Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Inferno Somalia. Quando muore la speranza - Giovanni Porzio,Gabriella Simoni - copertina
Inferno Somalia. Quando muore la speranza - Giovanni Porzio,Gabriella Simoni - copertina
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 4 liste dei desideri
Inferno Somalia. Quando muore la speranza
Attualmente non disponibile
13,78 €
-5% 14,50 €
13,78 € 14,50 € -5%
Attualmente non disp.
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
13,78 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
13,78 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Inferno Somalia. Quando muore la speranza - Giovanni Porzio,Gabriella Simoni - copertina

Dettagli

1 gennaio 1993
192 p., ill.
9788842515562

Voce della critica

PORZIO, GIOVANNI / SIMONI, GABRIELLA, Inferno Somalia. Quando muore la speranza

PETRUCCI, PIETRO, Mogadiscio

HASSAN, MOHAMED YUSUF, Somalia. Le radici del futuro

AHMED, HASSAN OSMAN, Morire a Mogadiscio. Diario di guerra
recensione di Triulzi, A., L'Indice 1994, n. 3

Si va via. Lo ha annunciato il governo poco prima delle vacanze di Natale, ma la decisione era stata presa da tempo. Si va via a marzo, come gli americani. Lo ha promesso il presidente Clinton a ridosso della cattura di Mike Durant, pilota di elicottero catturato dai miliziani del generale Aidid e mostrato live sugli schermi di tutto il mondo, lo stesso sguardo perduto dei nostri piloti (qualcuno ricorda ancora i loro nomi?) apparsi sugli schermi irakeni durante la guerra del Golfo.
Si va via, fanfare a parte, non perché la missione in Somalia sia terminata, ma perché si ha paura di restare invischiati nel suo crollo, si ha paura, dopo tanti morti soprattutto somali (qualcuno farà mai questo calcolo?), di dover affrontare altre più imbarazzanti perdite, altri voltafaccia politici, altri scempi umanitari. E soprattutto perché le leggi della politica incombono ovunque, a Washington come a Roma, ma non a Mogadiscio, dove si continua a morire non più per fame o per malattia, ma perché si appartiene al clan dei Darod invece che agli Hawiye, perché si ha quindici anni, un mitra a tracolla, e qualche anfetamina di troppo nel sangue, e si spara perché il proprio gruppo (clan, famiglia, banda?) sopravviva, o continui a predominare sugli altri.
Se l'Occidente se ne va, e lascia sul posto pakistani e ghanensi a svolgere un compito che non ha saputo portare a termine, dopo averlo avviato con grande clamore, non è certo perché in Somalia le cose vadano meglio oggi di quanto andassero un anno fa, ma perché il sottrarsi a responsabilità e doveri che sembravano essere propri dell'originaria missione "umanitaria" fa parte di quel "cynical disengagement" - la definizione è del politologo americano Michael Clough - nei confronti del continente africano che coinvolge non solo gli Stati Uniti ma la stessa Europa della recessione e della fine delle illusioni.
Di questo pasticcio, e delle sue non inspiegabili contraddizioni, parlano i volumi in esame. Volumi di diverso peso e valore, ma tutti con un implicito messaggio, che è il seguente: ciò che è successo, anzi sta accadendo in Somalia oggi, è la conseguenza delle sbagliate politiche coloniali e neocoloniali di governi occidentali spesso in collusione, o indifferenti alla luttuosa crescita della dittatura di Siyad Barre. Ma è anche il risultato dell'implosione di una società segmentaria lacerata al suo interno da una straordinaria crisi alimentare, istituzionale e di valori collettivi che, come nella ex Jugoslavia, non trova una ricomposizione a causa della guerra e dell'accanita lotta di potere per accaparrarsi beni e risorse umane e territoriali considerate indispensabili alla propria sopravvivenza.
Che questo messaggio provenga da orizzonti diversi e rispecchi posizioni anche di parte è nella natura del conflitto e delle sue possibili interpretazioni. Preme qui rilevare due fatti: il primo è che per la prima volta partecipano al dibattito studiosi somali residenti o rifugiati in Italia con propri strumenti autonomi; il secondo è che sia le testimonianze somale sia quelle dei giornalisti italiani impegnati sul fronte di guerra (Porzio e Simoni) o nel dibattito politico in corso sulla Somalia (Petrucci) testimoniano le ragioni di un fallimento ma anche di un modello interpretativo: capire la Somalia oggi vuoi dire capire lo scenario prevedibile di altre implosioni latenti e in corso nel vasto mondo "postcoloniale" contemporaneo, dall'Africa all'ex Jugoslavia; far rifluire invece la rivolta somala nell'irrazionale atavico di una società tribale e guerriera, equivale a rinunciare all'intelligenza delle cose che ci sono più vicine, allontanandole e rendendole esotiche, inspiegabili, dunque distanti.
Il diario di Hassan Osman Ahmed è una pagina documentaria del necessario avvicinamento della Somalia alla nostra comprensione, oltre che alla nostra coscienza. È il diario di una guerra interna, di come si diventa nemici "in casa", una Mogadiscio vista come metafora dell'enorme violenza collettiva che si accanisce sui centri urbani e le capitali ex coloniali, il luogo-simbolo del potere arbitrario e corrotto di governi dittatoriali e dispotici. Ma soprattutto è un'importante testimonianza, scritta per "non dimenticare", su sette mesi di follia e di violenze anche mentali da parte di un'intera generazione di somali, uscita dalla dittatura e subito incatenata in una generale "ubriacatura del saccheggio".
Una "strana guerra" quella somala: c'è chi muore per fame, e chi uccide per bottino, chi saccheggia case e proprietà del governo e dei suoi alleati Darod in fuga, e chi crea altra fame, altri bottini, altri nodi di contesa per spartire, dominare, prevalere. In una Mogadiscio privata dei servizi essenziali, senza più acqua n‚ luce n‚ cibo, e duramente contesa tra i 'fagash', le truppe-sciacallo di Siyad Barre, e i predoni-guerriglieri della 'jabhadda', le forze di opposizione Hawiye, Hassan Osman Ahmed registra fedelmente dall'interno la graduale caduta di valori, di statuti, di reti di protezione e di difesa della società tradizionale somala. Chi ne fa maggiormente le spese sono i più giovani, le donne, i più deboli. L'autorità della famiglia e degli affetti si sgretola sotto i colpi dei bazooka e della fame: in tempi di crisi vale la regola di fondo, "si mangia ciò che si trova", in tutti i campi; cadono tabù alimentari e di comportamento, la società senza più legge entra in una fase esasperata di anomia; anche i figli, quando vengono sgridati, mostrano le armi e minacciano sanzioni.
Più "politica" la testimonianza del secondo autore somalo, Mohamed Yusuf Hassan, di professione chirurgo, esponente in Italia dell'Usc (United Somali Congress), la casa politica teoricamente comune degli Hawiye sia del generale Aidid sia del commerciante Ali Mahdi, i due maggiori "signori della guerra" somali in conflitto tra loro. Il suo libro è dichiaratamente a tesi: è una lettura degli avvenimenti somali dagli anni novanta in poi in chiave Usc -Hawiye, ala militare, una difesa d'ufficio del gruppo di Aidid. La tesi dell'autore è che il conflitto in corso in Somalia sia essenzialmente un conflitto tra due linee politiche, una definita "continuista", compromissoria e di pura alternanza al sistema di potere dittatoriale di Siyad Barre (cioè quella del presidente Ali Mahdi), e l'altra, definita "alternativa" a questo sistema di potere, che guarda a una futura repubblica somala in cui i clan possano tornare a svolgere un ruolo di guida, gli Hawiye in testa perché più numerosi degli altri e più legittimati al governo da un passato di non collusione con il potere.
Inutile dire che la visione di Mohamed Yusuf Hassan è marcatamente di parte, e contrasta su più di un punto con la ricostruzione dei fatti proposta da Pietro Petrucci. Ma a suo modo il volume del chirurgo somalo è una testimonianza importante: perché conferma l'irriconciliabile avversità tra i due gruppi, e la visione totalizzante delle cose che entrambi propongono: così il generale Aidid è dipinto come il "vincitore morale", il "vero liberatore" della Somalia, in opposizione al "commerciante" Ali Mahdi, scarsamente politico ma abbondantemente nepotista, messosi a capo di un gruppo definito "di sabotatori". Cosi anche gli Abgal di Ali Mahdi vengono liquidati come "gente di città", un gruppo che non ha partecipato se non marginalmente alla lotta contro Siyad Barre, e che ora vuole per sé tutto il potere.
Ma il volume non è solo un libello di parte. Esso esprime con forza le ragioni di una parte non minore della società somala, quella più ancorata alla società tradizionale, scarsamente urbanizzata, spesso marginalizzata dal linguaggio politico e tecnologico del centro modernizzante e autoritario. Sarebbe un torto non comprendere le sue ragioni, per quanto sbagliate siano le reazioni e le prese di posizione politiche del generale Aidid, come hanno abbondantemente mostrato i recenti cambiamenti di politica in Somalia e il pur tardivo riconoscimento internazionale del punto di vista italiano sulla necessità di dialogare con tutte le parti in causa. Il volume descrive con forza la tragica economia di guerra della "Beirut somala", non meno feroce o insensata di quella libanese, e il lento prevalere della "legge della giungla" in una Mogadiscio improvvisamente svuotata dei suoi abitanti e diventata, dopo mesi di guerra urbana, "la città dei guerriglieri", dove "è normale fare la spesa armati di kalashnikov". Proprio per questo appare contraddittoria la posizione dell'autore fortemente contraria al "disarmo di tutte le fazioni" in lotta tra loro, e poco convincente, perché troppo schiacciata sul fronte di Aidid, la sua proposta di una "vera riconciliazione politica" che punti su una rivalutazione delle "forze trasversali" del paese (che pur ci sono e formano l'incerta trama della società civile somala).
Diversi lo stile narrativo, la capacità di testimoniare, ma anche l'impegno complessivo di Giovanni Porzio, caposervizio Esteri di "Panorama", e di Gabriella Simoni, inviato speciale delle reti televisive Fininvest, nel loro reportage a due mani sulla Somalia. Tipico prodotto di storia immediata, instant book dai caratteri veloci e a volte impressionistici, "Inferno Somalia" è lo specchio di una copertura giornalistica "televisivizzata" dell'operazione Somalia capace di cogliere più gli effetti immediati, vistosi e magari efferati di una situazione di guerra, che non le correnti sotterranee, le voci inespresse, la presenza di altri partecipanti e vittime del conflitto che non siano i suoi più televisivi partecipi e interpreti.
Il volume è una descrizione "per immagini", peraltro estremamente viva, della guerra somala e delle sue infinite efferatezze e insipienze. Un tour de force narrativo anche di grande efficacia (penso soprattutto ai primi capitoli, quelli più densi di osservazioni e di dati sulla tragedia somala), ma con pennellate forti, dai colori accesi, e un susseguirsi incessante di fatti veduti, sentiti, attraversati con l'occhio vigile del cronista più attento a cogliere volti immagini e opinioni che non a penetrare in profondità cercando di capire, e se possibile spiegare, il caos che gli si svolge intorno. Il risultato è molta informazione "visiva" ma poca comprensione dall'interno della tragedia, i suoi tempi lunghi, il suo procedere a balzi, i suoi effetti più mediati, più invisibili.
Per arrivare a una qualche comprensione meno approssimativa, la lettura di "Mogadiscio" di Pietro Petrucci fa fare al lettore italiano qualche passo in avanti. Petrucci è forse il giornalista italiano più informato di cose somale per lunga abitudine di lavoro e ripetuti soggiorni in quel paese fin dai primi anni settanta, e per aver mantenuto attraverso gli anni salde amicizie e lealtà nei confronti della società politica somala. Anche il suo è, in qualche modo, un libro di parte. Non perché si schieri apertamente per Ali Mahdi, e condanni con forza "lo sciovinismo dei clan" o la rapacità lestofantesca di Aidid, ma perché difende ostinatamente la "civiltà urbana" somala e la detribalizzata "gente di città" che ha costituito fino al crollo di Mogadiscio "il nerbo della macchina statale e dell'intellighenzia" somala.
Questo strato sociale è oggi, ad avviso di Petrucci, funestamente disperso, spazzato via prima dalla repressione tribale di Siyad Barre, poi dalla violenta reazione antistatale delle milizie Hawiye, e infine dalla reciproca pulizia etnica che ogni clan e sottoclan oggi persegue in Somalia con "l'illusione di ritrovare il filo spezzato della propria storia ritornando ciascuno al proprio guscio tribale". Così, trentun anni dopo la sua fondazione, lo stato somalo "cessa di esistere" mentre i clan si armano e distruggono ogni vestigia e simbolo dello stato centrale. È forse per questo motivo che l'autore torna più volte nel volume sul funesto disegno di spartizione tribale della Somalia che vede un forte Somaliland indipendente al nord dominato dall'etnia Issak, e una Somalia riunita sotto l'egida degli Hawiye al sud - un piano che l'autore attribuisce all'Etiopia di Menghistu fin dai tempi dell'abortita conferenza del Cairo dell'ottobre 1990 e che ritiene essere alla base del conflitto attuale.
Seguendo il filo della recente storia somala, Petrucci insegue molti "detribalizzati" e non, conosciuti in tempi lontani, e poi rincontrati in Somalia o in qualche capitale occidentale, e li intervista, li interroga, li fa parlare. Da loro esce un racconto dai toni spesso diversi da quelli usati dai reporter occidentali, ma anche da quelli degli studiosi, che ricostruisce l'accidentato percorso della storia somala post-indipendenza in rivoli differenziati e problematici fino alla tragedia finale, annunciata, della fame, e il dilagare della guerra civile. Di quest'ultima, e dei suoi ambigui legami con la prima, basterà citare la dichiarazione di un generale Darod: "È una guerra tra animali affamati. Nel paese non c'è più niente da mangiare, e solo il comandante che riesce a mettere le mani sugli aiuti internazionali, e che può distribuire razioni decenti ai suoi uomini può sperare di avere il sopravvento sugli altri... Se gli aiuti andassero veramente alla gente che muore, per lui e i suoi uomini, che agiscono in territorio di conquista, ostile, sarebbe la fine".
Suona così il De profundis degli aiuti internazionali in zona di guerra. E dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che guerra, fame e aiuti fanno parte di un circolo vizioso e letale che può solo infliggere nuove tragedie a società già pesantemente colpite da eventi naturali. La violenza "etnica" che si sussegue soprattutto nei centri urbani della Somalia meridionale negli ultimi due anni ne è testimonianza. È per questo che Mogadiscio è diventata in pochi mesi "teatro di una grande razzia tribale, la più grande e la più spietata di tutti i tempi. Un'intera città, una capitale del ventesimo secolo, è stata trattata come un accampamento nemico. Anzi molto peggio..."
Nelle parole degli intervistati somali di Petrucci risuonano appena gli echi di una civiltà urbana, laica, detribalizzata, civile. Eppure è forse la sola speranza del futuro, l'unico percorso possibile. Partiti gli americani, e poi anche la Folgore, che cosa resterà? Risponde per tutti Yusuf Azhari, ex ministro di Siyad Barre, un esponente tipico di quella "élite cosmopolita darod-migiurtina, invidiata e odiata" che Petrucci in qualche modo indica a modello: "Nessuno saprà mai quel che è veramente successo, perché questa nostra guerra non avrà mai n‚ una Norimberga n‚ un Simon Wiesenthal. Non si può chiedere alle vittime della pulizia etnica di dimenticare o di perdonare, ma perché ritorni la pace bisognerà pure 'archiviarlo' questo pogrom, depennarlo dall'agenda delle questioni politiche e metterlo in conto alla storia. Come altro si può raggiungere la riconciliazione nazionale?"

Leggi di più Leggi di meno
Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore