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Sono passati quasi ventotto anni da quando quel DC9 è partito dall’aereoporto di Bologna, il 27 giugno 1980. Sono troppi. Perché la gente non dimentica. Ci sono articoli, ci sono servizi televisivi, c’è l’Associazione Parenti delle vittime, c’è un bellissimo spettacolo teatrale, ci sono libri, non ultimo questo. Però quello che manca è la verità. Più che sul COME sia successo, sul PERCHE’ sia successo. Sul perché ci siano stati depistaggi, e sul perché non si siano mossi i governi, e non solo quello nazionale, ma tutti i governi coinvolti più o meno indirettamente – e su questo punto invito il lettore a riflettere sul QUANTO profondamente i governi possano essere coinvolti – perché quello che è successo è troppo grosso, è intollerabilmente grave, è inaudito. Un volo di linea normale, come tantissimi altri, sta percorrendo la sua autostrada del cielo, secondo una mappa ben prestabilita. Sono in ritardo di due ore, ma tutto al momento sta andando bene, a parte il misterioso silenzio di alcuni radiofari. Però tutto può essere. Su questo volo di linea ci sono 81 persone. Ai comandi di questa bellissima aeromobile bianca e rossa c’è il capitano Gatti. Dietro di lui, Alberto, Pierpaolo, Giuliana, e tanti altri. C’è chi dorme, chi legge, chi sta guardando fuori dal finestrino. Sono tutti seduti al loro posto, con i tavolini chiusi, gli schienali dei sedili rialzati. Poi, all’improvviso, nella cabina, il capitano Gatti ha solo il tempo di dire una mezza parola. Dice: “Gua…”. Il motore destro si stacca. Si stacca tutta la fiancata e si disintegrano tutti i finestrini. I collegamenti elettrici si strappano e si interrompono. Le luci si spengono. L’aereo si depressurizza e tutti i passeggeri muoiono istantaneamente per gravi lesioni polmonari. Poi si ferma anche il motore sinistro. L’aereo comincia a disintegrarsi e a frammentarsi. Perché è successo? Non può rimanere senza una risposta.
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