notturna della vita, sulle pulsioni selvagge che ricollegano l'uomo al tempo delle origini". )
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