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L' incoerenza dell'incoerenza dei filosofi
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1997
556 p., ill.
9788802051956

Voce della critica


recensione di D'Ancona, C., L'Indice 1998, n. 5

Cade nel 1998 l'ottocentesimo anniversario della morte di Abîu "\"l-Wal-Ýd Muh.ammad ibn Ah.mad ibn Muh.ammad ibn Ruùsd, l'Averroè dei latini, il Commentatore di Aristotele per antonomasia. La pubblicazione della prima traduzione italiana - e sinora la sola, se si eccettua quella in lingua inglese di Simon Van den Bergh ("Averroes' Tah-afut at-Tah-afut "("The Incoherence of the Incoherence"), Oxford University Press, 1954), in una lingua occidentale moderna - dell'"Incoerenza dell'Incoerenza dei filosofi "apre nel modo più appropriato le celebrazioni di questa ricorrenza nella nostra nazione. Infatti "L'Incoerenza dell'Incoerenza dei filosofi", tra le opere sistematiche di Ibn Ruùsd, è la più ampia e la più famosa, e la sua traduzione italiana rende vastamente accessibile un dibattito di alto interesse storico e notevoli implicazioni filosofiche.
L'"Incoerenza dell'Incoerenza" è un'opera polemica, diretta a invalidare il più sistematico attacco contro la filosofia che sia stato portato nell'Islaîm medievale: quello contenuto nell'"Incoerenza dei filosofi" di al-G.azaîl-Ý (morto nel 1111). I rapporti fra il pensiero teologico islamico e la "falsafa" - la corrente intellettuale che, come dice il nome, si ispira in vari modi alla filosofia greca - sono stati sempre conflittuali, sino dalla prima diffusione della cultura scientifico-filosofica che conseguì all'espansione dell'Islam al di fuori della penisola arabica (cfr. Gerhard Endress, "Introduzione alla storia del mondo musulmano", ed. it. a cura di Giorgio Vercellin, Marsilio, 1994). Tale conflitto è implicato nella natura stessa del pensiero teologico islamico, almeno nella misura in cui esso - a differenza del pensiero teologico cristiano - si presenta come l'espressione normativa dell'esegesi di un testo sacro che non è trasmesso con la mediazione di un linguaggio umano, ma è dettato all'uomo direttamente nel linguaggio di Dio stesso, cioè in "arabo chiaro" ("Corano", XVI, 103). Non sono dunque soltanto i "contenuti" della riflessione filosofica sull'anima e su Dio a poter risultare eventualmente in conflitto con la teologia islamica. È piuttosto l'utilizzazione stessa da parte dei "falaîsifa" (gli "ellenizzanti") di una fonte di conoscenza della natura divina diversa dal Corano - le opere dei greci - a rappresentare agli occhi dei teologi un errore metodologico che non può condurre se non a conseguenze assurde e contraddittorie. Il "kalam" non rifiuta l'uso delle procedure argomentative importate dalla filosofia greca, e in particolare aristotelica, ma si oppone a ogni tentativo di elaborare un discorso su Dio a partire da un fondamento diverso da quello coranico. In particolare, nelle proprie opere teologiche al-G.azaîl-Ý impiega in modo così vasto le procedure argomentative ispirate ad Aristotele, che è considerato il primo grande sistematizzatore del "kalam" alla luce del pensiero greco. Tuttavia un'evoluzione intellettuale e spirituale in cui ebbe luogo il ripensamento critico della natura stessa del "kalam" lo condusse all'abbandono dell'insegnamento di questa disciplina, all'allontanamento da Bag.dad e alla conversione alla mistica suîf-Ý. È al periodo dell'insegnamento nella scuola coranica ("madrasa") di Bag.dad che risale la composizione dell'"Incoerenza dei filosofi" (si veda al-G.azaîl-Ý, "Scritti scelti", a cura di LauraVeccia-Vaglieri e R.Rubinacci, Utet, 1970).
L'esposizione sistematica delle contraddizioni in cui cadono coloro che vogliono trattare di Dio e dell'anima partendo dalle teorie dei filosofi greci è l'argomento dell'"Incoerenza dei filosofi", l'attacco frontale contro la "falsafa" condotto dal teologo e mistico persiano Abîu H.aîmid Muh.ammad ibn Mu.h.ammad ibn A.h.mad al-G.azaîl-Ý. Vissuto circa un secolo prima di Ibn Ruùsd, al-G.azaîl-Ý fu vastamente influente anche nella cultura di al-Andalus, la Spagna musulmana. Alla rassegna delle antinomie in cui, per la sua pretesa di argomentare sulla natura divina a partire da un fondamento diverso da quello coranico, cadde secondo al-G.azaîl-Ý il pensiero dei "falaîsifa", Ibn Ruùsd replicò con la propria "Incoerenza dell'Incoerenza", il riesame di ciascuna delle antinomie g.azaliane condotto nell'intento di dimostrare che al-G.azaîl-Ý o non aveva ben compreso l'argomentazione filosofica, o si era basato su di una sua imperfetta formulazione. L'"Incoerenza dei filosofi" g.azaliana si fondava infatti soprattutto sul pensiero di Ibn-S-Ýnaî (l'Avicenna dei latini), ed è noto che Ibn Ruùsd giudicò a più riprese scorretta la versione delle dottrine metafisiche dei greci fornita da quest'ultimo (prima dell'"Incoerenza dei filosofi" e come sua preparazione al-G.azaîl-Ý aveva composto un'opera dossografica, "Le intenzioni dei filosofi - Maqaîs"."id al-Falaîsifa -", nella quale egli esponeva con particolare fedeltà le dottrine di Ibn S-Ýnaî; cfr. l'introduzione di Massimo Campanini).
Come esempio del primo tipo di replica opposta da Ibn Ruùsd ad al-G.azaîl-Ý si può citare l'esame dell'antinomia per la quale i filosofi, pur affermando di volerlo fare, non sarebbero in grado di giustificare sulla base dei propri assunti la tesi per cui Dio è produttore del mondo, e il mondo è un prodotto di Dio. Al termine dell'analisi dei passi g.azaliani citati, Ibn Ruùsd conclude affermando che "il discorso sarebbe cogente per i filosofi se davvero essi affermassero ciò che [al-G.azaîl-Ý] fa loro dire (...) Però, col suo discorso, [al-G.azaîl-Ý] non smaschera alcun inganno dei filosofi; l'inganno consiste piuttosto nell'attribuire loro [falsamente] ciò che essi non dicono".
Come esempio del secondo tipo di replica si può citare l'esame dell'antinomia per la quale i filosofi, pur affermando di credere nell'unicità di Dio, non riuscirebbero, in base ai propri presupposti, a produrre argomenti validi per provarla. In questo caso, l'esame del ragionamento svolto da al-G.azaîl-Ý conduce Ibn Ruùsd a concludere che la via citata e criticata da al-G.azaîl-Ý "è peculiare di Avicen-na, ma non è stata percorsa da nessuno degli antichi filosofi; le sue premesse sono generiche, e i termini sono utilizzati in modo quasi sempre equivoco. Per questa ragione suscita numerose obiezio-ni, anche se una volta che terminologia e obiettivo siano intesi in senso proprio, tutto [il ragionamento] risulta abbastanza vicino a una dimostrazione apodittica".
I problemi sollevati da al-G.azaîl-Ý e riesaminati da Ibn Ruùsd in questa duplice chiave sono sedici. Cinque, i problemi dal quinto al nono, riguardano la natura di Dio. I filosofi avrebbero, come si è appena visto, tentato vanamente di formulare una prova soddisfacente della sua unicità. Essi avrebbero inoltre posto in modo errato la questione dei rapporti tra l'essenza e gli attributi divini, negando ad esempio l'attributo della "scienza" a causa della molteplicità che la presenza di questo attributo sembrò loro introdurre nell'essenza di Dio. Nel loro tentativo di distinguere da Dio il suo primo effetto, essi avrebbero peraltro formulato una confusa prova basata sull'uso delle nozioni di genere e differenza specifica. Essi avrebbero inoltre sostenuto l'identità, in Dio, di essenza ed esistenza. La tesi, esplicitamente riferita da al-G.azaîl-Ý a Ibn S-Ýnaî, ha un evidente fondamento neoplatonico, ed è probabile che Ibn S-Ýnaî si sia ispirato, per formularla, alla traduzione araba parafrasata e adattata delle "Enneadi" IV-VI, il cui resto più famoso è la cosiddetta "Teologia di Aristotele" (nella traduzione-parafrasi delle "Enneadi" IV-VI - su cui Ibn S-Ýnaî scrisse delle "Note" parzialmente conservate - ricorre spesso una definizione del primo principio come "Essere puro" che sembra rappresentare il punto di partenza della dottrina avicenniana). Come è noto, anche Tommaso d'Aquino sosterrà nell'opuscolo "De ente et essentia" che in Dio, a differenza di ciò che accade in ogni creatura, "esse" ed "essentia" coincidono. La discussione di questo punto svolta a distanza fra Ibn Ruùsd e al-G.azaîl-Ý è dunque di altissimo interesse storico e filosofico. Alle critiche di al-G.azaîl-Ý, Ibn Ruùsd replica che "l'intera discussione è costruita sull'erroneo presupposto che l'esistenza di una cosa sia uno dei suoi attributi necessari". Al contrario, "l'esistenza che, nella nostra mente, precede la conoscenza della quiddità di una cosa è qualcosa di assolutamente vero e reale". Infine, i filosofi si sarebbero dimostrati incapaci di provare la natura incorporea di Dio.
Altri problemi - quelli dal primo al quarto e inoltre il decimo - riguardano l'eternità del mondo e la presunta incapacità dei filosofi di provare in modo soddisfacente che Dio ne è autore. Il motivo conduttore delle argomentazioni ruùsdiane consiste in un'accusa di incomprensione delle tesi dei filosofi. La posizione di al-G.azaîl-Ý è falsata, ai suoi occhi, dall'incapacità di uscire dall'analogia tra agire umano e agire divino: analogia illecita, che in effetti i filosofi non pongono, e che è la vera responsabile del falso problema rappresentato, ad esempio, dall'inferire che la creazione di un evento nuovo da parte di un agente eterno alteri la natura di tale agente eterno.
Tre problemi, dall'undicesimo al tredicesimo, riguardano infine la conoscenza divina. Anche in questo caso, Ibn Ruùsd pensa che al-G.azaîl-Ý sbagli quando sostiene che i filosofi negano a Dio il possesso della volontà: essi negano, piuttosto, l'esistenza in Dio di una volontà concepita per analogia con quella umana, e quindi indizio di incompletezza, nella misura stessa in cui comporta il "tendere ad altro". Una serie di "questioni naturali" sulla causalità e sull'anima chiude la rassegna critica delle apparenti confutazioni gúazaliane. Questo elenco basta a mostrare come l'interesse dell'"Incoerenza dell'Incoerenza" valichi l'ambito specialistico della storia della filosofia arabo-islamica. Le antinomie qui discusse, per esempio, presentano un notevole interesse anche dal punto di vista della storia della filosofia in generale.
L'introduzione inquadra dapprima l'opera nel contesto intellettuale che le è proprio. Massimo Campanini delinea le finalità polemiche dell'"Incoerenza dell'Incoerenza" e pone la questione della destinazione reale della replica ruùsdiana alle accuse di al-G.azaîl-Ý. Si tratta, in altre parole, di rendere ragione dell'"impegno profuso da Averroè nel contestarle", un impegno che non appare del tutto spiegato dalla qualità intrinseca delle critiche g.azaliane. La composizione dell'"Incoerenza dell'Incoerenza" è coeva non soltanto a quella degli altri trattati "teologici" destinati ad argomentare in favore della liceità della ricerca filosofica per i musulmani capaci di condurla, ma anche a quella dei commenti aristotelici. Campanini prosegue esaminando il ruolo svolto dal pensiero di al-G.azaîl-Ý nel rinnovamento dell'islamismo che accompagna l'avvento del califfato almohade, al quale Ibn Ruùsd è strettamente legato. La reazione al legalismo dominante nel precedente califfato almoravide si alimenta, in epoca almohade, degli ideali del "Ravvivamento delle scienze religiose", per riprendere il titolo di una delle più famose opere gúazaliane. Considerando questo panorama, Campanini ritiene che "Averroè si trovò nella scomoda posizione di dover individuare una faticosa via di mezzo tra il particolare riformismo almohade, la fedeltà alla scuola giuridica maîlikita e il razionalismo filosofico 'greco'". Egli "si fece carico di dimostrare che la filosofia non contrasta con la religione, ma che i due ambiti di conoscenza si portano reciproca testimonianza, e che dunque la riflessione razionale è lecita, se non obbligatoria, da un punto di vista religioso (...) Questo triplice impegno (...) poneva Averroè in diretto, inevitabile contrasto con al-G.azaîl-Ý, la cui figura e il cui pensiero in certo modo incombono sulla cultura dell'età almohade".
In questa prospettiva si comprende come l'immagine di Ibn Ruùsd "razionalista" - nel senso dato a questo termine da Renan e dalla storiografia filosofica improntata al suo "Averroès et l'Averroïsme" (1852) - necessiti di seria revisione. A questo scopo Campanini esamina il rapporto tra "L"'"Incoerenza dell'Incoerenza" e il "Trattato decisivo sull'accordo della religione con la filosofia" e le principali interpretazioni del rapporto tra verità filosofiche e religiose che sono state proposte in tempi recenti. L'analisi degli argomenti dibattuti da Ibn Ruùsd occupa le tre sezioni successive dell'introduzione. Seguono una valutazione complessiva delle ragioni di opposizione fra i due pensatori e un esame della recezione del pensiero di Ibn Ruùsd nel mondo latino. È opportuno ricordare che l'"Incoerenza dell'Incoerenza" è stata tradotta in latino nel 1328, e non ha dunque potuto influenzare direttamente le discussioni del tardo XIII secolo sul rapporto fra teologia e filosofia. Tuttavia già entro gli anni ottanta del XIII secolo un apologista domenicano buon conoscitore della lingua araba, Raimundo Martí, ne aveva citato un ampio estratto nella sua "Pugio Fidei".
In questa sezione della sua introduzione Campanini affronta la celebre questione della "dottrina della doppia verità, in certo qual modo spontaneamente evocata nel lettore occidentale dell'"Incoerenza dell'Incoerenza". Come è noto, la dottrina della doppia verità afferma che è possibile ritenere falsa una proposizione secondo la filosofia, ma accettarla come vera secondo la fede. L'odierna storiografia filosofica ha profondamente mutato le valutazioni correnti sino a qualche decennio fa a proposito della natura di questa tesi, delle circostanze della sua nascita e del suo rapporto con l'autentico pensiero di Ibn Ruùsd (cfr. la bibliografia in finestra). In particolare, gli studiosi si accordano quanto meno nel ritenere incongrua l'applicazione alle opere del filosofo cordovano di questa categoria interpretativa posteriore. Tuttavia Campanini fa osservare che la lettura "esoterista" del pensiero di Ibn Ruùsd proposta da alcuni interpreti contemporanei - per la quale egli dovette "difendersi dai [suoi] nemici (...) ammantando di religione le conclusioni filosofiche, per lo più contrarie al dettato della rivelazione e ai dogmi della fede" - finisce per somigliare da vicino alla "dottrina della doppia verità". Egli suggerisce inoltre che almeno su di un tema Ibn Ruùsd sembra avere sostenuto tesi opposte in opere destinate a tipi diversi di lettori: si tratta del tema della "felicità mentale". Nei commenti aristotelici, infatti, Ibn Ruùsd sostiene che la suprema felicità umana consiste nel contatto con l'Intelletto separato, mentre nel "Trattato decisivo ""l''altro' Averroè, l'Averroè musulmano, afferma ortodossamente (...) che felicità significa conoscenza di Dio e che la salute spirituale è garantita dalla conoscenza e dalla pratica derivanti dalle prescrizioni della Scrittura".
L'introduzione è completata da una "Nota biografica" e da una "Nota bibliografica", nonché da una "Nota alla presente edizione", nella quale Campanini indica l'edizione araba utilizzata, i propri criteri di traduzione e le principali divergenze della propria traduzione rispetto a quella inglese di Van den Bergh. Il volume è completato da un indice italiano-arabo dei termini e delle espressioni principali e da un indice delle tavole.

Opere di Averroè

"Ibn Ruùsd ha lasciato un'opera vastissima, giuridica, filosofica e medica. L'opera filosofica comprende essenzialmente due tipi di scritti: i commenti aristotelici (distinti in "brevi", "medi" e "lunghi") e gli scritti sistematici, in cui Ibn Ruùsd espone direttamente le proprie opinioni sul problema dei rapporti tra religione rivelata e filosofia: il" Trattato decisivo sull'accordo della religione con la filosofia" ("Faúsl al-maq-al al-taqr-Ýr m-a bayna \l-sari^a wa-l-úhikma mina al-ittiúsal"), tradotto in italiano da Massimo Campanini (Rizzoli, 1994) e da Francesca Lucchetta (Marietti, 1994); l'"Indagine sui metodi di prova relativi ai dogmi della religione" ("Kasf ^an man-ah-Ýg al-adilla f-Ý ^aq-a\id al-milla"), e infine, appunto, l'"Incoerenza dell'Incoerenza" ("Tah-afut at-Tah-afut"). Al lettore interessato a questa problematica segnalo, oltre alle introduzioni alle traduzioni italiane citate, l'importante studio di Alain de Libera che fa da introduzione alla recente traduzione francese del" Faúsl al-maq-al": Averroès," Le livre du discours décisif", Flammarion, 1996.

"La doppia verità

"Il lettore interessato a una maggiore informazione sul rapporto tra la dottrina della doppia verità e il pensiero di Ibn Ruùsd può rivolgersi al saggio di Alain de Libera introduttivo alla traduzione francese del" Trattato decisivo "(Averroès, "Le livre du discours décisif", Flammarion, 1996). Per ulteriori approfondimenti si segnalano inoltre: Roland Hissette," Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277", Publications Universitaires - Vander-Oyez, 1977; Massimo Campanini," L'intelligenza della fede. Filosofia e religione in Averroè e nell'averroismo", Lubrina, 1989; Luca Bianchi," Il vescovo e i filosofi. La condanna parigina del 1277 e l'evoluzione dell'aristotelismo scolastico", Lubrina, 1990; Alain de Libera," Penser au Moyen Âge", Seuil, 1991; Ruedi Imbach, "L'averroïsme latin du XIIIe siècle", in* Gli studi di filosofia medievale fra otto e novecento. Contributo a un bilancio storiografico", atti del convegno, a cura di Ruedi Imbach e Alfonso Maierù, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1991, pp. 191-208."

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Averroè

1126, Cordova

Filosofo, giurista, medico e astronomo arabo, Abu l- Walid Mu?ammad ibn Rushd, noto in Occidente col nome Averroè, nasce a Cordova nel 1126. È autore di moltissime opere, delle quali sono una minor parte ci è giunta nel testo originale, il più in versioni ebraiche e latine, queste ultime traduzioni anch'esse dall'ebraico. Tra i suoi libri ricordiamo: i Commentari ad Aristotele, i Tahafut at-tahafut (in versione latina Destructio destructionis), il Fa?l almaqal e la parafrasi della Repubblica di Platone.

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