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Gli intemperanti
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Descrizione


Dopo l'era degli indifferenti e il decennio dei cannibali, era forse il caso di individuare, nella narrativa italiana d'avanguardia, un'altra, e del tutto diversa, corporazione di giovani autori contemporanei: gli intemperanti. Attraverso due anni di scouting e la lettura di più di un migliaio di racconti, il volume presenta una selezione di diciotto voci, i cui tratti comuni sono la sperimentazione tematica, linguistica o d'ambientazione e una giovinezza che ancora nega l'indifferenza e che si oppone alla noia. Ognuno di loro racconta una storia che non ci lascia del tutto uguali a noi stessi, anche se l'alterazione che provoca non è data da grida né da pietre lanciate contro le finestre, ma da un cambiamento di punto di vista sulle cose.
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Dettagli

2
2004
1 dicembre 2003
183 p., Brossura
9788882370657

Valutazioni e recensioni

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Luca
Recensioni: 1/5

Sterile operazione commerciale. Qualcuno si salva, il resto è robetta mediocre. Consiglio: evitare di leggerlo dopo aver finito "Burned Children of America". Come ascoltare le Spice Girls dopo un disco dei Depeche Mode.

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Daniele
Recensioni: 1/5

Assolutamente illeggibile. Alcuni racconti spiccano (ad esempio quello di Franco Dipietro, una perla nel fango, direi), ma altri affossano l'intera raccolta. Decisamente detestabile. Speriamo esca di meglio.

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alex
Recensioni: 1/5

Sopravvalutato. Buona la volontà di pubblcare autori italiani più o meno esordienti ma ci deve essere di meglio in giro. si spera.

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Recensioni

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Voce della critica

"Dopo l'era degli indifferenti e il decennio dei cannibali", come recita il retro di copertina, sembrerebbe giunto il momento degli intemperanti. Diciotto giovani aspiranti scrittori (registi, sceneggiatori, autori teatrali, titolari di corsi di scrittura creativa, ecc.) per altrettanti brevi racconti che dovrebbero assiologicamente spostarci.

Sara Beltrame, Donna alla finestra. Voyeuristico. L'intemperanza dello sguardo. La donna, in realtà, alla finestra non è. È nel salotto di un appartamento. Completamente nuda. È guardata, da fuori, da un gruppetto di persone. Ma chi guarda chi? Perché, in effetti, sembra lei a guardare loro, guardoni-guardati. La donna, alla fine, si tira un colpo di pistola alla tempia. Morta di freddo. Lo spettacolo è finito. Anche la storia. Stracca. Non ci sposta. Come non ci sposta di tanto lo stile. Fatto dei tanti scambi quotidiani orientati verso l'ipotrofia della comunicazione sincopata e, indotta dalla curiosità morbosa, dell'associazione a ripetere ("Aveva aperto un cassetto. - Ha aperto un cassetto, - ha detto la signora con il passeggino").

Alessandro Gelso, Nella casa di Jamie. Vitreo. Ancora l'intemperanza dello sguardo, da sceneggiatore di cartoons (la professione dell'autore). Quello del lettore è attirato, soprattutto, dalla sintassi ischeletrita, monotona, consumata nella processione delle anadiplosi. Quello della protagonista, inizialmente, è distolto dallo schermo del televisore che trasmette un gioco a premi. La processione delle anadiplosi alla fine si arresta. Il nastro si riavvolge. All'inizio, però, lo sguardo di Jamie era "fisso su una crepa della parete". Ora, invece, "segue attento il gioco a premi". Nel mezzo c'è stata la morte di Sarah, la sorella di Jamie, che poteva salvarla ma non l'ha fatto. E prima ancora l'acqua bollente versata da Sarah sul viso di Jamie. Sorelle innamorate dello stesso uomo.

Angelo Formica, Volevo andare in viaggio. Tri-orientato. L'intemperanza della destinazione comunicativa. Affidata a un barbiere siciliano che ora parla al cliente, ora all'amico che aspetta il suo turno, ora risponde al telefono. Perfettamente a suo agio nel mutare radicalmente, con il destinatario, l'oggetto dei suoi discorsi. Quasi un dissociato. Che sembra fare il verso a Camilleri quando, sia pure una tantum, precipita nella sua prosa media un marcato sicilianismo ("e in paese tutti accuminciano ").

Cinzia Bomoll, Sbologna. Generazionale. L'intemperanza dei giovani, facili al turpiloquio, precoci consumatori di fumo, in conflitto con i genitori, sia pure adottivi. Un'intemperanza alimentata molto spesso dall'insicurezza e, nell'occasione, riflesso quasi condizionato di quel che si crede gesto d'abbandono da parte dei genitori veri ed è invece effetto di una duplice tragica morte, avvenuta in quel drammatico 2 agosto del 1980 alla stazione di Bologna. Ci piace la storia di questa ragazza non sbolognata a Bologna, anche perché vi soffia piacevolmente un alito di quella franca, pre-moderna adesione al più elementare senso del reale che si è creduto troppo presto che l'ondata di piena postmoderna potesse una volta per sempre spazzare via.

Michele Vaccari, Jam session. Radical-progressista. L'intemperanza volta a scardinare i pregiudizi razziali dei bianchi americani. A incarnarla un bambino bianco dall'anima negra che nel jazz suonato dai neri avverte i primi segnali di una rivoluzione. Salvo poi pensare che il buio che ha dentro sia "una cattiveria riposta per momenti migliori". E sarebbe allora l'intemperanza di segno invertito, controrazziale.

Paola Caldera, Come Pedro Alvaro fu libero. Pluriomicida. L'intemperanza di un serial killer che ha ucciso diciannove persone e le ha seppellite in giardino. Ha ucciso per sentirsi libero. Uscito di prigione, torna a uccidere. Stavolta su commissione. Un racconto-diario in tema quasi cannibale. La sintassi franta, scandita dai ritorni a distanza ravvicinata del punto fermo, pare ricalcata su quella di Simona Vinci.

Emiliano Ereddia, Niente è rimasto di Mimì Ayuhara. Pietoso. L'intemperanza dell'eutanasia. La malata grave è la giovane Matilda; il fratello, e un amico, chi pone fine alle sue sofferenze. Ma l'intemperanza, qui assai più che altrove, è anche delle scelte in materia di stile. Ridondante, come può essere ridondante, più che la comunicazione, l'emissione di un segnale ("Con tutta la calma con tutta la calma si cerca una soluzione"); mutilo, di mutilazioni inferte con violenza e a cui rimedia in qualche modo una paragrafematica inattesa ("Qualcosa si è rotto e. Cerchiamo di ricomporre") funzionale anche ad altri usi ("È ricurvo. In - tensione"); anfibologico, di una ambiguità che depista per dare voce, in una con l'ellissi e l'interruzione brutale, alla continua offerta di riduzione del senso ("Disfare lo sfatto. Comprendere capire cercare di andare in fondo. Cercare - di non andare - a fondo").

Valentina Reginelli, Come il mare. Un piccolo cammeo di moderazione. Per nulla intemperante. Solo, qua e là, animato dall'affollarsi degli stimoli sensoriali e delle impronte che la materia estesa lascia sulla pelle. In omaggio al punto di vista del personaggio femminile narrante, che dipinge non solo per descrivere il reale ma per attingerne sensazioni, profumi, contrasti cromatici assai simili ai suoi contrasti interiori. Che crede di amare la più giovane amica Giulia ma ne ama, in realtà, soltanto le immagini in cui l'ha imprigionata.

Marco Peano, Se non mangio animali la colpa è delle stelle maledette. In presa diretta. L'intemperanza della solita lingua finto-registrata al magnetofono e riprodotta quasi tal quale sulla pagina scritta. Che fa un po' Robbe-Grillet, un po' Tondelli e molto Aldo Nove. Di quest'ultimo, in particolare, eredita soprattutto le derive trash di riuso dei materiali della cultura di massa e il retrogusto di un inconfondibile cinismo para-infantile che condisce insieme comico e tragico con assoluta indifferenza morale. Una ragazza alternativa maledice le stelle di quel lontano giorno in cui, ancora bambina, ha involontariamente ucciso la sua gatta. Un giorno che ha segnato la sua vita spingendola a diventare vegana, vegeteriana integralista.

Maristella Bonomo, Palla di lardo. Quasi femminista. L'intemperanza di un gruppo di mocciose che si prendono continuamente gioco del loro grasso coetaneo, che odia il suo soprannome e sopporta in silenzio; finché un giorno, provato anche dalle vicende familiari, reagisce. Verrà isolato. Racconta la storia una delle ragazzine colpevoli. Incontrandolo dopo molti anni, lo chiamerà finalmente col suo vero nome.

Franco Dipietro, Tutto sui medi. Depistante. L'intemperanza che pare negare l'unicità del punto di vista. In questa storia di sponsorizzatori di incidenti, scoop scout disposti a tutto pur di vedere il marchio sbattuto in prima pagina, si sposta inizialmente qualcosa nel medio sistema della percezione e della riproduzione degli oggetti del mondo. Riaffiora però, a un certo punto, la normalità della contestualizzazione, assicurata proprio dalla medietas. La televisione, la madre di tutte le intemperanze giocabili sul punto di vista, è comunque sempre là. Per salvarsi allora, compiendo l'ennesima rotazione, non resta che il vuoto assoluto. Di una mattina che ha "il colore di un televisore sintonizzato su un canale morto".

Marta Pastorino, Nina. Turbato. L'intemperanza di un ragazzino che proietta le angosce che gli provocano le tensioni familiari sulla cagna di casa, colpevole, ai suoi occhi, di averle alimentate. La uccide, così, con la pistola del padre. Bum. Un colpo solo. Non risolve ("Io sono la pistola. Ho fatto il botto, e ora sono solo vuoto").

Marco Archetti, Defecazione. Fortemente declinato. L'intemperanza di una visione tutta compresa di un'ininterrotta catena di metafore e degli esiti surreali che ne discendono. Surreali la stessa defecazione e l'abluzione rettale rubate alla privacy di lei e motori dell'odio che comincia a montare nell'animo di lui. Ma la defecazione, nella gragnuola di sovra e sottosensi e di altri interventi di manipolazione semantica da cui veniamo bombardati, è anche doppio simbolico rovesciato del parto che sopraggiungerà. La dichiarazione fecale a cui l'acqua del water concede l'assoluzione in un plof di oblio acqueo anticipa la dichiarazione fetale che il neopadre, di fronte al flop di un marsupiale pargoletto dallÆaria scrotale e paonazza, si rifiuta di sottoscrivere con il riconoscimento di paternità. Lo scrittore, una volta tanto, è di talento.

Davide Cavagnero, I giardini del Salera. Cronico. L'intemperanza di chi si trascina in una vita sempre uguale, logorata dal vizio dell'abitudine. Ci prova, lui, a uscirne. Cambia ruolo nell'abituale partitella del sabato: nel vecchio non riusciva più a stare, ma ora è anche peggio. Confessa alla moglie che ha smesso di amarla: nella finzione non riusciva più a vivere, ma alla verità non resiste più di un minuto.

Francesca Genti, Giochi della gioventù. Neoreligioso. L'intemperanza dell'asservimento di alcuni adolescenti a un sacerdote-padrone più grande di loro. Mascherata dall'obbedienza a una confessione di fede il cui protocollo rituale (posizione del loto, accoppiamenti consumati con indosso maschere animali, balli e canti in una lingua incomprensibile, ecc.) è solo l'altra faccia del volgare, quotidiano asservimento al Galassia, "l'unica sala giochi della zona con la sedia elettrica".

Del tutto scontati i tre racconti restanti. Paola Presciuttini, Ogni venerdì. Cieco. L'intemperanza del buio. Il solito buio denso di una dark room, frequentata dal solito irreprensibile bancario Giovanni. Solita donna per una notte: il venerdì. Marta Franchi, Sproloqui minori. Abulico. L'intemperanza della noia nella piatta vita qualunque di una piatta adolescente qualunque. Alberto Milazzo, Oggetti smarriti. Sadico. L'idiota intemperanza manifestata da Giorgio nei confronti di un gatto, sottoposto a continui maltrattamenti. Il gatto che la sua ex, andandosene, gli ha lasciato all'ufficio oggetti smarriti della stazione ferroviaria.

Tutta qui l'intemperanza che sposta? Alla fine, terminata la lettura, monta dentro di noi irrefrenabile il sospetto che essa sia il frutto di un'abile manovra editoriale piuttosto che la reale assunzione di un nuovo punto di vista "interno" sulla letteratura.

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